Fernando Mazzocca, Il Sole 24 Ore 10/10/2010, 10 ottobre 2010
PITTORI SOLDATI ALLA CARICA!
Sono già iniziate, e promettono un lungo corso forse non privo di polemiche, le celebrazioni del centocinquantenario del l’Unità d’Italia. In soli due anni, tra il 1859 e il 1861, che rimarranno scolpiti nella memoria di chi li aveva vissuti, si compiva il sogno unitario coltivato dagli intellettuali per secoli, da Dante e Petrarca, a Machiavelli e Guicciardini, sino a Foscolo e Manzoni.
Tra questa data che corrisponde ai primi moti carbonari e l’epilogo unitario trascorsero decenni di attività cospirativa, di tentativi falliti, come quelli mazziniani nel 1831, e il grande slancio rivoluzionario del 1848-49, segnato dalle rivoluzioni sconfitte di Milano, Venezia, Roma e dal tragico epilogo della I Guerra d’indipendenza. Quando grazie all’abilità diplomatica di Cavour e al genio militare di Garibaldi, ma soprattutto al decisivo aiuto dell’esercito di Napoleone III, il sogno si realizzò, non fu come molti avrebbero voluto che si compisse. Le contraddizioni che hanno accompagnato la nascita e i primi decenni di vita della nazione si riflettono bene nelle opere dei pittori che del Risorgimento furono protagonisti e ne vollero diventare i testimoni.
La mostra, destinata a inaugurare i riti del 2011 in un luogo deputato dal punto di vista istituzionale come le Scuderie del Quirinale, è stata una grande occasione per rimuovere dall’oblio dei depositi e di musei storici poco frequentati grandi quadri dimenticati che, in quest’occasione, ci sorprendono non solo per la profondità del loro messaggio, ma anche per la loro inattesa bellezza.
Le dimensioni imponenti non avevano più consentito, dal lontano 1859 quando il dipinto venne presentato alla mostra organizzata a Brera per l’ingresso a Milano di Vittorio Emanule II e Napoleone III, l’esposizione della immensa Battaglia della Cernaja di Gerolamo Induno. Acquistata in quell’occasione dal re e poi finita a Racconigi, l’opera passava nel dopoguerra, alienata come tante altre testimonianze del loro glorioso passato dagli eredi Savoia, sul mercato antiquario per approdare, finalmente al sicuro, nella magnifica collezione ottocentesca della Fondazione della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde. Il suo autore, il milanese Gerolamo Induno si era affermato, primo e con Fattori massimo esempio in Italia di pittore soldato, partecipando come volontario all’eroica difesa nel 1849 della Repubblica Romana. Crivellato dalle baionette durante un disperato assalto alle truppe francesi al Casino Barberini, aveva fatto in tempo a realizzare, in parte sul posto, in parte rielaborando gli appunti presi in diretta nel suo studio, una serie di "quadretti militari" che hanno il valore di commoventi istantanee nel documentare gli effetti devastanti della guerra sul tessuto immobile della città eterna. Rappresentavano le distruzioni causate dai bombardamenti francesi, per cui accanto ai gloriosi ruderi antichi ora apparivano queste drammatiche rovine contemporanee. Ma l’esito più straordinario di questa esperienza era stato il dipinto, da poco rintracciato e ora esposto per la prima volta, dove – con il titolo Trasteverina uccisa da una bomba – era documentato un terribile episodio del glorioso assedio fatto dalle armi francesi a Roma; una bomba penetra nella stanza di una povera fanciulla e questa sta rovesciata sul terreno immersa nel proprio sangue.
La vocazione di pittore-soldato, guadagnata sul campo a Roma, si tradusse in un vero e proprio sbocco professionale quando l’Induno venne chiamato nel 1855 a seguire l’esercito di Vittorio Emanuele, comandato dal generale Alfonso La Marmora, nella famosa spedizione in Crimea. Induno si conquistò una sorta di esclusiva di questa popolare epopea moderna, grazie all’incarico ricevuto dal ministero della Guerra del Regno sabaudo di realizzare una serie di ventiquattro Panorami che, tradotti in litografia, erano destinati a un Album celebrativo della spedizione, edito nel 1857. Tornato a Milano, rievocò, sulla base dei ricordi e dei tanti appunti presi in diretta, molti episodi di quella guerra, e in particolare la decisiva battaglia della Cernaja. Il grande dipinto ci colpisce non solo per l’abilità nel rievocare in tutta la sua solennità panoramica quel maestoso scenario, ma anche per l’originalità iconografica di lasciare sullo sfondo la rappresentazione dello scontro che sta per concludersi, mentre il primo piano è dominato da due gruppi contrapposti e come separati da un grande spazio vuoto al centro, dal chiaro significato simbolico. In un’immagine che sembra come bloccata da un obbiettivo fotografico risaltano i diversi protagonisti, a destra la schiera degli ufficiali a cavallo composta dal generale La Marmora e dal suo seguito intenti a osservare con aristocratico distacco le operazioni belliche dall’alto, a sinistra i fanti, gli umili eroi senza nome, come uno zappatore, un tamburino, un alfiere che porta la bandiera e infine un commovente insieme formato da due suore, un soldato nemico ferito e un italiano morente che sta ricevendo il viatico dal cappellano militare.
È lo spirito che ritroviamo nei quadri dello stesso Induno dedicati, qualche anno dopo alle battaglie della II Guerra d’indipendenza, come Palestro e Magenta, dove non viene celebrata la gloria militare quanto la partecipazione popolare e il sacrificio di coloro, eroi anonimi, che avevano reso possibili quelle radiose vittorie. Questa scelta venne condivisa dagli altri pittori-soldati, come Fattori che, pur non partecipando direttamente come Induno alle operazioni belliche, si guadagnò questo titolo a suon di capolavori, dal Campo italiano dopo la battaglia di Magenta del 1859 al Quadrato di Villafranca del 1876-1880, dedicati a quella grandiosa epopea. Avendo avuto lo scrupolo di visitare quei luoghi, dove si recò in viaggio di nozze, ha saputo rappresentarli con grande verità, come il martirio, ricorderà lui stesso, di «questi buoni ragazzi pronti a tutto sagrificare per il bene della patria e della famiglia». Patria e famiglia sono i valori evocati dai pittori della nuova Italia, come i macchiaioli toscani e i due fratelli lombardi Domenico e Gerolamo Induno, o i siciliani Filippo Liardo e Giuseppe Sciuti. In dipinti di dimensioni tanto più modeste se confrontati ai quadroni militari hanno rappresentato i risvolti della storia all’interno delle mura domestiche, narrando con grande partecipazione le gioie e i dolori, nello scompiglio provocato nel ritmo senza tempo della vita popolare dall’arrivo dal campo di battaglia delle notizie di vittoria ma anche di morte. La partecipazione da individuale diventava corale quando vennero rappresentati eventi speciali, come Il passaggio del Ticino a Sesto Calende dei Cacciatori delle Alpi il 23 maggio 1859, un’immensa tela – con i suoi sei metri di base il dipinto più grande presentato alle Scuderie – dove Eleuterio Pagliano ha rappresentato il varco del fiume che segnava allora il confine tra il Piemonte e la Lombardia da parte dei volontari di Garibaldi accolti da una folla esultante. O come l’arrivo, ambientato alla periferia di Milano in un’osteria fuori porta, del Bullettino del giorno 14 luglio 1859 che annunziava la pace di Villafranca, il vergognoso armistizio, dettato da ragioni diplomatiche, che vanificava in parte tante vittorie e tanti sacrifici, lasciando il Veneto nelle mani dell’Austria. Per la sua liberazione ci vorrà una III Guerra d’indipendenza, vinta non come la precedente sul campo di battaglia – l’esercito della nuova Italia subì a Custoza, per terra, e a Lissa, per mare, due umilianti sconfitte – quanto nelle cancelliere grazie all’alleanza strategica con la Prussia. Fu Induno a ricordare molti anni dopo nel 1878, con un dipinto realizzato come tanti altri quadri risorgimentali per il Palazzo Reale di Milano, lo spirito di quell’ultima campagna militare. Nella Partenza dei coscritti nel 1866, il dipinto scelto come manifesto della mostra, veniva ricordata la nascita, attraverso il discusso meccanismo della coscrizione, di un esercito di popolo. I montanari in festa, radunati intorno al tricolore insieme ai rappresentanti delle istituzioni di un piccolo paese, sono forse i ragazzi che avevano portato a conclusione la guerra del 1859, interrotta dal compromesso di Villafranca, e che vedevano ora i loro figli partire per realizzare, come nonostante tutto avvenne, la allora rimandata liberazione di Venezia.