Luigi La Spina, La Stampa 12/10/2010, pagina 10, 12 ottobre 2010
La scommessa azzardata del ministro Gelmini - E’ sicuramente il ministro più contestato del quarto governo Berlusconi
La scommessa azzardata del ministro Gelmini - E’ sicuramente il ministro più contestato del quarto governo Berlusconi. Il bersaglio preferito della satira in Tv che si accanisce contro la sua giovanile intransigenza, dipingendo la Gelmini come una zelante esecutrice dei “tagli” di bilancio imposti da Tremonti. Accusata, nella assemblee scolastiche e nei cortei in piazza, di volere addirittura affossare l’istruzione pubblica e imputata, nei consigli di facoltà, di sottoporre il potere dei docenti alle volontà di amministratori teleguidati dalla politica. In realtà, Mariastella Gelmini, ministro della scuola e dell’università, ha ambizioni più modeste e intenzioni meno luciferine, ma sconta una eredità pesantissima e lo scotto di una scommessa azzardata. Con indubbia intrepidezza d’animo e, forse, con un pizzico di ingenuità, il ministro di viale Trastevere si è trovato a guidare il dicastero più difficile dell’amministrazione dello Stato. Una struttura burocratica nella quale, da decenni, spadroneggiano due caste di “intoccabili”. La prima è quella dei sindacalisti che hanno trasformato una istituzione al servizio degli studenti e delle loro famiglie in un organismo di surrettizio welfare per la disoccupazione giovanile nel nostro Paese. La seconda è quella dei pedagogisti che, in nome di una pseudomodernizzante filosofia del metodo, hanno incoraggiato l’ignoranza specifica in favore dell’approssimazione generica. Con gravi danni collaterali al buon uso della lingua italiana. Arrivata con un bagaglio di buoni propositi, come quelli di favorire una migliore preparazione degli insegnanti, di premiare il merito, di scuotere il conservatorismo corporativo dominante, la Gelmini non ha giudicato sufficiente lo sforzo necessario per abbattere gli ostacoli, già enormi, che aveva davanti. Ma ha aggiunto una sfida inedita e temeraria, quella di capovolgere i tradizionali tempi dell’intervento: invece di “riformare per tagliare” ha deciso di “tagliare per riformare”. Così, in contraddizione con gli impegni di distinguere tra scuole meritevoli e scuole alla sbando, tra atenei virtuosi e fabbriche di illusioni, la scure della riduzione delle spese si è abbattuta, con cieca uniformità, sull’intero territorio dell’istruzione pubblica italiana. Con il risultato, inevitabile, di accomunare, sia nella protesta risonante, sia nel più insidioso muro di gomma della resistenza passiva, l’intero fronte degli addetti ai lavori. Questa mancata strategia delle alleanze ha fatto sì che, a metà della legislatura, il bilancio della sua guida al dicastero segni un divario notevole tra le enunciazioni di principio, in genere apprezzabili, e i risultati concreti, davvero ridotti. Un’opinione sicuramente condivisa dalla stragrande maggioranza di coloro che, senza pregiudizi ideologici, si battono quotidianamente per una scuola e un’università culturalmente migliori e capaci di formare giovani all’altezza della competitività internazionale nel mondo del lavoro. Lo scarto tra il riformismo, un po’ febbrile, della Gelmini e gli effetti, ancora modesti, della sua azione nella vita di scuole e atenei, al di là delle proteste per i tanti precari a cui non è stato rinnovato l’incarico e delle agitazioni per il futuro status dei ricercatori universitari, a rischio della stessa sorte, deriva anche da un’altra sua “illusione”. I rivoluzionari, quelli veri, non mantengono alla guida della rivolta gli stessi leader dei regimi che si vorrebbero abbattere. Perchè il trasformismo di tutte le burocrazie è prontissimo ad adeguare le proprie idee a quelle dei nuovi padroni, ma è prontissimo anche a realizzarle come fossero le vecchie. Con effetti gattopardeschi davvero sorprendenti. C’è speranza che, nella seconda parte della legislatura, se non verrà interrotta prima, la tempesta che si è abbattuta nelle scuole e nelle università produca meno polemiche e più utili frutti? Da una parte, l’esperienza dovrebbe far correggere le baldanze di un ministro, provvisto di molta determinazione, ma catapultato all’improvviso in un mondo sconosciuto e molto complicato. Dall’altra, il misoneismo delle corporazioni dovrebbe prendere atto che i risultati della preparazione degli studenti nelle scuole e il numero dei laureati in Italia, sanciti dai più seri confronti internazionali, impongono un deciso cambio di rotta. Si tratta di scegliere se mettere a rischio le proprie convinzioni e, magari, qualche comodità o mettere a rischio il futuro dei nostri figli.