Giovanna Lantini, il Fatto Quotidiano 10/10/2010, 10 ottobre 2010
L’ULTIMA BATTAGLIA (LEGALE) DI FRANCO TATÒ
Questa volta la partita è grossa e i rischi non pochi. Perfino per uno come Franco Tatò, al quale commissari straordinari, liquidatori, creditori e azionisti fanno un baffo. Anche quando si tratta di ex furbetti del quartierino come Danilo Coppola. Lui incassa sempre lauti guadagni, utile o perdita che sia. Il suo nome di battaglia è Kaiser Franz. Tatò, classe 1932, se lo è guadagnato, oltre che per i trascorsi in Germania, quando era tornato ad amministrare la Mondadori per conto di un Silvio Berlusconi fresco di annullamento del Lodo arbitrale che aveva assegnato la casa editrice a Carlo De Benedetti. Erano i primi anni Novanta e i giornalisti superstiti ricordano ancora le sue rampogne per gli articoli pubblicati per le testate del gruppo. Poi il Kaiser si è appuntato la medaglia di risanatore della Fininvest, di cui è stato amministratore delegato dal 1993 al 1995, proprio quando l’esposizione del Biscione preoccupava non poco le banche creditrici.
Il tracollo
del turismo
ORA LA SUA battaglia è quella sul fallimento dei Viaggi del Ventaglio, affossa-ti all’inizio dell’estate dal peso di 200 milioni di debiti. Il 28 ottobre il Tribunale di Milano deciderà sulla richiesta di fallimento avanzata venerdì dalla procura perlaIVVholdingdellafamigliaColombo, che controllava il tour operator. La questione è d’importanza non secondaria per Tatò, che era liquidatore dei ViaggidelVentagliodalgennaioscorso,assieme alla fedele Lucia Morselli e a Gaetano Bonavita. Presso la Corte d’Appello di Milano pende infatti una richiesta di revoca del crac del Ventaglio decretato a luglio dai giudici (che avevano bocciato la proposta di concordato del collegio di Kaiser Franz). L’udienza è prevista per gennaio 2011, ma difficilmente avrà esito positivo in caso di fallimento anche della cassaforte IVV. Il doppio crac, poi, potrebbe far scattare un’inchiesta per bancarotta fraudolenta, peraltro già nell’aria per il fallimento del Ventaglio e che allostatodell’artesembrerebbeevitabile solo con l’annullamento del fallimento stesso. E sarebbe un amaro boccone per Tatò che aveva tra l’altro previsto per la società e due controllate 4,78 milioni di euro di spese prededucibili (in altre parole crediti privilegiati in caso di insuccesso del concordato) di “accesso alla proceduraedigestionedellastessadinatura sostanzialmente professionale”. In compenso, in attesa di giudizio sulla proposta di salvataggio, Tatò si era visto assegnare uno stipendio di 225mila euro annui (600mila euro lordi la cifra complessiva stanziata per i tre liquidatori).
Il feeling
con le banche
POCA COSA, se confrontata con le lauteparcellecheilmanagerdiLodièriuscito a incassare in passato. Ma la partita, sebbene l’ago della bilancia non penda a suofavore,nonèancorachiusa.Unaiuto potrebbe arrivare dalle banche, che tra novembre 2009 e aprile 2010 hanno visto ridurre l’esposizione del gruppo nei loroconfrontiperquasi3,5milioni(11,9 milioni di debiti finanziari del gruppo al 30 aprile), con Unicredit che a luglio era pronta a firmare una nuova linea di credito da 6 milioni, previo riconoscimento della prededucibilità degli eventuali importi anticipati e non rimborsati. Tatò attende con la calma di chi è abituato a gestire situazioni spinose. E magari a farci anche soldi. Un po’ com’è accaduto qualche anno fa nella Ipi di Coppola. “Il consiglio di amministrazione attuale nella sua totalità costa meno del presidente precedente”, ha sintetizzato l’attuale vicepresidente del gruppo immobiliare, MassimoSegre,il14aprilescorsoinassemblea. Il riferimento era proprio a Tatò,cheneglianniincuièstatopresidente e ad di Ipi, dal 2007 al 2009, ha percepito complessivamente una cifra tra 2 e 2,6 milioni di euro. La società, invece, ha chiuso il 2007 con una perdita di 19,1 milionieunindebitamentofinanziariodi 287 milioni, mentre nel 2008 è tornata in utile per 10,1 milioni ( ma con 227 milioni il debito), salvo varare un aumento di capitale da 30,5 milioni. E in quegli stessi anni a Torino Tatò si faceva riservare la suite migliore di uno dei lussuosi alberghi del Lingotto in gestione alla stessa Ipi. Certo è che per Tatò gli appunti, in particolare quelli su stipendi e spese, non sono una novità. Nel 2004, per esempio, all’assemblea per l’approvazione del bilancio di Rcs, ci fu un azionista che puntò il dito sul suo stipendio di 547mila euro per i quattro mesi del 2003 in cui il Kaiser era stato presidente dell’editrice del Corriere della Sera. Cifra che va sommata ai 594mila euro percepiti dall’ex numero uno dell’Enel per i circa quattro mesi d’incarico nel 2002, per un totale di 1,1 milioni di euro. Spulciando nelle cronache finanziarie del 2005 si trovanopoitraccediunadisputaconl’allora ad dell’editrice, Vittorio Colao, sulle consulenze che Tatò avrebbe avviato dopo l’uscita dalla società. All’epoca si parlòdicirca3milioni di euro, inclusi affitto e utenze di un appartamento.
Sempre nel 2005 c’era stato un altro ciclone, che stavolta aveva riguardato l’Istituto Treccani, di cui Tatò è tuttora amministratore delegato accanto al presidente Giuliano Amato e al vicepresidente Cesare Geronzi. In occasione dell’approvazione del bilancio 2004 dell’Istituto, infatti, era esploso il caso delle “anomale” (ma nei limiti del budget)spesedirappresentanzaacarico dell’Encicopedia. Tra le quali ci sarebbero state anche le fatture (oltre 3 mila euro) per il ricevimento di compleanno della moglie di Tatò, la ex modella di trent’anni più giovane di lui, Sonia Raule, festeggiato a Portofino nel 2004, e quelle di un pranzo di rappresentanza due giorni prima dell’evento costato 2.760 euro. Rilievi offensivi “persino a parlarne” come ebbe a dire il manager all’epoca, sottolineando che le spese di rappresentanza sono per natura “insindacabili”. Tatò all’epoca parlò di complotto politico e, a proposito della Treccani,rimarcavailmiglioramentodeicontidellasocietàche,trail2006eil2008,gli ha versato uno stipendio complessivo di 930mila euro, un terzo circa dei quali in forma di bonus per i risultati conseguiti nell’anno precedente. E che nel 2004 aveva registrato il suo primo utile di 1,24 milioni per poi ripiombare nel rosso per 1,9 milioni di euro nel 2008 e per 3,3 milioni di euro nel 2009 (anno in cui, tra il resto c’è stata l’incentivazione all’esodo di parte del personale dipendente per 1,4 milioni di euro). Un risanamento, insomma, pagato a caro prezzo.
Ai tempi
dell’Enel
COSÌ COME ACCADDE per i sogni di grandezza nelle telecomunicazioni quando Tatò venne catapultato da Massimo D’Alema ai vertici dell’Enel. L’avventura che avrebbe dovuto contribuire a trasformare il gruppo energetico di Stato in una multiutility con interessi nella pay tv e nelle telecomunicazioni, si trasformò in un’esperienza da dimenticare: il solo lancio di Wind e l’acquisto di Infostrada da Mannesmann si trasformò in un bagno di sangue stimato in almeno 5 miliardi di euro. Insomma, meglio come risanatore che stratega.