Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  ottobre 11 Lunedì calendario

TEST DI FUOCO PER LA FED

Con i tassi vicini a zero, la Fed e le altre banche centrali stanno facendo fatica a rimanere rilevanti. L’ultima freccia al loro arco si chiama quantitative easing, verosimilmente inefficace a riportare in vita l’economia statunitense, al pari di qualsiasi altra cosa la Fed abbia provato negli ultimi anni. Peggio: l’«alleggerimento» verrà a costare ai contribuenti una grossa somma di denaro e al contempo comprometterà l’efficacia della Fed negli anni a venire. John Maynard Keynes sosteneva che la politica monetaria fosse improduttiva durante la Grande Depressione. Le banche centrali sono più efficienti nel tenere a freno l’irrazionale esuberanza dei mercati in una bolla – applicando restrizioni al credito disponibile o alzando i tassi di interesse per contenere l’economia – che a promuovere gli investimenti in una recessione. Ecco il motivo per il quale una buona politica monetaria ha il fine di scongiurare che si crei una bolla. La Fed, però, prigioniera per oltre 20 anni dei fondamentalisti del mercato e degli interessi di Wall Street, non soltanto non è riuscita a imporre delle restrizioni, ma oltretutto ha agito come una "ragazza pon pon". E giacché ha rivestito un ruolo di primo piano nella creazione dell’attuale scompiglio, adesso cerca di rifarsi un’immagine.
Nel 2001, i tassi di interesse in calo sembrarono raggiungere lo scopo, ma non come si supponeva. Invece di incentivare gli investimenti in stabilimenti e macchinari, i bassi tassi di interesse fecero gonfiare la bolla immobiliare. Ciò dette il via a una vera abbuffata dei consumi, il che significa che si creò debito senza asset corrispondenti, e si incoraggiò a investire in modo spropositato nel settore immobiliare, al punto che l’offerta in eccesso necessiterà di anni e anni per essere smaltita. Il meglio che si può dire della politica monetaria degli anni più recenti è che ha scongiurato le conseguenze dirette che avrebbero potuto verificarsi in seguito al crollo di Lehman Brothers. Nessuno però potrebbe affermare con sicurezza che aver abbassato i tassi di interesse a breve termine sia servito a incentivare gli investimenti. In realtà, il prestito alle imprese – soprattutto alle piccole aziende – tanto in Europa quanto negli Stati Uniti è rimasto significativamente inferiore ai livelli antecedenti alla crisi. La Fed e la Banca Centrale Europea non hanno fatto nulla in proposito.
Sia l’una sia l’altra paiono ancora affascinate dai modelli standard di politica monetaria, in funzione dei quali tutto ciò che le banche centrali sono chiamate a fare per far funzionare l’economia è ridurre i tassi di interesse. I modelli standard hanno fallito nel prevedere la crisi, e ciò nonostante – come sempre le cattive idee sono dure a morire. Pertanto, mentre l’aver portato vicini allo zero i tassi di interesse dei buoni del Tesoro a breve termine è stato un fallimento totale, la speranza è che abbassando i tassi di interesse a più lungo termine si possa dare impulso all’economia. Le chance di successo, in realtà, sono prossime allo zero. Le grandi aziende affogano nei contanti e abbassare di poco i tassi di interesse non farà alcuna differenza per loro. L’abbassamento dei tassi che il governo paga non si è tradotto in un corrispondente abbassamento dei tassi di interesse per le molte piccole aziende che stentano a trovare finanziamenti.
Ancora più importante è la disponibilità di prestiti. Con così tante banche in condizioni precarie negli Stati Uniti, è verosimile che il prestito rimanga forzatamente vincolato. Oltretutto, la maggior parte dei prestiti alle piccole imprese è spesso collateralbased: peccato solo che il valore della forma più comune di collaterali, il settore immobiliare, sia letteralmente precipitato. Gli sforzi dell’amministrazione Obama di occuparsi del mercato immobiliare si sono arenati in un misero fallimento; forse, sono serviti unicamente a rinviare nel tempo ulteriori ribassi. Nemmeno gli ottimisti ormai credono più che i prezzi del settore immobiliare potranno risalire significativamente in tempi abbastanza rapidi. Insomma, l’alleggerimento quantitativo – consistente nell’abbassare i tassi di interesse a lungo termine acquistando obbligazioni a lungo termine e rilevando prestiti ipotecari – non servirà granché a stimolare direttamente gli affari.
Ma l’alleggerimento quantitativo potrebbe nondimeno tornare utile in due modi. Il primo rientra nella strategia di svalutazione concorrenziale americana. A livello ufficiale, l’America parla ancora delle virtù di un dollaro forte, ma abbassare i tassi di interesse indebolisce il tasso di cambio. È del tutto irrilevante che uno consideri ciò una manipolazione della valuta o un effetto collaterale fortuito dovuto all’abbassamento dei tassi di interesse. Il fatto è che un dollaro più debole derivante da più bassi tassi di interesse offre agli Stati Uniti un leggero vantaggio dal punto di vista della concorrenza nei commerci.
Nel frattempo, mentre gli investitori guardano fuori dagli Stati Uniti per migliori profitti, il flusso di denaro al di fuori del dollaro ha rilanciato i tassi di interesse nei mercati emergenti di tutto il mondo. I mercati emergenti lo sanno, e sono seccati – il Brasile per esempio ha manifestato in modo impetuoso le proprie preoccupazioni – non soltanto per il più alto valore della loro valuta, ma anche perché l’afflusso di denaro rischia di alimentare bolle di asset o di innescare l’inflazione. La risposta normale alle bolle o all’inflazione da parte delle banche centrali dei mercati emergenti sarebbe quella di aumentare i tassi di interesse, aumentando di conseguenza ancor più il valore delle rispettive monete. La politica degli Stati Uniti, pertanto, è dunque quella di gettare un duplice malocchio sulla svalutazione della concorrenza: indebolendo il dollaro e costringendo la concorrenza a rafforzare le proprie valute (quantunque alcuni paesi stiano prendendo contromisure in proposito, per esempio erigendo barriere nei confronti di afflussi di denaro a breve termine e intervenendo più direttamente nei mercati stranieri di cambio).
Il secondo modo col quale l’alleggerimento quantitativo potrebbe dare qualche piccolo risultato consiste nell’abbassare i tassi ipotecari, abbassamento che contribuirebbe a puntellare i prezzi dell’immobiliare. Di conseguenza, l’alleggerimento quantitativo sortirebbe qualche effetto sui bilanci, in ogni caso probabilmente modesto. Il fatto è che questi piccoli vantaggi sarebbero completamente neutralizzati da spese in sostanza molto ingenti. La Fed ha rilevato più di mille miliardi di dollari di mutui ipotecari, il valore dei quali è destinato a precipitare quando l’economia si riprenderà, il che spiega esattamente per quale motivo nel settore privato nessuno abbia voglia di rilevarli a sua volta.
Il governo può anche dare a vedere di non essere incappato in una perdita di capitali, in quanto a differenza delle banche non è tenuto a utilizzare una contabilità marktomarket. Nessuno però dovrebbe lasciarsi ingannare, anche se la Fed dovesse conservare le obbligazioni fino alla loro maturazione. Il tentativo di garantire che le perdite non siano riconosciute, potrebbe far sì che la Fed si senta tentata di affidarsi in modo eccessivo a strumenti di politica monetaria mai sperimentati, incerti e costosi, per esempio pagare alti tassi di interesse sulle riserve per indurre le banche a non erogare prestiti. È un bene che la Fed stia cercando di fare ammenda per la propria deludente performance di prima della crisi. Purtroppo, però, si è lungi dal capire chiaramente se ha cambiato opinione e parametri, che non hanno consentito prima di mantenere l’economia in assetto stabile, e che di sicuro falliranno ancora. Gli errori commessi in passato dalla Fed si sono rivelati eccezionalmente dispendiosi. E altrettanto lo saranno i nuovi errori, anche nel caso in cui la Fed cercasse in ogni modo possibile di nasconderne il prezzo reale.
Traduzione di Anna Bissanti Copyright Project
Syndicate, 2010