ARTURO ZAMPAGLIONE, la Repubblica affari&finanza 11/10/2010, 11 ottobre 2010
TIMES SQUARE - L’INDIANO CHE LANCIA IL MICROCREDITO IN VERSIONE CAPITALISTA
- Vinod Khosla fa parte di quel drappello di indiani grintosi che, trasferitisi negli Stati Uniti per motivi di studio, si sono fatti strada nel mondo del business e della finanza. A uno di loro, Vikram Pandit, è toccato prendere le redini di Citigroup quando la banca stava per affogare nelle tempeste dei subprime. Indra Nooyi è diventata chief executive della PepsiCo. E lui, Khosla, figlio di un militare di New Delhi, dopo essere stato tra i fondatori della Sun Microsystems e avere guidato l’azienda, può ora contare su un patrimonio di più di un miliardo di dollari e dedicarsi a nuove imprese. Tra queste, il tentativo di rilanciare l’aiuto allo sviluppo dei paesi più poveri, e in particolare le attività di microcredito, in chiave prettamente capitalistica.
Dal 2006 Khosla è un azionista della Sks Microfinance. Creata come società senza fini di lucro con sede a Hyderabad, in India, e da sempre impegnata nel concedere piccoli prestiti a imprenditori svantaggiati, secondo l’esempio del premio Nobel Muhammad Yunus, la Sks si è trasformata cinque anni fa in una vera finanziaria. E’ leader nelle operazioni di microcredito in India, ha 5,8 milioni di clienti, 1627 filiali, un portafoglio prestiti di quasi un miliardo di dollari. E quest’anno è persino sbarcata alla borsa di Mumbai con un collocamento che è andato a gonfie vele e ha regalato a Khosla un profitto di 117 milioni di dollari, cioè di 37 volte l’investimento iniziale.
Ma è concepibile il microcredito in salsa capitalista? Yunus risponde di no. "L’idea di fare soldi sulle spalle dei poveri mi ripugna", dice il premio Nobel (e padre della Grameen Bank del Bangladesh). E aggiunge: "L’obiettivo del microcredito è di aiutare i poveri a trattenere il denaro, non a ridirigerlo verso i ceti più ricchi come succede con un collocamento in Borsa". Vikram Akula, che ha guidato la Sks indiana fino al 4 ottobre, obietta invece che la raccolta sul mercato di capitali privati rafforza le opportunità del microcredito. Anche Khosla è convinto che si possa combattere la povertà nel mondo e al tempo stesso fare soldi. "Il capitalismo aiuta i poveri molto meglio che le organizzazioni senza fini di lucro", ha spiegato in una intervista al New York Times, in cui ha evidenziato l’esigenza di un "modello sostenibile" per affrontare i drammi del sottosviluppo e ha annunciato la creazione di un fondo di venture capital per investire in società che rispondono ai mali dell’India o dell’Africa con soluzioni nel campo dell’istruzione, della sanità e dell’energia.
Al di là dei meriti o delle contraddizioni dell’aiuto allo sviluppo con criteri capitalistici, Khosla, che ha 55 anni ed è una figura di riferimento della Silicon Valley californiana, si è prefissato anche un’altra missione. L’economia indiana va bene, secondo l’Economist la sua crescita diventerà persino più rapida di quella cinese e nel paese ci sono già 69 miliardari. Ma a differenza dei loro colleghi Bill Gates o Warren Buffet, i ricchi indiani sono poco inclini alla filantropia. E Khosla vuole convincerli ad adottare anche in questo settore la filosofia del capitalismo americano.