Chiara Bussi, Il Sole 24 Ore 11/10/2010, 11 ottobre 2010
PRODOTTI «GLOBETROTTER» NEL CARRELLO DELLE FAMIGLIE
Una parola di tre lettere che porta con sè i segni della globalizzazione. Descrive una padella rotonda, concava e alta, versatile nell’uso. Così il wok, strumento tipico della cucina cinese, che coniuga il gusto dell’esotico con la filosofia del salutismo, si sta affermando sempre di più anche sui fornelli italiani, vincendo le resistenze dei cuochi più tradizionalisti. Perché la globalizzazione non è certo una novità, ma sono inediti i suoi risvolti nella vita quotidiana dell’ultimo decennio. In un mondo sempre più interconnesso, il melting pot corre tra i bit. La rete accorcia le distanze e diventa il veicolo della nuova era della generazione Mc Donald’s 2.0. Dal settore agroalimentare alle auto, passando per l’abbigliamento e le calzature fino ai viaggi, è cresciuta dal 2000 a oggi la presenza di prodotti provenienti dall’estero. In alcuni casi i segni sono tangibili, in altri non vengono percepiti dal consumatore finale. Con alcune eccezioni, come la grande distribuzione o nell’editoria, dove si assite invece a un’inversione di tendenza, con un’avanzata della quota italiana. Una data spartiacque è stata il 2001, con l’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio.
Il mondo in un click
Che la rete sia la protagonista di questa nuova fase di globalizzazione lo si capisce dal boom dell’e-commerce. Secondo i dati di Casaleggio Associati, il valore delle transazioni via web è passato da poco più di 400 milioni del 2000 a 10 miliardi di euro nel 2009. «È un canale di vendita che ridefinisce il rapporto tra azienda e cliente», sottolinea Davide Casaleggio: le prime sono chiamate a riorganizzare i loro processi, mentre i secondi riescono a ottenere prodotti a un costo più vantaggioso. «Con internet si ha tutto il mondo davanti – dice Flavia Coccia, direttore operativo di Isnart (Istituto nazionale di ricerche turistiche) – anche il sogno diventa accessibile, tanto che accanto alla Francia, che si conferma meta preferita per le vacanze, nel 2000 come oggi, diventano sempre più gettonate le località africane, come Egitto o Tunisia, seguite da quelle asiatiche e americane».
Più proiettati verso il mondo esterno, ma anche crocevia di nuovi prodotti. La pasta che consumiamo sulle nostre tavole viene realizzata con grano duro proveniente per il 60% dall’estero. Negli ultimi nove anni, secondo l’Aduc (associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori) a fronte di un calo della produzione italiana del 18%, le importazioni sono cresciute del 27%. «Senza il contributo estero – sottolinea il segretario Primo Mastrantoni – il prezzo della pasta schizzerebbe alle stelle. Attenzione, quindi, ai riflessi autoctoni. Dobbiamo puntare sulla qualità dei nostri prodotti, ma non nascondere la testa sotto la sabbia, a meno che non decidiamo di stringere la cinghia».
Stesso discorso per pane e olio di oliva. Lorenzo Bazzana, responsabile economico della Coldiretti, solleva però il problema della tracciabilità. «Spesso – dice – la mancanza di etichette trasparenti non consente di sapere se mangiamo il prodotto nazionale o quello importato». Non solo. La concorrenza estera crea affanno per alcune colture, come aglio o limoni: «Il prezzo per il consumatore finale non cambia - prosegue Bazzana – ma per gli agricoltori diventa difficile riuscire a essere competitivi, tanto che spesso si decide di abbandonare quelle coltivazioni».
Abiti dal deserto
Cambia la mappa del "made in" anche per l’abbigliamento e le calzature. «Quest’anno la produzione nel settore del vestiario è sostanzialmente in linea con quella del 2000 – spiega Alessandra Romanò, direttore operativo di Databank, divisione di Cerved Group – ma la parte prodotta all’estero è aumentata del 20%». Cambia anche la geografia delle importazioni: «Se nel 2003 – sottolinea Romanò – la Romania era al primo posto, nel 2009 il primato è della Cina, che ha guadagnato 14 punti percentuali e sfiora il 30 per cento. Bucarest, invece, ha perso terreno ed è passata al terzo posto dopo la Tunisia». L’impatto della globalizzazione è evidente anche nel comparto delle calzature. Qui l’85% dei consumi deriva dall’estero.
Sono poi passati 83 anni da quando la prima auto straniera, una Chrysler, ha fatto il suo ingresso in Italia: era il 13 ottobre del 1927. «L’auto è in assoluto il simbolo della globalizzazione – afferma Sirio Tardella, direttore del servizio statistico dell’Unrae, l’Unione dei rappresentanti dei veicoli esteri – basti pensare alla provenienza dei diversi componenti. Il mercato italiano è stato abbastanza chiuso fino agli anni 70, poi è progressivamente aumentata la quota estera».
Diverso è il caso della grande distribuzione. Qui la presenza straniera è in calo. Anzi, la cessione, lo scorso agosto, della rete di 61 punti vendita del gruppo Carrefour in Puglia alla Megamark del cavalier Pomarico sembra far emergere un nuovo ruolo delle realtà locali. «Il territorio italiano – spiega il presidente di Federdistribuzione, Paolo Barberini – è molto frammentato, con difficoltà di distribuzione e vincoli burocratici. È innegabile, comunque, che dalla presenza straniera i distributori italiani abbiano recepito i criteri di efficienza, ma anche le tecniche di esposizione dei prodotti e il layout».