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 2010  ottobre 11 Lunedì calendario

ADDIO ALLA TIGRE CELTICA L’IRLANDA IN BANCAROTTA - A

vent’anni emigrarono in America, seguendo il cammino dei loro nonni. A quaranta sono ritornati in Irlanda, attirati dal boom economico che aveva fatto dell’Isola di Smeraldo, com’era chiamata per il verde scintillante delle sue campagne spesso bagnate di pioggia, la Tigre Celtica, compagna europea delle tigri asiatiche che hanno messo in moto la globalizzazione economica. Era il 2005. Appena tornati a Dublino, i fratelli Fitzpatrick fecero quello che facevano tutti: chiesero e ottennero facilmente un prestito in banca, comprarono una ventina di case fatiscenti, le restaurarono e le misero sul mercato. Ma proprio in quel momento scoppiò la crisi dei mutui "troppo facili" che dall’America, come un virus, ha contagiato l’Europa e mezzo mondo, provocando la peggiore recessione internazionale del dopoguerra.
La storia dei fratelli Fitzpatrick è emblematica. Le loro case sono rimaste invendute. Non hanno potuto più pagare le rate alla banca per saldare il debito che avevano contratto. La società immobiliare che avevano costituito è fallita. La banca ha requisito le case, ma ciò non le ha impedito di andare in amministrazione controllata, per evitare la bancarotta. Per salvarla, lo stato l’ha nazionalizzata. Ma gli investimenti per il salvataggio di queste e altre banche nazionali hanno mostruosamente ingigantito il deficit. Per ripianarlo, il governo ha tagliato la spesa pubblica e varato un budget all’insegna dei sacrifici.
Risultato: i fratelli Fitzpatrick stanno pensando di tornare in America. O di andare in Canada. O in Australia. Dovunque potranno trovare un lavoro. L’Irlanda, un tempo terra di emigranti, poi diventata negli anni del boom una terra di immigrati, vede ripartire di nuovo i suoi figli in cerca di fortuna, come negli anni Venti del secolo scorso quando la gente mangiava solo patate e a volte non aveva neanche quelle.
Le chiamano "ghost estates". Vuol dire "quartieri fantasma". In cui costruttori immobiliari attirati dal boom del mattone avevano costruito case, con denaro preso a prestito, sperando di trovare legioni di acquirenti, anch’essi con denaro presto a prestito. La crisi ha lasciato senza soldi gli uni e gli altri. Adesso quelle case sono invendute. La maggioranza non sono state costruite del tutto. Costellano la periferia di Dublino e la campagna irlandese come un triste memento di un sogno trasformatosi in incubo. Sono 620, secondo una stima del National Institute for Regional Analyses, i "quartieri fantasma" dell’Irlanda di oggi: i complessi immobiliari non completati o dove meno del 50 per cento delle abitazioni non sono state finite. Le case costruite a metà sono più di 300 mila in tutto il paese. Viste da lontano, sembrano teschi vuoti, spazzati dal vento.
Il boom dell’Emerald Island iniziò negli anni ’80 e ’90, quando multinazionali americane del computer come la Microsoft e la Dell trasferirono in Irlanda il loro quartier generale europeo, attirate da basse imposte societarie (la decisione del governo di Dublino che aprì la possibilità della svolta) e una manodopera istruita che parlava inglese. Negli anni succesivi, centinaia di migliaia di irlandesi, emigrati all’estero, e altrettanti immigrati stranieri, da paesi come Polonia e Cina, tornarono o arrivarono sull’Isola di Smeraldo. Cercavano lavoro. Ma avevano anche bisogno di una casa. Il boom del mattone sbocciò per rispondere a questa domanda.
Più che un boom, a un certo punto era sembrata una corsa all’oro in cui tutti si arricchivano. I prezzi medi delle case sono passati in un decennio, dal 1996 al 2006, da 75 mila a 311 mila euro. La Anglo Irish, una banca che per decenni finanziava le importazioni di frigoriferi e lavatrici, nello stesso periodo ha visto crescere il suo settore dei prestiti immobiliari da 3 a 73 miliardi di euro e la sua quota del mercato irlandese dal 3 al 18 per cento, con un aumento annuo del fatturato del 36 per cento. All’apice dell’incremento, era diventata la banca più grande di Irlanda. Poi è venuto il crack. Il "massacro di san Patrizio", come l’hanno ribattezzato, perché il crollo è cominciato il 17 marzo 2008 quando le azioni alla Borsa di Dublino caddero in un giorno del 15 per cento. La colpa fu data agli hedge fund americani, accusati di vendere per speculazioni internazionali. Ma era solo l’inizio.
Oggi la Anglo Irish, nazionalizzata per evitare la bancarotta, è responsabile del 90 per cento del fondo di salvataggio da 40 miliardi di euro, che secondo alcune stime potrebbero diventare 50 miliardi, per tenere in piedi l’economia nazionale. Un buco da tappare che equivale a un terzo del reddito nazionale, e che alza il livello del defitic di quest’anno a un colossale 32 per cento del pil: dieci volte più del limite fissato dalle norme dell’Unione Europea e il quadruplo del suo debito nazionale di cinque anni fa. Il timore che la Anglo Irish e il salvataggio di altre banche più piccole potesse trascinare nel burrone finanziario tutto il paese tormenta da settimane il governo, le istituzioni, i media, l’opinione pubblica irlandesi. Non è ancora svanito. Gli ottimisti dicono che la situazione dell’Irlanda è migliore di quella della Grecia: i suoi fondi pensione assicurano liquidità a breve termine.
E poi ci sono i fondi di emergenza della Ue, da cui Dublino non ha ancora attinto ma che costituiscono una difesa psicologica. Ha ricevuto, invece, il 15 per cento del fondo di stabilizzazione offerto dalla Banca Centrale Europea per le banche dell’eurozona. Il ricordo del referendum con cui l’Irlanda prima bocciò il Trattato d’Unione Europea, mettendo in pericolo tutta la nuova architettura continentale, per poi approvarlo in una seconda consultazione, oggi suscita brividi di paura tra gli irlandesi. "Benedetta l’Unione Europea" è la frase che si sente ripetere spesso nei pub della capitale. Quando la gente fa il segno della croce, in questa che resta la nazione più cattolica d’Europa, molti recitano silenziosamente preghiere di ringraziamento a Bruxelles. Il problema è che anche l’Europa comincia ad essere preoccupata: all’ultimo Eurofin di Bruxelles dell’inizio di ottobre, i responsabili dell’economia dell’Ue hanno emesso un comunicato in cui, pur senza citare espressamente l’Irlanda ma facendo ad essa implicito riferimento, hanno espresso «tutta la preoccupazione perché i rischi relativi al mercato del debito sovrano possono avere un effetto contagioso sul settore bancario». E l’Eurofin ha preso atto della previsionemonstre, e cioè che il governo impegnato come si diceva a chiudere il buco Anglo Irish si rtiorvi con un deficit/pil al 32%.
Diversamente da quanto sembra suggerire il suo nome, Temple Bar non è un bar: è un quartiere, il centro e il cuore di Dublino. Non è un "quartiere fantasma", ma ci manca poco. La crisi si avverte anche qui. Il Clarence Hotel, di proprietà del cantante Bono degli U2, cioè dell’irlandese più famoso (e trai più ricchi) del mondo, votato come uno dei dieci migliori alberghi del mondo dalla rivista Traveller, non realizza più un profitto dal 2006. Il mese scorso ha annunciato che le sue perdite sono aumentate del 50 per cento nell’ultimo anno, arrivando a quota 1 milione e 640 mila euro. Lo staff è stato ridotto del 21 per cento. Uno dei suoi ristoranti ha introdotto un menù da 9 euro a persona, nella speranza di attirare clienti.
C’è anche chi approfitta dello sboom. Le case completate in certe "ghost estates" vengono vendute a prezzi stracciati: un appartamento su due piani con tre camere da letto, che costava originariamente 675 mila euro, è stato acquistato l’altro giorno per 300 mila; con 130 mila euro si compra un appartamento con una camera da letto.
Ma molti pensano che, almeno nel futuro prossimo, l’unica alternativa sia andarsene. L’anno scorso 60 mila irlandesi sono emigrati all’estero. Quest’anno sono già 120 mila, su una popolazione di poco più di 4 milioni di persone. Chissà se anche i fratelli Fitzpatrick ripartiranno per l’America.