Ugo Bertone, Libero 12/10/2010, 12 ottobre 2010
IL PAPA SCOMUNICA I PARADISI FISCALI
«Credetemi. A questi prezzi, i bond greci sono un affare». Dice così il ministro delle Finanze greco George Papacostantinou, ancora una volta nel mirino dei mercati. I titoli di Atene, infatti, veleggiano di nuovo attorno a rendimenti da brivido, circa 950 punti in più, cioè il 9,5% in più del Bund tedesco, una forbice simile a quella del maggio scorso. (...)(...) Ma Papacostantinou ha due carte buone su cui confidare per evitare il peggio. Primo, la comprensione del Fondo Monetario Internazionale. Proprio ieri il numero del Fmi, Dominique Strauss-Kahn (probabile candidato socialista alle elezioni presidenziali) ha detto all’agenzia Bloomberg che il Fondo è pronto a concedere una dilazione al rimborso dei prestiti della Grecia, 110 miliardi che dovranno essere restituiti fra tre anni. Ma prima sarà necessario ottenere il sì dell’Unione Europea, il primo creditore greco. E qui le cose si complicano, per l’intransigenza dei tedeschi. Ma la questione, dopo la sortita del Fmi, è sul tappeto.
Soprattutto, però, Papacostantinou può contare sull’effetto Bolla, che esce indenne dal vertice di Washington. E grazie all’assenza di sbarramenti riesce a trovare sempre nuove prede. Nonne è certo indenne la Cina che mescola pericolosamente da un lato scelte di svalutazione competitiva e dall’altro azioni di concentrazione del surplus commerciale in un fondo sovrano che punta all’estero invece che alla crescita del mercato interno. Chissà se il monito del magistero di Papa Benedetto XVI contro la finanza selvaggia dei «capitali anonimi» possa in qualche modo invertire la rotta.
TITOLI DI STATO
Intanto, la politica dei tassi bassi dei titoli di Stato, combinato con l’iniezione di liquidità a prezzo basso in arrivo dalle banche centrali, ha riportato di moda i junk bond ad alto rendimento e basso rating. Assieme alla passione per i titoli a lungo termine. O lunghissimo. Anche un secolo. E’ il caso del bond messicano in dollari emesso il 6 ottobre scorso dal governo di Città del Messico, con la collaborazione di Goldman Sachs e Deut-sche Bank: è stato un grande successo, al punto tale che il governo ha potuto raddoppiare l’offerta: da 500 milioni ad un miliardo di dollari che renderanno il 6,1 per cento annuo ai sottoscrittori. E ai loro nipoti e bisnipoti. Purché, naturalmente, non si decida di vendere prima.
All’apparenza sembra una follia. Anche nella seconda metà degli anni Novanta, in una stagione di tassi calanti, spuntarono alcune offerte centenarie. Ma a proporlo erano aziende dalla reputazione solidissima, come Coca Cola, Ibm e la stessa Walt Disney. Oggi imitate dalla Norfolk Southern, una ferrovia privata americana non nuova ad emissioni di questo tipo e dalla Rabobank, la solidissima banca pubblica olandese che ha spuntato un interesse del 5,80 per cento. Ma il caso del Messico è diverso: chi se la sente, contutto il rispetto, di metter la mano sul fuoco sullo stato di salute delle finanze di questo Paese tra un secolo? Certo, oggi il rapporto debito pubblico/Pil del Messico è pari al 39,5 per cento, un’inezia rispetto al 118 per cento italiano. Ma meno divent’anni fa, nel 1994, scoppiò la Tequila Crisis, cioè la grande fuga di capitali. Le previsioni a lungo termine possono giocare brutti scherzi. Prendiamo il caso della Cina che ha emesso di recente un bond a 50 anni per l’importo di 20 miliardi di renmimbi (circa 3 miliardi di dollari) assai appetito dagli operatori internazionali che prevedonol a rivalutazione della moneta di Pechino. Ma nessuno di questi acquirenti si ricorda l’amara sorte dei bond della vecchia Cina, emessi per far fronte alla guerra contro gli invasori giapponesi: l’ultima cedola è stata pagata nel 1939. Il debito residuo venne disconosciuto dalla Repubblica Popolare nel 1983, dall’allora presidente Deng Xiao Ping. Ancor oggi esiste un trust di creditori americani che cerca, invano, di riscuotere il credito.
CREDITI INESIGIBILI
Ma, ai tempi della Bolla, la speculazione non bada a questi richiami. E le Bolle, oggi, sono più d’una. Oltre a quella per i junk, infatti, imperversa la moda per i titoli dei Paesi emergenti: nei primi nove mesi del 2010 la finanza di questa parte del mondo ha attratto capitali per 40 miliardi, dieci volte tanto l’intero 2009. Il successo dell’emissione messicana, poi, è legato all’inclusione dei titoli di questo paese nel World Government Bond In-dex di Citigroup, una sorta di club dei Paesi con le obbligazioni migliori, a detta della banca Usa, per liquidità, trattamento fiscale, negoziabilità per gli stranieri. Da quando Citigroup ha promosso il Messico, invece del Brasile che cerca in tutti i modi, anche con l’imposizione di tasse, di frenare l’arrivo di quattrini che si traducono in inflazione, una pioggia di denari ha investito Città del Messico. Meglio provare a trattenerli, anche percent’anni. Chissà, forse è un buon affare. Anche se dai monti della Sierra non scendono più i guerriglieri di Pancho Villa, ma le milizie dei narcos.