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 2010  ottobre 12 Martedì calendario

ECCO CHI FABBRICA I DOSSIER


Non si può replicare a un tizio - Giuseppe D’Avanzo - che ha scritto amenità per due pagine intere di Repubblica, non si possono riprendere punto per punto le sue circonlocuzioni e specificare, ricordare, precisare, sbugiardare un tizio - Giuseppe D’Avanzo - che è partito dall’assunto che Vittorio Feltri «non è un giornalista» e che si è mosso, dalle parti di Feltri, «un network di potere occulto e trasversale concentrato nel lavoro di disinformazione specializzato in opera zioni di discredito», uno che - Giuseppe D’Avanzo - ha definito «fabbrica di miasmi» anche una commissione parlamentare d’inchiesta, uno che ha spiegato il giornalismo di centrodestra come l’atto di «fabbricare e diffondere messaggi che distorcono i fatti e inducono alla disinformazione», uno che ha liquidato il giornalismo del direttore del Giornale come «minaccia, violenza, abuso di potere». Non si può: è troppo anche chi, in passato, abbia sottoposto Feltri alle critiche più severe. Qui non siamo neppure al bue che dà del cornuto all’asino: siamo a Repubblica - basta la parola - che accusa chicchessia di fare campagne pataccare e mirate, siamo a un blocco mediatico-ideologico-identitario che accusa altri di esserlo, siamo alla lobby che denuncia il lobbismo, al demonio che parla di demonizzazione, insomma, non ridevamo tanto da quando il tizio - Giuseppe D’Avanzo - accusò Marco Travaglio di fare del giornalismo infamante: una lotta titanica tra scarabei stercorari.
Non si può replicare: ma si può formulare, come il tizio ama fare, qualche breve domanda.
1) Nel 1989 il Tizio scrisse su Repubblica, a proposito di Alberto Di Pisa - il giudice accusato di essere «il corvo» che voleva mascariare l’Antimafia siciliana e Giovanni Falcone - che «Forse Di Pisa è soltanto un uomo frollato dalla lunga attesa di un pubblico riconoscimento, di popolarità e potere, un piccolo uomo sbriciolato dall’invidia e dalla gelosia, precipitato nel gorgo di un risentito rancore». E poi però Alberto Di Pisa è stato assolto, completamente assolto: e D’Avanzo è rimasto muto, non si è rimangiato nessuno dei pessimi articoli che aveva dedicato all’argomento. Era giornalismo, quello?
2) Chi si ricorda del delitto di Mauro Rostagno? Quello che nel maggio 2009 si è scoperto essere un delitto di mafia contanto di esecutori già sotto processo? Quello del quale D’Avanzo scrisse e riscrisse assieme ad Attilio Bolzoni proprio su Repubblica? Quella che era tutta sbagliata e che fu condotta dal solito pm Antonio Ingroia, lo stesso che poi si è messo a ri-ri-fare la centesima inchiesta per dimostrare che nel 1992 ci fu una trattativa tra Stato & mafia con fisiologica nascita di Forza Italia? Ecco: colui che in quell ’in chiesta fu completamente sputtanato sichiama Francesco Cardella e nessuno gli ha mai chiesto scusa: è lui che fu accusato di assassinio assieme alla sua donna, Chicca Roveri, a lungo in carcere; e sono stati Giuseppe D’Avanzo e Attilio Bolzoni i campioni che hanno sostenuto quella tesiche per altro crollò pure, oltretutto: ed era già crollata anche quando, nel 1996, D’Avanzo e Bolzoni scrissero per la berlusconiana Mondadori il libro «Rostagno: un delitto tra amici» dove riproposero identica la tesi sbugiardata: cioè che un innocente era colpevole, anzi, era l’assassinio del suo amico. Ecco la domanda, comunque: era giornalismo, quello?
3) Nello stesso periodo la coppia Bolzoni & D’Avanzo aveva appena pubblicato anche “La giustizia è cosa nostra” per la stessa Mondadori del Cavaliere, un bel tomo tutto nero come la toga del giudice Corrado Carnevale che veniva impiccatoalle accuse d’aver favorito Cosa Nostra: poi ne è uscito scagionato anche lui, ma nessun ripensamento, nessuna resipiscenza, solo fango lasciato seccare. Dica, era giornalismo?
4) Ed eccoci finalmente all’inevitabile caso Noemi, la più spettacolare colata di fango dai tempi del Vajont, il vero giornalismo secondo Peppe D’Avanzo: un caso neppure penale, e però una storia - riuscìa scrivere lui, il tizio - che era «nata perché Berlusconi ha voluto farla nascere». E certo: era stato Berlusconi ad aver predisposto che una escort non dichiarata lo incastrasse e registrasse e fotografasse, era stato lui ad aver scritto una lettera all’Ansa per mettere in pubblico i risentimenti legati al suo divorzio. E però così insistette il neomatrimonialista D’Avanzo: «È Berlusconi che frequenta e poi decide di festeggiare una minorenne costringendo Veronica Lario al divorzio». Ah sì? E chi glie l’aveva detto? L’istinto giornalistico, forse. Dopodiché si piazzò in prima fila per chiedere ossessivamente a Berlusconi, titillando la stampa mondiale, se per caso - scusasse -non era per caso un pedofilo, un multipedofilo, se avesse «compromesso affari di Stato» o se per caso non fosse pazzo o malato, o se, ancora, non volesse «usare intelligence e polizie contro testimoni, magistrati o giornalisti». Divenne il fuochista ufficiale, l’incaricato affinché il tedo foro delle ormai demenziali «dieci domande»ardesse in eterno, passò un’intera estate asoppesare e a incrociare le uscite di Ghedini, di Noemi, di Berlusconi e della D’Addario con una seriosità e un linguaggio diviso tra la metodologia della ricerca storica e una richiesta di proroga delle indagini preliminari. Il tutto a margine di una campagna in cui venivano dilatate registrazioni su preservativi, sodomie e dolori dausura. Ma non si sentì nel ruolo del voyeurm di una campagna notoriamente fallita, si sentì come Kenneth Starr di fronte a Clinton davanti al Congresso. Era giornalismo. Il 20 luglio 2009 riuscì a scrivere: «Berlusconi sapeva che Patrizia era una prostituta...I documenti sonori dell’Espresso sono la risposta inoppugnabile all’interrogativo». Peccato che nell’inoppugnabile documento sonoro dell’Espresso si sentiva Gianpaolo Tarantini che diceva a Patrizia D’Addario: «Berlusconi non ti prende come escort, capito? Lui ti prende come un’amica mia che ho portato». D’Avanzo fece marcia indietro? Ma figurarsi. Non sarebbe stato giornalismo.
Repubblica tra l’altro estrasse dal cilindro anche una formidabile intervista a Gino Flaminio, presuntissimo ex fidanzatino di Noemi Letizia: solo che l’accademia di Largo Fochetti si dimenticò di precisare che il ragazzo era stato condannato per rapina a due anni e sei mesi con la condizionale: non aveva spiegato ai lettori, Repubblica, neppure lo status e la credibilità di chi stava intervistando. Forse il giornalismo secondo D’Avanzo non lo prevedeva. Ma sarebbe come non menzionare, fatte le debite proporzioni, se un testimone sia spontaneo o sia un collaboratore di giustizia con alle spalle un curriculum pluriomicida, tipo Gaspare Spatuzza. A proposito, vogliamo riparlarne, commissario Davanzoni? Oh no. Era l’ultima domanda per oggi.