GIORGIO LONARDI, la Repubblica 11/10/2010, 11 ottobre 2010
BUONI PASTO, LA RIVOLTA DEI SUPERMARKET - MILANO
«Se non troviamo una soluzione in tempi brevi il sistema dei buoni pasto rischia di saltare». A lanciare il grido d´allarme sulla «tenuta» di un meccanismo che fa mangiare ogni giorno circa 2,2 milioni di lavoratori è stato Aldo Cursano, il vicepresidente della Fipe, la potente associazione dei pubblici esercizi che aderisce a Confcommercio. Già oggi, infatti, importanti catene della ristorazione, come Mcdonald´s, non accettano i buoni pasto. Stessa musica per i supermercati a insegna Esselunga, e per alcune grandi cooperative aderenti a Coop. Quanto al colosso francese Carrefour starebbe meditando se continuare ad riceverli o meno. Per la grande distribuzione, infatti, il ticket si rivela sempre più spesso come una fonte di perdite.
«In realtà», accusa Cursano, «ormai i buoni pasto sono diventati una sorta di strumento finanziario. E chi ci rimette sono da una parte i lavoratori e dall´altra noi esercenti». Il sistema entra in funzione in seguito ad una gara indetta da un´azienda e vinta da una società emettitrice di ticket. Quest´ultima per vincere la gara deve offrire un sconto. Ad esempio se il buono ha un valore di 5 euro potrebbe aggiudicarsi la commessa a quota 4 euro. Per recuperare lo sconto la società applicherà una commissione all´esercizio convenzionato dove lo stesso ticket può essere speso. E´ a questo punto che un sistema valutato 2,5 miliardi di euro all´anno entra in crisi.
Secondo la Fipe, infatti, la commissione è così alta e il rimborso del ticket stesso da parte della società emettitrici avviene con un ritardo tale da trasformarsi in un aggravio del 30% per ristoratori e baristi. Insomma, è come se da una parte si dovesse offrire un pasto del valore di 5 euro mentre dall´altra se ne ottengono 3,50. E allora?
«A questo punto», spiega Cursano, «il buono pasto si trasforma in una sorta di bond». L´analogia è azzeccata: i ristoratori, infatti, cercano di disfarsi al più presto dei loro ticket, magari usandoli al supermercato per rifornirsi di prodotti alimentari. Oppure girandoli ad altri intermediari, magari non sempre limpidissimi. Si innesca, quindi, una corsa affannosa per non restare con il cerino in mano. Perché tutti sanno che entro la fine dell´anno il ticket dovrà essere messo all´incasso e che il prezzo risulterà sensibilmente inferiore rispetto al «valore facciale».
In questo quadro il progressivo irrigidimento dei supermercati che non vogliono continuare a perdere quattrini potrebbe mettere in crisi l´intero sistema. L´aspetto paradossale è che il padrone più occhiuto, quello che con la sua forza contrattuale sta portando il mercato dei ticket al ribasso strappando sconti sempre più consistenti è la Consip, cioè lo Stato che da solo tratta ogni anno circa 600 milioni di euro di ticket.
Quanto alla soluzione Carlo Pileri, presidente di Adoc, (Associazione difesa e orientamento dei consumatori) chiede da una parte di difendere il valore del ticket frutto di una trattativa sindacale. E dall´altra di garantire qualità e quantità delle prestazioni offerte a fronte del buono pasto. «Basta con i negoziati al ribasso», conclude Cursano, «se vogliamo difendere il sistema le gare devono vertere sulla qualità del servizio salvaguardando il "valore facciale" del ticket».