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 2010  ottobre 09 Sabato calendario

ZIO TIBIA, “STRETTO” TRA L’AMICO PIDUISTA E LA SANTANCHÈ

La vicenda delle perquisizioni al Giornale è precipitata dopo due editoriali di Alessandro Sallusti. Nel primo, pubblicato il 16 settembre, sfoderava toni molto critici nei confronti di Emma Marcegaglia, che aveva osato criticare il governo di Silvio Berlusconi. Nel secondo, lunedì 4 ottobre, rivelava che i vertici del Giornale, direttore e vicedirettore, erano spiati da due procure, una del Nord e una del Sud. Torino e Napoli, aggiungeva a voce, fuori onda, in coda a un programma televisivo.
Dunque una misteriosa fuga di notizie aveva fatto arrivare a Sallusti uno spiffero prezioso: la rivelazione di avere i telefoni sotto controllo. In effetti, lui e Nicola Porro erano sotto osservazione da parte della procura di Napoli. Per questo tre giorni dopo, con grande urgenza, i magistrati napoletani Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock hanno fatto perquisire i due giornalisti, le loro abitazioni e i loro uffici in redazione. E si stanno interrogando anche su chi abbia fatto partire lo spiffero.
Sallusti è un giornalista
con una lunga storia alle spalle. Professionista dal 1981, ha lavorato al Giornale di Indro Montanelli, poi è passato al Messaggero, ad Avvenire e al Corriere della sera. Qui ha vissuto la sua stagione migliore. Cronista scrupoloso, ha raccontato più d’un retroscena delle indagini di Mani pulite. Indimenticabile il viaggio a Santo Domingo fatto nel 1993 con il collega Goffredo Buccini. Nell’isola caraibica i due hanno scoperto e intervistato il lati-tante più ricercato del momento, quel Giovanni Manzi, presidente socialista della Sea (la società degli aeroporti milanesi) che per sette mesi Antonio Di Pietro e la polizia italiana avevano cercato invano.
Poi Sallusti spicca il volo. Lascia il lavoro di cronista ed entra nelle cabine di regia dei giornali. Vicedirettore del Gazzettino di Venezia, direttore della Provincia di Como. Poi torna a Milano e, a fianco di Vittorio Feltri, fa decollare Libero. Condirettore prima e, dal gennaio 2007 al luglio 2008, direttore responsabile del quotidiano. Narra la leggenda che Feltri, agli inizi dell’impresa, gli abbia promesso: “Se arriviamo a centomila copie, ti regalo una Maserati”. Promessa non dimenticata da Sallusti che, raggiunto e superato l’obiettivo, sarebbe passato a riscuotere.
Nell’estate 2008 diventa editore e direttore dell’Ordine di Como, il giornale della Curia dove aveva lavorato da ragazzo. Ma un anno dopo Feltri lo richiama al suo fianco, chiedendogli di fare il condirettore del Giornale di Paolo Berlusconi. Dal 24 settembre 2010 è direttore responsabile, mentre Feltri diventa direttore editoriale. Ormai Sallusti è diventato, per il popolo degli antiberlusconiani, “Zio Tibia”, il Lotar di destra che difende il Capo in ogni salotto televisivo.
Eppure chi lo conosce bene racconta che Sallusti, arrivato al comando di un grande giornale, rimpiange i tempi avventurosi di Libero, vascello corsaro fatto crescere giorno dopo giorno fino alla “soglia della Maserati”.
Nei mesi scorsi hanno preso quota i rumors sul tentativo di acquisto del Giornale da parte di una cordata di cui dovrebbero far parte Feltri, Sallusti, la sua nuova compagna, la potente quasiministra Daniela Santanché, e lo stampatore-editore Vittorio Farina, rappresentato dal suo manager Luigi Bisignani, ex P2 di ieri e grande manovratore di oggi dei più sublimi distillati del potere italiano, visibile e occulto.
Santanché con la sua società Visibilia raccoglie pubblicità per il Giornale e per Libero. Figli e figliastri, si lamentano nel quotidiano oggi diretto da Maurizio Belpietro: Santanché impiega infatti tutte le sue energie e le sue relazioni per convincere gli imprenditori a investire sul quotidiano di via Negri, lasciando a Libero solo le briciole. Così le mitiche cene con gli inserzionisti si concludono con l’invito di Santanchè a far felice “il Presidente” che, si sa, è un uomo che sa cos’è la riconoscenza.
Ma la cordata Sallusti-Bisignani lavora in proprio. Ha un piano per sparigliare le carte e liberare, almeno formalmente, il Giornale dal conflitto d’interessi che lo inchioda al ruolo di house organ del berlusconismo. Non è andato finora in porto. Ma Zio Tibia e i suoi amici di cordata ci sperano ancora.