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 2010  ottobre 11 Lunedì calendario

CIBO SCADUTO E SPRECHI ALIMENTARI PER VOCE ARANCIO


In Italia in un anno lungo la catena agroalimentare (cioè dal produttore al consumatore) vengono sprecate 20.290.767 tonnellate di cibo. Ci si potrebbero sfamare 44 milioni di persone (come tutti gli abitanti della Spagna). Va nella spazzatura il 15% del pane e della pasta, il 18% della carne, il 12% di frutta e verdura.

Ogni giorno a Milano si buttano 180 quintali di pane.

Buttando cibo, ogni anno in Italia è come si buttassero 4 miliardi di euro. Sono circa 584 euro a famiglia (su una spesa mensile di 450 euro).

La Confederazione degli agricoltori italiani ha calcolato che mettendo insieme tutti i prodotti alimentari sprecati in Italia si arriva a un fatturato di 30 miliardi di euro, il 2% del Pil.

Gli esperti del settore parlano di un 1% di fatturato mancato per colpa dei cibi “resi”, quelli cioè che restano sugli scaffali perché troppo vicini alla data di scadenza o perché presentano ammaccature e simili. «Se si tiene conto che il fatturato della grande distribuzione in Italia supera i 100 miliardi di euro l’anno, lo spreco alimentare vale circa un miliardo», stima Sandro Castaldo, ordinario di Marketing alla Bocconi. Questa cifra tiene conto solo della grande distribuzione.

In tutto il mondo si produce cibo per 12 miliardi di esseri umani (la popolazione mondiale non arriva a 7 miliardi).

Negli Stati Uniti ogni anno vengono buttati 17 milioni di tonnellate di alimenti ancora commestibili, pari a quasi 1.000 dollari a famiglia.

Dal 1974 gli scarti alimentari prodotti da ogni cittadino statunitense sono aumentati del 50%. Il cibo gettato nella spazzatura Usa è pari a 150 milioni di miliardi di calorie l’anno (il fabbisogno giornaliero di una persona è di circa 2.000 calorie).

Il governo inglese ha scoperto che oltre un terzo della spesa dei britannici finisce nei cassonetti dell’immondizia (con la stessa quantità di cibo di potrebbe dar da mangiare a 150 milioni di africani).

In Inghilterra ogni anno, finiscono in discarica 480 milioni di yogurt mai aperti.

Per non sprecare il cibo, il ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta mangia gli yogurt scaduti: «Me lo ha insegnato la mia mamma».

Per colpa di scadenze alimentari non rispettate, da gennaio a luglio i Nas, carabinieri del nucleo antisofisticazione, hanno: tolto dal commercio 8,2 milioni di litri di succhi di frutta, latte e bibite varie; sequestrato 2,3 milioni di barattoli di pelati, pasta, biscotti, yogurt, formaggio, carne in scatola e cibi confezionati; chiuso 780 centri di produzione alimentare.

Esistono due tipi di scadenze. Il colonnello Antonio Amoroso, vicecomandante dei Nas: «Una perentoria, “da consumarsi entro”, è per il cibo fresco ad alta deperibilità; l’altra, “preferibilmente entro”, indica il termine minimo di conservazione entro cui il prodotto non diventa dannoso, ma perde le proprietà organolettiche». Per i cibi che riportano la frase «da consumarsi entro» le leggi europee vietano la vendita dopo la scadenza. (La Stampa).

Chi stabilisce le date di scadenza? Alcuni cibi freschi hanno una durata stabilita per legge: per esempio il latte (6 giorni quello fresco, 90 l’Uht e 180 quello sterilizzato), le uova (28 giorni dopo la deposizione, 9 giorni nel caso delle uova extra fresche), la pasta fresca ecc. Per tutti gli altri a indicare la scadenza (o tmc, termine minimo di conservazione) è l’azienda produttrice che testa il prodotto e valuta la materia prima utilizzata, le tecniche di conservazione, il confezionamento, la catena distributiva.

Dunque se la scadenza riporta la scrittura «preferibilmente» significa che l’alimento è commestibile anche dopo quella data. Ma di quanto si può superare il limite? Paolo Aureli, del dipartimento di Sicurezza alimentare dell’Iss – Istituto Superiore di Sanità: «Dipende. Alcuni alimenti restano commestibili per mesi, altri soltanto per alcuni giorni. E occorre considerare le caratteristiche del prodotto perché per esempio la pasta integrale dura meno di quella normale, così come i frollini classici rispetto ai biscotti che contengono fibre» (al Corriere della Sera).

Dal punto di vista nutrizionale, che differenze ci sono, per esempio, tra una scatola di pomodori pelati di 24 mesi e una di 30? Carlo Cannella, presidente dell’Inran - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione: «Nel caso ci fosse una leggera variazione sui valori nutritivi sarebbe minima, quindi non significativa, soprattutto in un Paese come il nostro, dove non abbiamo certo il problema della malnutrizione» (al Corriere della Sera).

Di quanto si può “sforare” superata la data del termine minimo di conservazione (indicato con la frase: «Da consumarsi preferibilmente»)? Ecco alcuni consigli:
Olio extra vergine di oliva: sull’etichetta il termine minimo varia da 12 a 18 mesi. Meglio non consumarlo 3-6 mesi oltre la data indicata.
Biscotti secchi: in genere il termine minimo di conservazione è di 12 mesi. Meglio non superare i sei mesi dopo la data indicata.
Prosciutto crudo confezionato (non quello del bancone salumeria): ha un limite di circa due mesi. Meglio non consumare un mese oltre la data indicata.
Insalata in busta: dura circa 5 giorni ed è meglio non superare questo limite.
Pasta secca: ha un termine minimo di conservazione variabile da 22 a 37 mesi. Meglio non consumare sei mesi oltre la data indicata.
Tonno in scatola: dura fra 3 e 5 anni. Superato questo limite è meglio non aspettare più di 1-3 mesi per mangiarlo.

Da circa 8 anni nel Regno Unito varie ditte vendono legalmente prodotti alimentari scaduti a prezzo fortemente ribassato. La più nota è Approved Food di Sheffield, che vende online: lo scorso anno, con l’esplosione della crisi economica, decuplicò in pochi mesi il fatturato. Il fondatore Dan Cluderay spiegò al quotidiano economico Financial Times che gli arrivavano così tante ordinazioni da essere stato costretto a chiudere il sito per qualche giorno, così da poter completare tutti gli ordini. Un portavoce della Food Standard Agency, agenzia governativa che controlla e regolamenta il settore alimentare in Gran Bretagna, garantisce: «L’avvertimento che un certo prodotto andrebbe mangiato entro una certa data è un’indicazione di qualità, non di sicurezza. Mangiare cibo dopo la data di scadenza non mette necessariamente la gente a rischio di un’intossicazione alimentare».

Un esempio di offerta su Approved food (verificata il 3 ottobre 2010): una confezione con 200 porzioni di caffè solubile Nescafè scaduta il 1 marzo 2010 costa 3,49 sterline, contro 16,99 sterline (per una confezione non scaduta, ovviamente) richieste dal sito specializzato in vendite online Viking Direct.

Un’iniziativa un po’ estrema è quella dei freegan, che in Canada, Australia e Stati Uniti come filosofia di vita rovistano nei cassonetti per recuperare alimenti ancora commestibili. Non sono poveri, ma studenti e persone di mezza età, a volte vegetariani radicali, nemici giurati del consumismo, disposti a cibarsi degli avanzi dei supermercati pur di spezzare la tradizionale catena alimentare. Si tengono in contatto per e-mail e organizzano i loro raid notturni (che si chiamano “trash tours”) su Internet.

La parola freegan è composta da “free”, nel senso di gratis, e “vegan”, che è lo stile di vita per cui si esclude l’uso di tutti i prodotti di origine animale.

A New York c’è l’organizzazione no profit City Harvest che fornisce pasti ai senzatetto recuperandoli dai magazzini dei drugstore e dai ristoranti.

Ben lontani dalla filosofia dei freegan sono gli associati del Last Minute Market, che combattono con altri mezzi lo spreco alimentare. Spiegano: «Perché andare a rovistare nella spazzatura quando ci si può fermare un passo prima e accedere ai surplus in modo più sano e coordinato?».

Lo scopo del Last Minute Market è recuperare il cibo che esce dal supermercato come scarto per donarlo alle associazioni di volontariato. È nato nel 1998 da un’intuizione del professore Andrea Segrè (allora docente di Economia e Ingegneria agraria all’Università di Bologna e oggi preside della Facoltà di Agraria) insieme a un suo ex studente, Luca Falasconi, capo del reparto ortofrutticolo di un ipermercato: «Mi invitò a fare una visita al suo reparto, prima dell’orario di apertura. La scena era veramente surreale, rimasi sbalordito di fronte alla quantità di cibo che si buttava, senza un motivo preciso e quasi con soddisfazione. Non potevo credere che tanta roba, non avariata, non scaduta, finisse nei cassonetti della spazzatura» (tratto dal libro Non sprecare, di Antonio Galdo).

All’inizio Last Minute Market nacque come progetto di ricerca, allo scopo di scoprire i motivi e i passaggi delle filiere agroalimentari in cui si originano gli sprechi. In un anno di sperimentazione a Bologna con l’ipermercato della Cooperativa Adriatica, quelli dell’organizzazione hanno recuperato, dopo esami igienico-sanitari molto scrupolosi, il 95% degli scarti alimentari e ogni giorno circa 250 persone hanno mangiato con il cibo invenduto dell’ipermercato. Attualmente Last Minute market ha oltre 40 progetti attivati in vari comuni, provincie e regioni.

Alcuni esempi di progetti Last Minute Market: da uno degli ospedali di Bologna si recuperano ogni giorno 30 pasti pronti presso la mensa, per un valore complessivo di oltre 35.000 euro all’anno. A Verona otto mense scolastiche recuperano circa 8 tonnellate all’anno di prodotto cotto che corrispondono a circa 15.000 pasti. Da un ipermercato sono state recuperate fino a 170 tonnellate di prodotti alimentari in un anno, che corrispondono a circa 300 pasti al giorno per un valore economico di circa 650.000 euro. Gran parte dei cibi recuperati sono freschi e altamente deperibili (frutta, carne, latticini, ecc). Da un mercato ortofrutticolo sono state raccolte 60 tonnellate di frutta e verdura fresche per un valore economico di 138.000 euro. Undici strutture (tra cooperative sociali, centri di accoglienza e parrocchie) hanno beneficiato degli alimenti recuperati.

Da una sola mensa si possono recuperare oltre 7 tonnellate all’anno di cibi cotti. Una caserma può recuperare oltre 12 tonnellate all’anno di pasti cotti. Le mense ospedaliere possono arrivare a recuperare una media di 3 tonnellate all’anno. Un self-service può recuperare in media 5 tonnellate all’anno di prodotto non servito.

«Al supermercato scartiamo lo yogurt con scadenza a 48 ore e compriamo il vasetto in ultima fila, perché scade dopo due settimane. Ma che succede allo yogurt alla 49esima ora di vita? Forse diminuiscono i fermenti lattici, da 10 milioni a 9, ma per farci star male serve ben altro: una volta sono arrivato a 31 giorni, eppure sono ancora qui» (Andrea Segrè, preside della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, a Camilla Strada, Vanity Fair).