Mattia Bernardo Bagnoli, La Stampa 9/10/2010, 9 ottobre 2010
DOPO I 52 ANNI NON SI RIDE PIU’?
Più si diventa vecchi, più si amano le indecenze». Virginia Woolf aveva capito tutto. Che c’è infatti di più indegno del non ridere mai? Di brontolare senza sosta, d’impugnare carta e penna solo per scrivere una lettera di rimostranze ai vicini o alla compagnia del gas, di preoccuparsi unicamente per la (propria) salute e i (propri) quattrini. Che poi è esattamente ciò che capita ai britannici - e chissà, forse non solo a loro - una volta superata la soglia dei 52 anni. A quell’età, infatti, il senso dell’umorismo muore. Kaputt. Ciò che resta da vivere ai sudditi di Sua Maestà è dunque un lento declino verso il broncio. O, almeno, questa è la conclusione di uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Glamorgan, in Scozia.
Un piede nella fossa
Il fenomeno è talmente serio che i giornali britannici l’hanno subito trasformato in una malattia: la sindrome di Victor Meldrew. Ovvero il pensionato cinico e scontroso del celebre sceneggiato tivù «One Foot in the Grave», un piede nella fossa. Il «sense of humour» è d’altra parte quella specie di grimaldello dato in dotazione a ogni uomo e donna del Regno Unito per scardinare, quando necessario, le rigide convenzioni sociali che ancora regolano le vite delle persone per bene. E dunque tollerarle.
La freddura, in Gran Bretagna, è poi un’arte fine che sfiora l’aforisma. Come giudicare altrimenti il messaggio che Liam Byrne, direttore del Tesoro al tempo di Gordon Brown, lasciò - come richiesto dalla tradizione - al suo successore? «Gentile direttore», scrisse, «non ci sono più soldi in cassa. Distinti saluti». Ma Byrne, per l’appunto, ha compiuto 40 anni la scorsa settimana. L’inizio della fine, per lui, è ancora lontano. «Le risate - ha spiegato al Daily Telegraph Lesley Harbidge, ricercatrice presso l’università scozzese - sono purtroppo inversamente proporzionali all’età. Prima dei 20 anni ridiamo il doppio rispetto a dopo i 50. I nostri risultati indicano poi che a partire dai 52 è tutta una discesa».
Euforia da fanciullini
I dati, d’altra parte, parlano chiaro. Un bebè arriva a ridere fino a 300 volte al giorno. Ma la vita diventa presto meno divertente. Già un adolescente ride «solo» sei volte al dì - sempre meglio che dai 20 ai 30, dove si ride in media solo quattro volte al giorno. Tra i 30 e i 40, invece, le cose migliorano: le risate salgono a cinque. E questo solo per merito dei bambini piccoli, che si hanno di solito intorno proprio in questa fascia d’età.
Poi, come dicevamo, il crollo. A 50 anni, infatti, si ride tre volte al giorno, mentre per gli ultra-sessantenni la media si riduce a 2,5. I peggiori sarebbero però gli uomini, che dai 60 anni in su sono ben quattro volte più brontoloni delle donne.
Ora, tutta questa serietà non è peraltro salutare. «È importante ricordare - dice ancora Harbridge - che ridere fa bene: rilascia endorfine, e una risata tutti i giorni è utile a combattere lo stress». I cinquantenni, oltretutto, ne avrebbero un gran bisogno. Passano infatti circa 41 minuti al giorno ad angustiarsi su denaro e condizioni di salute. E la maggior parte di loro - il sondaggio, commissionato dal canale satellitare Dave, è stato compiuto su un campione di duemila persone - si giustificato dicendo che è troppo occupato a pianificare la pensione per ridere: e con i tagli alla spesa pubblica annunciati dall’attuale governo potrebbero avere anche ragione. Detto questo, secondo Oscar Wilde il dramma è un altro. Per lo scrittore irlandese, infatti, «il male non è che fuori si invecchia, è che molti rimangono giovani dentro».