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 2010  ottobre 11 Lunedì calendario

«DA BAARIA A MUCCINO PASSANDO DA VALLANZASCA» —

Francesco Scianna non manca un Festival. Pensare che il suo profilo di attore si è definito soltanto due anni fa in Baària di Tornatore. A Venezia è apparso come il boss Francis Turatello nel film di Michele Placido su Vallanzasca; a Roma sarà un poliziotto in borghese. Le cose che restano di Gianluca Tavarelli, miniserie in 4 puntate su Raiuno, sarà presentato il 4 novembre in una serata evento. Due trame parallele che si incrociano, la storia di una famiglia dell’Italia di oggi in un lungo arco temporale. «Forse per questo è stato definito La Meglio Gioventù dei nostri giorni», dice Francesco, che recita con Claudio Santamaria, Paola Cortellesi e Lorenzo Balducci, il figlio di Angelo Balducci che, dopo essere stato coinvolto nello scandalo familiare, torna al cinema.
«Sono un agente che si occupa di un caso di prostituzione, dietro c’è un commercio di armi e droga», spiega l’attore siciliano. Ha vissuto i primi nove anni della sua vita a Bagheria, dove ha fatto in tempo a vivere una vita che non c’è più, conservandone gelosamente i ricordi: «La ricotta fresca nella palestra delle elementari, il vaccaro che poi ho ritrovato in Baària, la sveglia all’alba per andare a pescare sugli scogli con papà».
Bagheria nell’immaginario fa venire in mente la Cupola della mafia. «Mi sembrava un altro pianeta, la famiglia mi ha protetto da quel mondo lì, potevo scontrarmi per delle bravate, i coetanei che piombano in motorino e ti rubano il pallone...».
Il padre ingegnere trasferì per lavoro la famiglia a Palermo. Francesco da adolescente passava i pomeriggi al cinema: «Rimasi folgorato dalla poesia di Tempi moderni di Charlie Chaplin. Provai le stesse emozioni per i film con Bud Spencer e Terence Hill, la leggerezza, l’amicizia, il divertimento. E per i primi piani di Morgan Freeman in
Le ali della libertà ». Insomma si formò la sua Santissima Trinità cinefila e a 15 anni esclamò: «Voglio diventare attore». «Mio padre mi portò da un insegnante di teatro a Roma, mi aspettava ore e ore in macchina». Dopo un po’ di lezioni concluse da un monologo shakespeariano il verdetto fu: «Suo figlio è una spugna». Così nei suoi anni all’Accademia «Silvio d’Amico» (che gli valsero in Usa una borsa di studio all’Actors Studio) si ritrovò per davvero nel titolo del suo primo film: Il più bel giorno della mia vita. Virna Lisi, Margherita Buy, Luigi Lo Cascio. E poi lui alle prime armi: «Questa è la casa che cercavo, mi dissi». Francesco è uno che non si perde d’animo.
A New York ha ricevuto una «buca» d’autore dal suo idolo Sean Penn, con cui cercò di entrare in contatto «fingendomi produttore»; a Londra rimorchiò sull’autobus una ragazza che faceva l’attrice: «Mi portò a una lettura da L’Idiota di Dostoevskij. C’era Philip Seymour Hoffman: "Ha un teatro a New York", mi disse e io partii senza sapere se fosse lì». Non c’era. Però è la determinazione che conta. E quella non gli fa difetto.
E che cosa ha capito degli attori americani vedendoli da vicino? «Che davanti alla macchina da presa sono forti e potenti perché hanno meno filtri di noi . A me piace nascondermi dietro ai personaggi». Fra teatro e cinema, nel suo palmarès ha lavorato con Luca Ronconi e Giuseppe Tornatore, Emma Dante e Michele Placido: «Ecco, li lascerei accoppiati, i primi due dipingono bene i personaggi e ti conducono all’abisso in cui ti devi immergere per ricrearli; gli altri due lavorano di pancia, Emma dà peso all’espressività del corpo, Michele dialoga ad armi pari con l’attore e ti convince con uno sguardo».
Ha appena realizzato un corto intitolato Senza tempo di Gabriele Muccino: «Sono un regista anni ’60 che monta il suo film, come se stesse raccontando la storia d’amore che non è riuscito a vivere da giovane, come se volesse recuperarlo per liberarsene. Muccino ti vuole emotivamente cotto e preciso. Tre giorni di lavoro con lui sono più difficili di un intero film».
Per Gli angeli del male, il film su Vallanzasca ha conosciuto il figlio di Turatello, il boss ucciso della Milano anni 70: «Lavora in un’agenzia di viaggi, mi ha mostrato le foto del padre nel privato, senza la maschera, era come un bambino che amava giocare». Ha conosciuto Renato Vallanzasca sul set? «Sì, dice battute che fanno ridere ma è disarmante, ha uno sguardo indecifrabile. Avrei voluto fargli delle domande, è prevalso il pudore». Ma le polemiche sollevate dai parenti delle vittime? «Me lo sono posto il problema del rispetto. Poi leggendo il copione, conoscendo Kim Rossi Stuart che è il protagonista, ho capito che avremmo raccontato una storia forte senza usare il fascino di Vallanzasca. Ci sono verità che fa bene raccontare. A me non è venuta voglia di fare una rapina dopo aver visto il film a Venezia».
Valerio Cappelli