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 2010  ottobre 11 Lunedì calendario

3 ARTICOLI - DOSSIER ACQUA

LA RISORSA IDRICA STA DIVENTANDO UN BENE SEMPRE PIÙ PREZIOSO DA SALVAGUARDARE CON STRATEGIE PUBBLICHE EFFICIENTI E COMPORTAMENTI PRIVATI CONSAPEVOLI - Inondazioni e siccità. Le cronache continuano a rimandarci, in momenti alterni, questi messaggi di allarme solo in apparenza contraddittori: sul pianeta c’è molta acqua ma in certi momenti e in certe zone non basta. La risorsa idrica, anche a causa del cambiamento climatico, sta diventando un bene sempre più prezioso e la sua natura di elemento essenziale per la nostra sopravvivenza torna in primo piano. Ma quanto siamo consapevoli di questa nuova importanza del ruolo dell’acqua? Quali sprechi possiamo evitare? E quale acqua conviene consumare nella nostra dieta quotidiana?
Le risposte che emergono da un dossier messo a punto dalle Coop per lanciare una campagna di uso consapevole dell’acqua sono allarmanti. Il punto di partenza dell’analisi è il crescente contrasto tra domanda e offerta. L’offerta è sostanzialmente stabile, con una tendenza al ribasso per via dell’inquinamento che incide in maniera sempre più preoccupante sulla disponibilità di acqua sicura. La domanda invece cresce a velocità impressionante.
A livello mondiale nell’arco del ventesimo secolo — ricorda il dossier — i consumi di acqua si sono moltiplicati per nove. E tra il 1980 e il 2004, per effetto dell’aumento della popolazione, dell’inquinamento e del prelievo crescente, la quantità a disposizione di ogni essere umano è diminuita del 40 per cento: «Non basta: nel 2025 la dote pro capite sarà meno di un terzo di quella del 1950. Oggi consumiamo più acqua di quella che il ricarico naturale delle falde ci mette a disposizione: viaggiamo in rosso e colmiamo la differenza utilizzando l’acqua fossile, le falde sotterranee profonde non rinnovabili». E la situazione sarà ancora più critica quando oltre 2 miliardi di persone si aggiungeranno al bilancio del pianeta: già ora sono in crescita le tensioni internazionali attorno alle del pianeta dove l’acqua è più scarsa.
Cosa può fare in concreto ognuno di noi di fronte a un quadro del genere? Innanzitutto bisogna compiere scelte sagge in agricoltura, il settore che assorbe circa il 70 per cento dei consumi idrici: inutile insistere su colture che per rendere chiedono troppo acqua e pesticidi, meglio puntare sulle piante adatte al luogo e capaci di crescere anche in condizioni difficili. In casa evitare gli sprechi conviene all’ambiente e al portafoglio: azionare lo sciacquone del water costa fino a dieci litri di acqua, un bagno anche 150 litri, mentre per una doccia ne bastano 3050. Per ridurre i consumi — a parità di servizi — si può applicare una semplice manopola di dosaggio per lo sciacquone, mentre aggiungendo alla doccia un frangigetto, cioè un miscelatore di acqua e aria, si contengono i consumi di acqua entro i 9 litri al minuto. Inoltre comprando elettrodomestici ad alta efficienza si risparmia non solo energia ma anche acqua: tra una lavatrice di ultimo modello e una old style ci può essere una differenza che oscilla tra i 50 e i 100 litri di acqua in meno per la macchina più nuova, mentre per la lavastoviglie il risparmio va da 15 a 20 litri a lavaggio.
E per bere, meglio la minerale o l’acqua del rubinetto? L’italiano è un accanito consumatore di acqua minerale in bottiglia: la spesa in questo settore è cresciuta del 3 per cento l’anno negli ultimi 15 anni e oggi si consuma in media mezzo litro di acqua al giorno in bottiglia a testa alimentando un mercato da 3 miliardi di euro l’anno. Ma quanto ci costa questa scelta dal punto di vista del bilancio familiare e di quello ambientale?
Dal punto di vista economico sono, secondo i dati Istat del 2008, circa 240 euro all’anno per una famiglia di tre persone. Dal punto di vista ambientale l’impatto prodotto dalla produzione, dal trasporto e dallo smaltimento degli oltre 12 miliardi di litri di acqua minerale ha le seguenti ricadute: «Produzione di circa 8 miliardi di bottiglie, pari a 240 mila tonnellate di plastica, come il peso di 44.000 elefanti; emissione di circa un milione di tonnellate di CO2 equivalente, un valore dello stesso ordine di grandezza rispetto a quello generato per l’illuminazione pubblica di Pechino; implementazione dei trasporti di 480 mila tir che, messi uno dietro l’altro, formano una fila lunga circa 8 mila chilometri, come da Roma a Mosca e ritorno».
Del resto anche l’acqua del rubinetto ha i suoi problemi, con sprechi che toccano punte di oltre il 40 per cento. Ma nel complesso entrambi i tipi di acqua — quella del rubinetto e quella minerale — offrono in Italia ampie garanzie sul piano della sicurezza: lo provano i costanti controlli che tengono conto di decine di parametri.
Il dossier delle Coop non fa una netta scelta di campo a favore di uno dei due tipi di acqua (l’importante — si osserva — è assumerne in media un po’ più di 2 litri al giorno, più o meno metà attraverso le bevande, il resto soprattutto attraverso i cibi), ma invita i consumatori a fare la lo scelta in maniera consapevole.
Chi vuole comprare l’acqua minerale può orientarsi verso quella più adatta alle proprie esigenze tenendo d’occhio anche l’impatto ambientale della sua scelta e in particolare facendo attenzione a due fattori: la quantità di chilometri percorsi da ogni bottiglia e la quantità di plastica utilizzata nel confezionare la bottiglia (il 79 per cento delle bottiglie è in plastica).
Chi invece sceglie l’acqua del rubinetto può comunque optare per una correzione di gusto. Si possono usare sistemi di microfiltrazione a carboni attivi, caraffe filtranti e anche apparecchi che permettono di aggiungere gas all’acqua: dal rubinetto ma con le bollicine.
ANTONIO CIANCIULLO, la Repubblica affari&finanza 11/10/2010

LA RETE PUBBLICA DÀ GARANZIE MA C’È IL NODO DELL’ULTIMO MIGLIO MOLTI CONSUMATORI RESTANO SCETTICI, SOPRATTUTTO SUL PIANO DELLA QUALITÀ, DI FRONTE ALLE OFFERTE DEGLI ACQUEDOTTI. MA I CONTROLLI SONO SEVERI E COSTANTI - «Dimenticatevi la minerale e bevete l’acqua che "sgorga" direttamente dal rubinetto: è sicura, gradevole, pulita, costa meno di quella imbottigliata, è più pratica. E soprattutto permette di risparmiare e di ridurre la produzione di montagne di vetro e di plastica». E’ la moral suasion con cui i sostenitori dell’acqua del rubinetto, attraverso le numerose campagne pubblicitarie ecologiste, tentano di convertire gli italiani «a bere in modo responsabile». Sollecitazione a cui, generalmente, i cittadini rispondono con due interrogativi: Possiamo fidarci? Chi ci dice che l’acqua pubblica sia davvero buona? Interrogativi che diventano tanto più legittimi ogni volta che sui media vengono diffuse notizie di qualche irregolarità su un acquedotto. Con conseguente diatriba tra i due mondi che si dividono la gestione dell’oro blu: l’acqua del rubinetto e l’acqua in bottiglia.
Diatriba che Alessandro Zanasi, farmacologo e idrologo dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, nonché direttore del Museo della Cultura dell’Acqua e delle Acque Minerali di Crodo, neutralizza subito con una premessa: «E’ sufficiente informarsi per scoprire che l’acqua pubblica è garantita, perché è uno dei settori più vigilati, monitorati e controllati». L’esperto, però, puntualizza: «Contrapporre le acque in bottiglia alle acque del servizio pubblico (distribuite dall’acquedotto locale), è un "non senso" perché si tratta di acque con origini e caratteristiche diverse, disciplinate da differenti normative. Entrambe le tipologie di offerta hanno l’obbligo di rispettare precisi requisiti di legge in termini di potabilità sia chimicofisica che microbiologica, ma assumono ruoli diversi: mentre l’acqua proveniente dai tubi dell’acquedotto viene utilizzata per molteplici scopi (bere, lavare, cucinare, irrigare….) a un basso costo, quella in bottiglia (che ha un costo nettamente superiore) ha il compito esclusivo di essere utilizzata per bibita, offrendo caratteristiche peculiari, quali una costanza di composizione nel tempo, una purezza originaria, possibili effetti salutistici specifici e non ultimo un gusto gradevole».
Zanasi insiste su quest’ultimo aspetto: «Il nostro organismo normalmente non ha bisogno di acque speciali, per cui il tipo di acqua da bere dipende spesso dai gusti». Per quelle di acquedotto, in particolare, «il sapore dipende da dove vengono, dalle caratteristiche di base, da fattori ambientali come piogge e piene dei fiumi, per non parlare dello stato di salute della rete idrica o del tipo di trattamento di potabilizzazione e depurazione (solitamente si tratta di clorazione) cui vengono sottoposte». Questo ovviamente parlando di acque che sono, comunque, pienamente potabili. Perché è doveroso ricordare che diverse Regioni hanno chiesto deroghe, per poter garantire la potabilità. Può trattarsi di cause derivanti dall’eccessiva presenza di sostanze d’origine vulcanica del terreno, di residui della clorazione delle acque stesse o di problemi legati alle lavorazioni agricole e all’inquinamento.
E’ qui che entra in campo un altro elemento non trascurabile, speculare sia per l’acqua pubblica che per quella minerale: la trasparenza. «In teoria esiste, in pratica no: perché mancano informazioni dettagliate», osserva Zanasi. Che aggiunge: «E’ fondamentale che un cittadino sappia esattamente che cosa gli esce dal rubinetto. Ma non sempre è facile trovare dati chiari, aggiornati tempestivamente e accessibili a tutti. Anche se su questa strada si stanno muovendo in molti». Sono, infatti, 25 le realtà che — aderendo alla campagna "Acqua di rubinetto? Sì, grazie", lanciata da Legambiente e Federutility — si sono impegnate a favorire la massima trasparenza sulla loro attività. E tra queste aziende ci sono sì piccole realtà, ma anche giganti come Hera, Acea, Mediterranea acque, Enia, A2A, Acquedotto pugliese che servono milioni di famiglie in diverse regioni.
La trasparenza è importante, ma lo è altrettanto la gestione della rete idrica. Un aspetto, questo, che Legambiente e Federutility sottolineano evidenziando che «una famiglia italiana di tre persone spende mediamente poco meno di 20 euro al mese per la bolletta idrica: quasi 240 euro l’anno». La stessa famiglia, residente a Roma, paga un importo complessivo di 177 euro/annuo per un consumo di 200 mc di acqua (200 mila litri d’acqua). A Milano 103 euro/annuo. Cifre inferiori rispetto ad altre capitali europee: Berlino 968 euro/annuo, Parigi 733euro/annuo e Bruxelles 548euro/annuo. Grandi differenze, però, si notano anche a livello nazionale dove sono stati registrati picchi ad Agrigento (440 euro/anno), Arezzo (410 euro/anno) e Urbino (409 euro/anno).
Il problema è anche un altro, ed è forse il più grave: quello comunemente chiamato dell’"ultimo miglio". Se è vero che in Italia l’acqua del rubinetto dà quasi ovunque ampie garanzie di qualità, è altrettanto vero che la stessa è controllata fino all’allacciamento con le case: da quel punto in poi la responsabilità dell’acqua, della gestione delle tubature e delle eventuali cisterne è dei cittadini. Questo può rappresentare l’anello debole della sicurezza garantita dalle acque potabili. In questo caso, il salto di qualità è rappresentato dalla cosiddetta "cultura dell’acqua": ovvero, la conoscenza da parte del cittadino del prodotto che esce dal rubinetto, con le sue relative caratteristiche chimiche, per poter intervenire manualmente.
Due passaggi facilmente percorribili: nel primo caso, rivolgendosi all’acquedotto di competenza, l’Asl e gli enti territoriali che sono in possesso di questi dati. Anche se, dall’aprile scorso, esiste un modo più pratico per ottenere questo tipo di informazioni: ad esempio, l’analisi può essere eseguita "faidate" utilizzando un kit, messo a punto dal laboratorio ZooPlantLab del dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università Bicocca di Milano. Il funzionamento è semplice: bisogna immergere in mezzo bicchiere d’acqua 5 strisce di carta e aspettare di verificare il colore di ciascuna. In questo modo, si può controllare il valore del cloro, del calcare, del pH e la quantità di nitriti e di solfati al rubinetto di cucina. Conosciuta la composizione, il passaggio successivo è l’utilizzo dei sistemi di "trattamento domestico" delle acque, tra i quali i depuratori posti a valle del rubinetto.
C’è la possibilità di intervenire in due modi per migliorare la qualità, e soprattutto il gusto dell’acqua, nel tratto di distribuzione interno alle case, quello cioè al di fuori dei controlli stringenti delle aziende che gestiscono gli acquedotti. Il primo è mirato a perfezionare le caratteristiche dell’acqua dal punto di vista della potabilità ed è basato sull’accoppiata microfiltrazione più carboni attivi: rimuove dall’acqua sostanze idrosolubili inquinanti come i nitrati e i nitriti ed elimina l’eventuale sapore di cloro. La seconda categoria di interventi riguarda la cosiddetta durezza dell’acqua, cioè la quantità di calcio in essa contenuta: in questo caso l’obiettivo principale è prolungare la durata e migliorare il funzionamento degli impianti idrici e degli elettrodomestici.
ITO DE CEGLIA, la Repubblica affari&finanza 11/10/2010;

COOP, LA SVOLTA DEL CHILOMETRO ZERO "UNA CAMPAGNA PER L’AMBIENTE" ANCHE I PRODOTTI IN BOTTIGLIA SONO MONITORATI E DEVONO RISPETTARE PRECISI PARAMETRI FISSATI PER LEGGE PRIMA DI POTER ESSERE IMMESSI SUL MERCATO NAZIONALE - Anche l’acqua prova a scorrere a "chilometro zero". Dopo la mobilitazione dei sindaci — dallo slogan di Massimo Cacciari "Imbrocchiamola" con tanto di caraffa in mano, ai Manifesti a basso impatto ambientale idrico firmati assieme alle multiutilities — la rivoluzione del consumo sostenibile arriva sugli scaffali della grande distribuzione con la campagna di Coop Italia "Acqua di casa mia".
Aprire i rubinetti e avvicinare le sorgenti alla tavola: questo è il doppio canale dell’iniziativa, che si annuncia come un terremoto tra gli imbottigliatori di minerale, con la quale il colosso della Gdo Made in Italy intende stimolare alla riduzione dei consumi i suoi 7 milioni di soci. «Il punto di partenza del nostro intervento — spiega Aldo Soldi, presidente di Ancc Coop, l’Associazione nazionale cooperative di consumatori — sarà informativo ed educativo, come è tradizione del movimento, considerando che proprio a settembre abbiamo festeggiato i 30 anni dell’attività di educazione al consumo consapevole. In più, essendo Coop, con i suoi negozi e le sue strutture, un grande utilizzatore di acqua ci stiamo impegnando a consumarne meno, sia con attenzioni del personale che con accorgimenti tecnici e strutturali. Il nostro è un impegno a 360°. Lo dico perché siamo consapevoli che intorno al tema acqua ruotano interessi economici importanti, e che forse ci potranno essere anche reazioni alla nostra iniziativa».
Intanto si parte con la campagna di comunicazione: uno spot con protagonista testimonial Luciana Littizzetto, un dossier scientifico in formato depliant distribuito ai soci e redatto da Alessandro Zanasi, direttore del Museo nazionale delle acque di Verbania e programmi specifici nelle scuole sul tema dell’acqua. Principi di sostenibilità e tutela dell’ambiente sulla scia dallo slogan: "Hai mai pensato a quanta strada deve fare l’acqua prima di arrivare nel tuo bicchiere?". Al quesito, sui manifesti e negli spot che presto appariranno in giro per l’Italia e sulle tv, segue un invito: "Salvaguardiamo l’ambiente: scegli l’acqua del rubinetto o proveniente da fonti vicine". Fin qui l’impegno alla promozione del consumo critico. Il secondo passo, non facile per un paese di grandi consumatori di minerale, è rendere più attraente l’acqua di rubinetto, introducendo nei punti vendita una serie di strumenti che eliminano le scorie e depurano le acque (gasatori, ricariche gas, caraffe e filtri domestici, addolcitori).
Soci consumatori bene informati, innanzitutto, ma non solo. Secondo le rilevazioni di Coop Italia la tendenza antispreco è già in atto nelle borse della spesa degli italiani. Più del 20% dei clienti della catena della Gdo non consuma acqua minerale, preferendo quella del rubinetto e il 10% (lo stima un’indagine Nielsen) sceglie quelle imbottigliate nella zona di residenza. Per chi continua a preferire, invece, per ragioni di salute o di gusto, la minerale, Coop allestisce scaffali parlanti che raccontano le proprietà organolettiche del prodotto e indicano la localizzazione delle fonti, per calcolare quanti km deve fare l’acqua prima di arrivare sulla propria tavola. Con l’obiettivo di ridurre il percorso su strada, e l’inquinamento, Coop ha in cantiere il rilancio delle minerali a marchio proprio raddoppiando a quattro le fonti e gli stabilimenti di imbottigliamento da cui si fornisce. Alle due preesistenti, che sono la sorgente Grigna, in provincia di Lecco e la sorgente del monte Cimone in provincia di Modena, si sono aggiunte da aprile, la sorgente Valcimoliana (in provincia di Pordenone) e, da ottobre, quelle di Angelica e Pregiata (in provincia di Perugia). La disponibilità di quattro fonti, dislocate in diverse zone del paese, consente di ridurre in modo consistente le percorrenze dei trasporti verso i punti vendita. L’operazione consentirà una riduzione di 200 mila chilometri percorsi e un risparmio di 350 mila kg di Co2.
Per il private label prosegue pure la riduzione della grammatura delle bottiglie. Oggi, rispetto al 2007, la consistenza delle bottiglie si sta progressivamente riducendo, in percentuali diverse (legate alle caratteristiche dei differenti impianti di imbottigliamento), in una forbice compresa tra il 13 e il 20%. In complesso lo snellimento delle confezioni sta producendo un risparmio nell’emissione di 3.300 tonnellate di CO2. «Senza alcun atteggiamento ideologico né integralista, ma con la responsabilità di chi è leader nel mercato della grande distribuzione — spiega il presidente di Coop Italia, Vincenzo Tassinari — vogliamo essere apripista, sperando che altri ci seguano, su un fronte nuovo e importante. Da soli sappiamo che non risolveremo i problemi, ma, come avvenne per le nostre altre grandi campagne consumeriste, se la sfida è per una cosa giusta, alla fine anche gli altri ti seguono. E noi speriamo proprio che così sarà anche questa volta». Ridurre l’impatto ambientale ma con il rischio di ridurre anche il conto economico? «Coop Italia vende acqua minerale per un giro d’affari annuo di 190 milioni di euro, di cui 35 milioni provengono dal marchio proprio. La nostra sfida non è contro le imprese, ma a favore di un nuovo modello di business, più sostenibile e che avrà a medio termine impatti positivi sui bilanci di tutti i protagonisti del’acqua. È bene ricordare che, all’interno dei punti vendita, continueranno a essere disponibili tutte le marche presenti sino ad oggi. Nessuna limitazione o rinuncia. Sarà il consumatore a fare la differenza».
CHRISTIAN BENNA, la Repubblica affari&finanza 11/10/2010