Virginia Piccolillo, Corriere della Sera 11/10/2010, 11 ottobre 2010
BOMBE SUGLI AEREI, E’ POLEMICA TRA I POLI —
Bombardare i talebani? All’indomani della strage degli alpini in Afghanistan, il tema lo lancia il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. «L’Italia è l’unico Paese che in Afghanistan non ha armato i propri bombardieri con le bombe, tutti gli altri lo hanno fatto» sottolinea nel programma In mezz’ora di Lucia Annunziata. «Per mia decisione si è stabilito che i caccia venissero utilizzati soltanto con il cannoncino di bordo», rimarca. Ma ora «non voglio più decidere da solo» e «di fronte a quello che sta avvenendo chiedo alle Camere di decidere».
Una richiesta esplicita al Parlamento, affinché riconsideri la nostra «missione di pace», che solleva un acceso dibattito alla vigilia del rientro delle salme dei quattro militari italiani che saranno accolti a Ciampino dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dal premier Silvio Berlusconi. Netto il «no» di Italia dei Valori, Verdi e Rifondazione e altrettanto netto l’aperto consenso del Pdl che con Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri motiva con «l’ulteriore salto di qualità dell’attacco al nostro contingente» la necessità di armare con le bombe i nostri caccia (ma il leghista Zaia ha subito detto che «bisogna riportare a casa i nostri ragazzi»). Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani sollecita un chiarimento di fondo: «Invece che decidere sulle bombe chiariamo il nostro ruolo». E aggiunge: «I talebani non possono vincere la partita e noi non possiamo disattendere gli impegni presi, ma l’Italia deve far sentire la propria voce per cercare di capire cosa succede a metà dell’anno prossimo». Piero Fassino è costruttivo sulla necessità di un confronto serio: «Penso che il Parlamento debba discutere escludendo provvedimenti propagandistici che non servono per la sicurezza vera dei nostri militari e valutando attentamente i rischi di cui ha parlato il ministro». Contrario al ritiro ma favorevole a «una profonda revisione» si era detto, prima dell’intervista di La Russa, anche il leader Udc Casini.
A frenare è il prodiano Arturo Parisi che avverte: sarebbe una «decisione storica» che costringerebbe a cambiare la nostra Costituzione. Giacché «partecipare al pari degli altri a quella che gli altri definiscono guerra equivale a riconoscere di partecipare a una guerra. Ma la nostra Costituzione, a differenza di quella di molti alleati, non consente la guerra se non entro limiti estremi e precisissimi».
Ma allora ci si deve attendere un voto costituzionale? Il ministro La Russa assicura: «Non ce n’è bisogno. La natura della missione, e Parisi lo sa, non è determinata dal tipo di arma, ma da come la si usa. Se uso le bombe per colpire i talebani che stanno attaccando o per colpire obiettivi terroristici, non certo civili, non è guerra». Ma che senso ha armare i caccia mentre si prepara il ritiro? La Russa precisa: «Nel 2011 cominceremo ad andarcene se saremo riusciti a conquistare alla sicurezza le aree in cui potremo essere solo addestratori. Altrimenti occorrerà attendere 1-2 anni. La vera missione è iniziata solo da 2 anni, con le basi avanzate che consentono di conquistare e mantenere il territorio. Ma questo aumenta i rischi. Per questo c’è la necessità di aumentare la sicurezza. Altrimenti o dovremo stare lì mille anni o è stato inutile andarci». «Se è una missione di pace La Russa mandi suo figlio a sganciare le bombe degli aerei», attacca Felice Belisario (Idv). Accusano La Russa di irresponsabilità per non considerare il pericolo di rappresaglie Verdi e Rifondazione. Mentre per Luigi de Magistris (Idv) «il governo deve impegnarsi a discutere una exit strategy».
Virginia Piccolillo