Ivo Romano, La Stampa 11/10/2010, 11 ottobre 2010
HURST, MISTER TRIPLETTA MONDIALE: «CAPELLO? SORRY, NON È INGLESE»
Vacanze italiane con visita a Sorrento: un classico per molti inglesi, la striscia della penisola più famosa del meridione d’Italia che si affaccia sul Golfo di Napoli. Ospite d’onore Geoff Hurst, 69 anni a dicembre, una bandiera dell’Inghilterra mondiale del ‘66, l’attaccante divenuto Sir, sull’onda di un trionfo rimasto nella storia. Un po’ di chiacchiere, ricordando il passato, osservando il presente, scrutando il futuro. Un piacere, anche per lui, che il calcio lo conserva sempre in cima ai suoi pensieri.
Tre gol in una finale mondiale, un record che resta in piedi: felice?
«Oddio, se prima del Mondiale mi avessero detto che l’Inghilterra lo avrebbe vinto con una tripletta di Rooney in finale sarei stato ancora più contento. Tra l’altro, in pochi ricordano quel primato, sono molti di più quelli che ricordano uno solo dei tre gol».
Il gol-fantasma più famoso della storia: dopo tanti anni che idea s’è fatto?
«Se a distanza di tanto tempo nessuno è riuscito ad assicurare una risposta sicura vuol dire che è impossibile darla. Io penso che il pallone fosse entrato, ma è anche vero che la mia è una convinzione di parte. È la risposta che do a tutti, compreso il barista che me lo ha chiesto pochi minuti fa. Solita risposta a una domanda che mi insegue da anni, in qualunque angolo del mondo io sia».
Altra storia il gol-fantasma di Inghilterra-Germania dell’ultimo Mondiale?
«In quel caso non è che ci fossero fantasmi: era gol e basta, senza discussioni. Il dubbio sul mio gol resiste da decenni, quello è sfumato nel giro di pochi secondi».
L’ennesimo episodio che riapre il dibattito sulla tecnologia nel calcio: favorevole o contrario?
«Assolutamente favorevole. Hanno fatto ricorso alla tecnologia altri sport, dal cricket al tennis al rugby, non vedo perché non possa aggiungersi anche il calcio. I tempi sono cambiati, la tecnologia ha fatto passi da gigante: è assurdo rimane ancorati al passato».
Quindi, moviola in campo?
«No, andiamoci piano. Per me il ricorso alla tecnologia nei casi di gol-fantasma è sacrosanto, ma non andrei oltre. Ci si spingerebbe troppo in là se ci si dovesse affidare alla tecnologia per dirimere questioni riguardanti un fuorigioco o la concessione di un calcio di rigore. Consiglierei di seguire l’esempio di altri sport: tecnologia sì, ma solo per determinati casi. Il resto del gioco va regolato dagli uomini, in questo caso gli arbitri. Perché gli errori si bilanciano e a fine stagione vince sempre la squadra migliore, invece i gol realizzati e non assegnati non te li restituisce più nessuno».
Se il gol di Lampard fosse stato assegnato la storia dell’Inghilterra al Mondiale sarebbe cambiata?
«Non lo sapremo mai. Certo è che quel gol, in quel momento, era fondamentale: passare da 0-2 a 2-2 non è uno scherzo, anzi una rimonta del genere fornisce energie preziose, soprattutto mentali. Resta il fatto che più in generale l’Inghilterra al Mondiale ha deluso».
Pensava potesse ripetere il vostro exploit?
«La mia favorita era la Spagna, che poi ha vinto. Ma l’Inghilterra aveva la possibilità di farcela: non avrei mai pensato potesse andar fuori prima delle semifinali».
Lei aveva paragonato Fabio Capello a Sir Alf Ramsey: ne è ancora convinto?
«Gli somiglia per il senso di disciplina che riesce a inculcare nei calciatori, ma forse è meno flessibile. Poi, si sa, in una competizione come il Mondiale contano tanti fattori. Capello aveva vinto sempre prima, ha ripreso a vincere dopo: l’Inghilterra è mancata nel momento topico. Ma penso il problema di Capello sia un altro».
Quale?
«I tifosi preferirebbero avere un inglese alla guida della nazionale».
Ma gli allenatori italiani vanno così di moda in Inghilterra.
«Altro calcio, quello dei club. È uno sport globalizzato, in cui l’incidenza degli stranieri è enorme, ancor più in campo e a livello di proprietà. La nazionale è un’altra cosa, che investe l’orgoglio di un popolo. Va da sé, però, che sei poi vinci il resto passa in secondo piano».
Ha ragione, allora, Carlo Ancelotti a dire che anche in Inghilterra le vittorie aiutano ad essere apprezzati?
«Quello accade dappertutto. E Ancelotti lo sa bene: è il tecnico italiano più stimato in Inghilterra anche perché ha centrato una doppietta al primo colpo. Al di là dei successi, comunque, è allenatore preparato, persona seria, mai sopra le righe. Ora, però, gli tocca fare il salto di qualità anche in campo europeo».
Può farcela?
«Il Chelsea è forte, la concorrenza è agguerrita: può farcela. La stagione è partita alla grande, vedremo».
È un altro il tecnico italiano a cui è più legato: vero?
«Gianfranco Zola, anche per questioni di tifo. L’anno scorso ha salvato il mio West Ham dalla retrocessione alla sua prima esperienza in panchina, mi spiace che sia andato via. Ma non è solo il legame col West Ham che me lo ha fatto apprezzare: è una persona positiva, in tutti i sensi, che da giocatore del Chelsea ha fatto innamorare tutti gli inglesi, a prescindere dal tifo».
E l’ultimo arrivato, Roberto Mancini?
«Ha bisogno di tempo, il suo non è compito agevole. Partecipa alla costruzione di un progetto per portare il Manchester City nelle alte sfere del calcio inglese ed europeo: mica facile per un club che non ha la storia e la tradizione di altri. I soldi servono, ma ci vuol tempo per dare un’impronta a una squadra con tante novità».
Il talento di Balotelli può dargli una mano?
«Mi parlate tutti di Balotelli, ma io onestamente non lo conosco».
Geoff Hurst torna in campo: quale attaccante del momento vorrebbe al suo fianco?
«Nessun dubbio: Rooney. Là davanti è il più completo».
Uno come lui avrebbe giocato anche nella sua Inghilterra?
«Lui sì, l’unico. Per il resto, nessuno degli attuali nazionali sarebbe stato titolare in quella squadra».