Marcello Sorgi, La Stampa 12/10/2010, pagina 32, 12 ottobre 2010
Sciascia le illusioni di un impolitico - Leonardo Sciascia è diventato un classico, e tutte le sfaccettature della sua complessa personalità artistica, letteraria, intellettuale, sono state ormai sviscerate
Sciascia le illusioni di un impolitico - Leonardo Sciascia è diventato un classico, e tutte le sfaccettature della sua complessa personalità artistica, letteraria, intellettuale, sono state ormai sviscerate. Mancava, invece, un’analisi dello Sciascia politico, non solo della sua breve esperienza parlamentare alla Camera con i radicali nel periodo 1979-’83, ma dell’aspetto propriamente e politicamente incisivo della sua opera, in rapporto alla sinistra italiana e in particolare al Pci. A questa lacuna viene ora a porre rimedio il libro di Emanuele Macaluso Leonardo Sciascia e i comunisti (pagg. 160, Feltrinelli), in libreria da domani. Con una tesi che farà nuovamente discutere, a vent’anni dalla scomparsa di uno scrittore già molto discusso in vita. Basandosi sull’amicizia, la conoscenza e la conterraneità durate per quasi mezzo secolo, Macaluso, a lungo dirigente di primo piano del Pci siciliano e di quello nazionale, formula infatti la tesi che Sciascia, pur animato da sincera passione civile, fosse in realtà un impolitico. E che in questa chiave si possano spiegare anche le molte illusioni, e le troppe e repentine delusioni, a cui andò incontro. Sciascia non fu mai comunista, ma nella Caltanissetta della gioventù fu amico di molti comunisti, tra cui lo stesso Macaluso, e portato, come antifascista, ad approssimarsi al Pci. Un Pci che immaginava risolutamente all’opposizione, e nella Sicilia in cui l’alleanza tra mafia e Dc era palpabile, dichiaratamente anti-democristiano. Per lui «potere» e «delitto» erano due entità inscindibili, e in particolare il potere «senza ragioni ideologiche e volto ad assimilare, a degradare e a corrompere perfino le forze che gli si oppongono o che gli si dovrebbero opporre». Una visione così pessimistica, all’inizio degli Anni Settanta, è al centro del Contesto, uno tra i suoi più famosi romanzi, che lo portò diritto in collisione con il Pci. Sciascia aveva intuito, in anticipo sul Berlinguer del «compromesso storico», che la collaborazione con le forze di governo avrebbe portato la sinistra a una degenerazione dei propri valori e dei propri comportamenti. In realtà Sciascia aveva cominciato a prendere le distanze dal partito ancora prima, alla fine dei Cinquanta, ai tempi della famosa «Operazione Milazzo» con cui i comunisti siciliani, alleandosi perfino con il Msi, avevano mandato all’opposizione la Dc. Sul Corriere della Sera era arrivato a definire «di impronta mafiosa» il governo milazzista voluto proprio da Macaluso, che in quegli anni dirigeva il Pci siciliano. Qui salta agli occhi la prima contraddizione dello scrittore, che non nascondeva affatto questo aspetto del suo carattere (volle per sé un curioso epitaffio: «contraddisse e si contraddisse»). Se Sciascia era davvero, e prima di tutto, contrario alla Dc, come non si stancava di ripetere, perché attaccò il Pci l’unica volta che era riuscito a mandarla all’opposizione, e invece, pur restando critico, si schierò con i comunisti al momento del «compromesso»? L’adesione militante (pur senza tessera) dello scrittore alla campagna elettorale del 1975, solo poco tempo dopo le stroncature subite dai giornali e dalla cultura comunista al Contesto, resta inspiegabile per Macaluso, contrario all’accordo con i democristiani soprattutto in Sicilia, dove significava venire a patti con la parte più confinante con la mafia. Eppure, in quell’ambito, Sciascia si muove senza remore: «A chi mi conosce personalmente o attraverso quello che scrivo, appare chiaro che non potevo trovarmi altrove - dice nel discorso che annuncia la candidatura al Consiglio comunale di Palermo, ma rivela la consapevolezza che molti possano non aspettarsela -. Il fatto che io abbia avuto spesso degli attacchi più da sinistra che da destra, da certi luoghi del Pci più che da altri partiti, dimostra che io sono più vicino al Pci che a qualsiasi altro partito». È lo stesso Sciascia che s’è battuto fino ad allora contro le debolezze e le acquiescenze del Pci, che in una famosa polemica con Giorgio Amendola, poi rinnovata con Ugo La Malfa, ha attribuito ai comunisti parte della responsabilità dell’avanzata del Msi e della rinascita di una cultura di destra nel 1972. Ancora, lo stesso Sciascia che aveva criticato i dirigenti comunisti degli Anni Cinquanta, responsabili della svolta milazzista, adesso scopre i «giovani dirigenti» che stanno per allearsi con la Dc paramafiosa di Gioia e di Lima. Ma conoscendone l’integrità morale e l’assoluta buona fede, Macaluso ricorda di aver pronosticato breve durata per quel fragile coinvolgimento, di averne pure parlato con Berlinguer, per metterlo in guardia da una rottura che quando avverrà, di lì a poco, sarà clamorosa. Oltre alla noia delle sedute notturne del Consiglio comunale e all’isolamento che avverte tra i politici di professione, Sciascia, infatti, a un certo punto, si sente usato e preso in giro. Ne verrà un risentimento inesauribile. E un incidente piuttosto imbarazzante tra il segretario comunista e lo scrittore, intanto approdato alla Camera con i radicali. In un pranzo a tre con Renato Guttuso, Berlinguer accennò alla possibilità che le Brigate Rosse, durante il caso Moro, avessero potuto godere di appoggi logistici da parte della Cecoslovacchia. Sciascia utilizzò questa confidenza in Parlamento, nella commissione d’inchiesta sul sequestro. Berlinguer querelò lo scrittore, che a sua volta lo controquerelò, ma fu smentito da Guttuso, schieratosi per disciplina con il leader del partito. Così, oltre al rapporto con il Pci, si ruppe anche l’amicizia tra due grandi siciliani. Gli ultimi anni di Sciascia sono quelli delle famose polemiche sul processo alle Br di Torino, in cui lo scrittore si schierò a favore dei cittadini che si rifiutavano di fare i giurati popolari, condividendone il senso di sfiducia nello Stato, e sui «professionisti dell’Antimafia». Sciascia subì nuovi durissimi attacchi non solo da sinistra, ma dalla parte più militante dei giornalisti, degli intellettuali e della società civile, nonché dai Comitati Antimafia, da cui il Pci non volle mai prendere le distanze per difenderlo. Macaluso descrive un partito ingessato dalla necessità di «non delegittimare la magistratura» e Natta, il successore di Berlinguer, incapace di sviluppare una sua posizione autonoma sui lati oscuri e sugli eccessi del pentitismo. Il racconto della solitudine di Sciascia negli ultimi giorni della sua vita è toccante, come quello dell’addio tra i due vecchi amici. Ma adesso che sono passati vent’anni - conclude l’autore - perché la sinistra non prova a riscoprire Sciascia, sottraendolo all’ingiusta appropriazione che ne sta consumando la destra?