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 2010  ottobre 11 Lunedì calendario

LA VIA STRETTA PER TOGLIERE LE CASTAGNE DAL FUOCO

L’Italia è in lutto per i quattro alpini del 7° reggimento caduti in un agguato nel distretto di Gulistan, nella provincia di Herat. Il cordoglio è generale. Con il Capo dello Stato, l’intera nazione esprime la solidarietà alle famiglie dei caduti ed all’Esercito. In totale abbiamo perso in Afghanistan 34 soldati, di cui 12 quest’anno. Le perdite sono aumentate per tutte le forze internazionali. La causa è stata l’intensificazione degli attacchi dei Talebani e gli esplosivi più potenti impiegati nelle loro mine, causa di circa due terzi delle perdite, a cui neppure il Lince ha resistito.
La strategia voluta dal presidente Obama non sta raggiungendo i risultati sperati. In Afghanistan si stanno combattendo due guerre. Una contro al-Qaeda; l’altra contro l’insurrezione talebana. La prima è stata praticamente vinta, anche se il successo deve essere completato. I seguaci di Osama bin Laden sono stati eliminati o sono fuggiti. L’organizzazione terroristica, pur continuando ad esercitare un forte richiamo ideologico, non è più in grado di organizzare maxi-attentati in Occidente. Si è frammentata. I suoi superstiti sono emigrati in altre regioni. Il nucleo più pericoloso continua a nascondersi nelle impervie regioni fra il Pakistan e l’Afghanistan. La presenza occidentale ha lo scopo di distruggerlo completamente, attaccandolo con raids di forze speciali e con i missili degli aerei non pilotati. Obama forse per fare qualcosa di diverso da quanto deciso da Bush ha voluto unire le due guerre, contrariamente all’opinione del vicepresidente Biden, che voleva concentrarsi sulla prima. Non per nulla l’Afghanistan, storicamente “cimitero degli imperi” lo è divenuto anche dei generali: prima MacKiernan, silurato da Gates; poi McChrystal, sostituito da Obama; oggi il dimissionario consigliere per la sicurezza nazionale, Jones.
La seconda guerra quella anti-insurrezionale si prefiggeva di afganizzare il conflitto, dopo aver messo il Paese in decorose condizioni di provvedere da solo alla propria stabilità e sicurezza. Per farlo, Obama prevedeva una conciliazione con i Talebani più moderati, il rafforzamento delle forze armate e di polizia afgane e l’esistenza di un efficiente governo a Kabul. Il raggiungimento di queste condizioni è più difficile di quanto previsto. I Talebani non vogliono trattare. La strategia da seguire in Afghanistan sarà discussa nel Summit Nato che si terrà a Lisbona a novembre. Sicuramente sarà modificata. Come non si sa. Il problema è di uscire dall’Afghanistan senza che il ritiro appaia una sconfitta dell’Occidente e quel disgraziato Paese non venga abbandonato nel caos. Una completa vittoria talebana scatenerebbe il terrorismo transnazionale. È questa la ragione per rimanere. Beninteso, per la Nato si tratta anche di non abbandonare gli Usa e tradire gli impegni presi con essi. Sarebbe anche un tradimento nei confronti dei sacrifici sostenuti dai nostri soldati.
Che cosa fare allora? Che cosa potrebbe proporre l’Italia? Che cosa potrebbe indurre i Talebani a negoziare con Kabul e consentire all’Occidente un dignitoso ritiro?
Una soluzione è già stata tentata. Quella di coinvolgere nel contrasto ai Talebani la Russia (che teme la diffusione del contagio islamista in Asia Centrale), l’Iran (che non vuole avere ai suoi confini uno Stato dominato da sunniti radicali appoggiati, oltre che dal Pakistan, dall’Arabia Saudita) e l’India, timorosa di un rafforzamento del Pakistan. È fallita. Tutti vogliono che sia l’Occidente a togliere per loro le castagne dal fuoco. La “conquista dei cuori e delle menti” degli afgani prevista da Obama si è rivelata impossibile. La massa della popolazione afgana ha paura dei Talebani, di cui prevede la vittoria ed il ritorno al potere. A nulla è valsa la riduzione delle perdite civili, diminuendo il ricorso al fuoco aereo e dell’artiglieria. Le perdite di civili afgani sono diminuite, ma sono aumentate quelle occidentali.
Forse l’unica strada ancora da percorrere è quella di resuscitare l’anti-talebana Alleanza del Nord, formata da Tagiki, Uzbechi e Hazara. Significherebbe la divisione del Paese e forse una nuova guerra civile. È quanto i Talebani temono di più. La minaccia di farlo potrebbe convincerli a negoziare con Kabul e consentire all’Occidente di ritirarsi senza perdere troppo la faccia. La strategia voluta da Obama potrebbe allora avere un dignitoso successo.