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 2010  ottobre 10 Domenica calendario

LA TIPOGRAFIA DEI TALLONE, UN CARATTERE PER IL FUTURO - A

d Alpignano, presso Torino, nella vecchia casa di campagna dei Tallone, da cinquant’ anni opera un editore e stampatore che si preoccupa soltanto del futuro. Si potrebbe definirlo d’ avanguardia, ma nel Novecento questo termine ha assunto più significati di quanti ne avrebbe potuto sopportare e oggi è stanco. La tipografia di Alpignano è un luogo dove si guarda avanti, non perché in questa officina vedano la luce libri con tecniche di ultima generazione, ma per il semplice motivo che è una delle pochissime al mondo attrezzate per realizzare opere che vivranno nei prossimi secoli. Non è un mistero: quasi tutta la carta che maneggiamo, dal biglietto da visita al volume, è condannata a morte. Resiste qualche decennio, poi si compromette e si prepara a una irreversibile polverizzazione. Nell’ era delle abolizioni delle pene capitali la feroce sentenza è recata dal pH acido, un giudice che è anche una buona scala di misura e ricorda come le carte divengano sempre più tossiche a mano a mano che passa il tempo. Ad Alpignano, dai Tallone, è consentito l’ accesso soltanto alle carte con un pH neutro, come in talune biblioteche americane. C’ è di più. I caratteri tipografici che le attendono sono unici: qui se ne sono raccolti più che in un museo e tutti sono operativi. Vi potete trovare quello cinquecentesco di Garamond, oppure il settecentesco Caslon (per la precisione: 1720); non mancano i barocchi di Nicolas Kis (1680) o quelli di John Baskerville (che nacquero in pieno secolo dei Lumi), infine c’ è il Carattere Tallone. Venne studiato interpretando i bisogni della modernità e coniato nel 1949 a Parigi dall’ incisore e punzonista Charles Malin. Il grande artefice di codesta raccolta, Alberto Tallone, dopo aver girato mezzo mondo lavorò nella capitale francese e qui, oltre quel gioiello che reca il suo nome, ha creato anche un corsivo in omaggio all’ inventore del genere: Aldo Manuzio. Madino - così era chiamato Alberto in famiglia e dagli amici - lo catapultò nel Novecento, sempre con l’ aiuto di Malin, convinto di utilizzarlo anche in libri con centinaia di pagine, adatto alle lunghe letture e non soltanto da spendere nelle dediche. Per la bisogna lo ripensò partendo dalle proporzioni di Palladio. Le pagine ad Alpignano, dove la tradizione di Alberto continua, sono meditate, calcolate e composte a mano. Per ogni titolo si sceglie formato, carattere, carta. La bellezza dell’ impaginato e le sue proporzioni sono un altro lasciapassare per il futuro. Il fine che guida questo lavoro è semplice e nobile al tempo stesso: leggere e interpretare nel migliore dei modi un’ opera, adattarsi al bisogno dell’ occhio e all’ argomento trattato. Lo hanno capito i personaggi che ad Alpignano si sono avvicendati, da Pablo Neruda a Riccardo Bacchelli, da Gianfranco Contini a Norberto Bobbio, da Luigi e Giulio Einaudi a Mario Luzi a Dario Del Corno. Lo comprese con un secolo abbondante di anticipo anche un letterato come Vincenzo Monti, il quale si commosse allorché Giambattista Bodoni coniò appositamente dei caratteri per un’ edizione dell’ Aminta di Torquato Tasso, tali da favorire l’ «ingresso» del lettore nella fiaba. Lui, curatore, rimase di stucco nel vedere che lo sguardo era guidato nella lettura e che tra lo stampato e la restante parte bianca della pagina si era creata un’ intesa perfetta. L’ 11 gennaio 1794 scriveva al celebre tipografo: «Non posso saziarmi gli occhi di questa edizione, né posso trovar parole per ringraziarvi di dono tanto prezioso». Insomma, ad Alpignano si curano i dettagli e si pratica un’ estetica concreta, si selezionano carte, si discute sul carattere più adatto, si fanno prove. E tutto questo avviene da mezzo secolo, allorché Madino Tallone lasciò Parigi per trasferirsi qui, con la moglie Bianca e i figli Aldo ed Enrico. Era il 15 ottobre 1960. All’ inaugurazione Luigi Einaudi portò una botticella del suo Dolcetto. Oggi, dopo la scomparsa del fondatore (e di Aldo), la tipografia che strizza l’ occhio al futuro è condotta da Enrico e Maria Rosa, con il concorso di Eleonora, Elisa e Lorenzo, i loro figli. La mostra che si inaugurerà il 14 ottobre a Milano evocherà l’ arte di Madino mostrando i frutti di una tradizione che non si arrende. Nel guardare i fogli, le carte, i libri - tra i curatori attuali ricordiamo Giuseppe Bellini, Yves Bonnefoy, Franco Cardini, Carlo Carena, Guido Ceronetti, Gianfranco Ravasi, Mary de Rachewiltz, Salvatore Veca - ci si accorge che l’ arte tipografica del libro non si cura del tempo. Ha bisogno di secoli per concedersi una modifica, si muove lentamente e non disdegna i ritorni. Per esempio, un carattere cinquecentesco, se è ancora in grado di soddisfare l’ occhio, non muore; una creazione contemporanea di Diderot e finita in una pagina della sua Encyclopédie può ancora attendere il definitivo tocco. Alpignano resta il luogo dove le opere in poesia o in prosa, antiche o moderne, fanno la coda per entrare in libri che, a tiratura limitata, navigheranno nel futuro. C’ è in tale rovesciamento di prospettive un’ arte gelosa che richiede pazienza e sacrifici come poche altre. Ma questo è anche il lascito di Alberto Tallone, che dopo aver viaggiato e vissuto in un mondo dove era possibile ancora stupirsi, decise di fissare qui il suo quartier generale, trasportando i caratteri, le carte raccolte chissà dove, portandoci gli autori, dibattendo con loro prima di far nascere un’ opera. Alberto sposò Bianca a Vinci (aveva trent’ anni meno di lui), in pochi giorni, dopo essersene innamorato follemente. Era andato là per poter stampare Leonardo Architetto di Alberto Sartoris, per vedere il luogo, le proporzioni, per respirarne l’ aria. Allora usava così. C’ è qualcosa ad Alpignano che, oltre le macchine piane della tipografia, i caratteri, le carte, le foto (non mancano quelle di De Gaulle e del nunzio Roncalli che rendono omaggio a Madino, allora a Parigi) rivela la singolarità del luogo: una locomotiva. Guido Tallone, il fratello pittore, la comperò con Alberto dalla Fiat, che l’ aveva destinata alla rottamazione. Fabbricata a Saronno nel 1900, forse è la più antica macchina italiana a vapore conservata. La vendette Valletta in cambio di alcuni classici danteschi e di un quadro di Guido. Gli operai addetti alle demolizioni erano già con la fiamma ossidrica in mano, ma furono fermati pochi minuti prima che il fuoco cominciasse a violare questo cimelio. Ad Alpignano raccontano che ci rimasero male. Poi la grande locomotiva fu posta nel giardino dei Tallone, venne costruita una linea di 45 metri che collegava le case di Guido e di Madino. Si facevano visita l’ un l’ altro mettendola in pressione, tirando la sirena dopo gli sbuffi del vapore, ricordando l’ epoca dei loro viaggi, quando la natura li raggiungeva ai finestrini di un treno e non si doveva cercarla e scoprirla come una rarità. Diventò una parte della tipografia, anzi per taluni aspetti ne testimoniava il carattere, e ricordava ai visitatori che i padroni di casa avevano un ospite fisso, che un giorno si chiamava sogno e quello successivo fantasia. Per questi e per altri motivi la locomotiva conobbe un successo singolare. Autori quali Miguel Ángel Asturias o Pablo Neruda o Gianfranco Contini, dopo aver discusso di pagine e caratteri, chiedevano di poter fare il loro piccolo viaggio. Madino guidava. Del resto, Diego Valeri scrisse che per quanto si tenti di fare il giro del mondo, un giorno ci si accorge di non aver fatto altro che quello del proprio giardino.
Armando Torno