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 2010  ottobre 11 Lunedì calendario

Al cinema hanno rubato la pellicola. Ora i film arrivano dallo «spazio» (2 articoli) - Ogni tanto leggiamo di sfuggita notizie che hanno il sa­pore del tecnicismo

Al cinema hanno rubato la pellicola. Ora i film arrivano dallo «spazio» (2 articoli) - Ogni tanto leggiamo di sfuggita notizie che hanno il sa­pore del tecnicismo. Tipo: «Boom delle sale digitali in Ita­lia ». Ma in quella manciata di lettere è condensata la rivolu­zione copernicana che sta toc­cando, per i detrattori colpen­do, il cinema. Sì perché conti­nuiamo a dire «andiamo al ci­nema » ma poi non sappiamo che ciò che guardiamo non ha più niente a che fare con la «proiezione su schermo di una successione di immagini foto­grafiche positive con una fre­quenza molto rapida» (dizio­nario Treccani). Molte volte al­le nostre spalle non viene più proiettata la pellicola ma ripro­dotto un file immateriale, con­servato su un hard disk o rice­vuto via satellite. E la differen­za non la notano neanche i ci­nefili più esperti. La voce del vo­cabolario «cinematografo» o la sua abbreviazione «cine­ma » andrebbe quindi total­mente riscritta con tanti augu­ri ai futuri redattori perché do­vranno spiegare tutto ciò che oramai passa in sala. Il caso più recente, di cui Il Giornale ha dato conto, è stato la ripresa audiovisiva del musical Il mon­do di Patty riproposto in più di 200 sale attrezzate con i proiet­tori digitali. Sono stati strappa­ti più di 40mila biglietti che, al prezzo non proprio popolare di 15 euro (10 per il ridotto), fa un incasso intorno ai 500mila euro. E non è finita perché l’evento è stato prolungato per tutto il fine settimana. Risultati così lusinghieri, molto più di tanti film di prima visione, che dovrebbero far entrare di dirit­to Il mondo di Patty nel box- of­fice settimanale, ma di cui diffi­cilmente qualcuno darà conto visto che non si tratta di un film in senso stretto. Ma a fronte di questa «non pubblicità», c’è tutto un mon­do di proiezioni seguitissime, soprattutto nella vasta provin­cia italiana. Si va dai concerti esclusivi (gli U2 in 3D ad esem­pio), al teatro, all’opera, al bal­­letto, ai documentari a effetto (sempre in 3D)e,quasi per ulti­mo, ai film. Qualcuno griderà all’oltrag­gio del cinema anche se, a par­te essere un «male minore» (molto peggio allora la trasfor­mazione in Bingo), già più di 50 anni fa si poteva assistere a Lascia e raddoppia in sala. So­lo che oggi tutto è molto più professionale. Basta avere un proiettore digitale (la loro qua­lità viene definita dagli stan­dard 2K e 4K - il migliore ma presente in pochissime sale ­che rappresentano la risoluzio­ne in pixel della proiezione) e l’esercente, accordandosi con le varie società di distribuzio­ne che guadagnano con una percentuale sugli incassi, può disporre di un cartellone etero­geneo per i diversi tipi di pub­blico. Così è la sala, un po’ co­me il piccolo schermo, che si adatta al pubblico e non vice­versa. Ma come funziona il tutto tecnicamente? Il sistema è chiavi in mano. Le società che gestiscono i contenuti, le più importanti in Italia sono Micro­cinema, Nexo Digital e Digi­ma, hanno un vasto catalogo che spazia da ogni genere di spettacolo ai film. L’esercente sceglie il prodotto e la società glielo invia, il più delle volte con un segnale via satellite. At­tualmente in Italia, grazie al successo del 3D e agli incentivi statali (il cosiddetto«credito ci­nematografico » che tutti gli operatori del settore si auspica­no possano proseguire anche nel 2011), ci sono 651 sale cine­matografiche digitali in oltre 411 cinema e il 91 per cento di queste dispongono di capaci­tà 3D, un vero e proprio boom nel boom (nel 2009 da 50 sono passate a 400). E, a parte il caso di Il mondo di Patty andato in differita, il successo maggiore si misura negli eventi in diret­ta, unici ed esclusivi. Così i me­lomani non si perderanno la prima alla Scala il 7 dicembre che Microcinema offre alle sue 170 sale al prezzo consigliato di 12 Euro (l’anno scorso con la Carmen è stato un successo, 20mila biglietti in 70 cinema), i rockettari assisteranno al con­certo del loro idolo Bon Jovi il 10 novembre proposto da Digi­ma, mentre gli amanti del cine­ma, solo per un giorno il 27 ot­tobre, potranno rivedere un film di culto come Ritorno al fu­turo , grazie a Universal e a Nexo Digital che con il Legend Film Festival , la mostra cine­matografica dei capolavori senza tempo, a partire da no­vembre proporrà le «pellicole» più amate dal pubblico di tutti i tempi ( Via col vento , Rocky , Il padrino , Frankenstein Jr. , Gre­ase , A qualcuno piace caldo , La vita è meravigliosa ). Perché il cinema in sala non è morto. An­cora. Pedro Armocida *** Ma che magia in quelle «pizze» di 6 chilometri - A Salvatore Di Vita, nel frat­tempo divenuto regista, il vecchio Alfredo, proiezioni­sta di Nuovo Cinema Para­diso , prima di morire lasciò come ricordo una «pizza» con tutti gli spezzoni dei baci che aveva taglia­to dalle pellicole per ordine di don Adelfio. Ma oggi con questo diavo­lo di sistema digitale, capace di tra­smettere i film via satellite diretta­mente nelle sale, che cosa resterà in eredità a quelli come il piccolo Totò e come me? Ai preistorici gar­zoni di cabina, intendo. Agli schia­vi dei 35 millimetri. Ai cavalieri del­la croce di Malta, così si chiama, per la sua forma, il rocchetto denta­to che trascina i 24 fotogrammi al secondo. Agli accaldati fornaretti delle macchine Fedi, Prevost e Ci­nemeccanica. Ai virtuosi dei carbo­ni rivestiti in rame che andavano mantenuti sempre alla giusta di­stanza, che bruciavano fino a estin­guersi, che formavano l’arco voltai­co accecante e guai se si toccavano: alone ocra sullo schermo, volti di Humphrey Bogart e Lauren Bacall accartocciati, salva di «buuu» in sa­la, disonore e insulti. Che cosa metteremo da parte, d’ora in avanti, nel cassetto della memoria? Una bolletta di Eutelsat o di Telecom? Una parabola arrug­ginita divelta dal tetto? Che tristez­za. Io me lo ricordo bene il cinema vero, quello di una volta, uguale al cinema del terzo millennio solo per le poltroncine (adesso più co­mode, adesso imbottite anziché di legno, adesso col portabicchiere in cui infilare brente di popcorn puz­zolenti) e per lo schermo bianco, che gli spettatori vedono come un lenzuolone dalla trama fitta e inve­ce è tutto traforato come i sedili in pelle della Porsche e perciò lascia passare la luce attraverso i forellini, cosicché se vai nel retropalco vieni inondato dai volti cangianti e rifles­si s­pecularmente dei tuoi attori pre­feriti. Avrò avuto tre o quattro anni più del Totò di Nuovo Cinema Paradi­so quando entrai nella cabina di proiezione dell’Aurora. Terza me­dia, credo. Il mio primo lavoro retri­buito, un modo per non dipendere dalla famiglia durante gli studi. Poi sarebbe venuto l’Alcione. Una vol­ta persino il Filarmonico, la sala cit­tadina più elegante, perché s’era ammalato il proiezionista titolare: mettere le mani su 2001: Odissea nello spazio nello splendore del Todd-Ao 70 millimetri, colonna so­no­ra stereofonica a sei piste magne­tiche, mai più visto nulla di simile in vita mia. Ma quale digitale! Ma quale satel­­lite! Allora un film era qualcosa di concreto, di palpabile. Arrivava in rulli: sei, otto, dieci, anche di più. Si tagliava.S’incollava con una passa­ta d’acetone, usando lo stesso pen­nellino usato dalle donne per smal­tarsi di rosso le unghie. Si doveva stare bene attenti a congiungere le scene in modo che fosse rispettata la dimensione del fotogramma, al­trimenti sullo schermo si sarebbe materializzato il micidiale «fuori quadro», cioè una figura tagliata a metà da un’interlinea, con le gam­be al posto della testa e viceversa, nel qual caso altra salva di «buuu» in sala, altro disonore, altri insulti. Però che soddisfazione guardarsi controluce in anteprima le scene in­criminate, quelle che, semmai fos­sero passate indenni attraverso le forbici della commissione ministe­riale di censura, sarebbero state oscurate in sala a insindacabile giu­dizio del parroco, sempre pronto a coprire in extremis la bocca di pro­iezione col suo saturno, il cappello di don Camillo, per capirci, quello con la tesa larga che ricorda uno de­gli anelli dell’omonimo pianeta. Più che il peccato, di mortale la pellicola aveva il nitrato di cellulo­sa, altamente infiammabile. Se prendeva fuoco,l’ultima cosa da fa­re era spegnerla con l’acqua: esplo­sione assicurata. Ne sa qualcosa l’Alfredo interpretato da Philippe Noiret, che a causa di un incendio in cabina rimane cieco, anche se poi il regista Giuseppe Tornatore gli fa dire: «Ora che ho perso la vista ci vedo di più». Per noi proiezionisti della vec­ch­ia guardia c’era sempre in aggua­to l’incubo del kolossal, tipo La Bib­bia , tre ore scarse, o Via col vento , 238 minuti esatti, cioè 6 chilometri abbondanti di celluloide che, co­me racconto nel libro Cuor di vene­to , scorrevano fra i polpastrelli di pollice e indice fino a tagliarteli il venerdì pomeriggio, quando il cor­riere ti recapitava il film e tu dovevi rimontarlo e «passarlo» per scopri­re al tatto le giunte prossime a scol­larsi, e serpeggiavano sul pavimen­to come un mostro indomabile fi­no a riempire la cabina la domeni­ca notte, quando tentavi di smonta­re le pizze al volo durante l’ultima proiezione. Di quel cinema non resta più nul­la. Neanche il cortometraggio, an­dato perduto chissà quando e chis­sà come, che mi ero costruito non con i baci tagliati, ché a eliminare quelli aveva già provveduto il Cen­tro cinematografico diocesano, bensì con i loghi animati delle case di produzione. Il ruggente leone della Metro Goldwin Mayer incor­niciato nel fiocco di pellicola recan­te il motto «Ars gratia artis». La Tor­ch Lady della Columbia. La vetta in­cantata della Paramount. ( A propo­sito: raffigurerà il Ben Lomond Pe­ak dello Utah, la Cordillera Blanca del Perù o il monte Hermon della Palestina che qualche esegeta indi­ca al posto del Tabor come luogo della trasfigurazione di Cristo?). Il mister muscolo a torso nudo della Rank che suonava il gong di rame martellato davanti a una tenda ros­sa. Lo scudo col fulmine stilizzato della Rko Radio Pictures e quello di solida classicità romana della Tita­nus di Goffredo Lombardo. Bran­delli di pellicola sottratti al macero, rigati da migliaia di passaggi nel proiettore. Ma che, come le stelle brulicanti in cielo nei titoli di testa della Lux Film, erano un presagio di quella grande magia che fu la ci­nematografia. Tutto finito. Nell’era del digitale e del satellite ogni cosa ha da essere levigata, standardizzata, perfetta. Senz’anima perché senza difetti. Stefano Lorenzetto