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 2010  ottobre 10 Domenica calendario

MEL’GUNOV - IL MAESTRO CENSURATO DI SOLZHENITSYN

Esiste l’idea, ancora diffusa nel nostro Paese, che il comunismo così com’è stato teorizzato da Marx sia di per sé qualcosa di ammirevole, forse un’utopia, ma tutto sommato un’utopia in buona fede. I massacri, la violenza cieca e senza pietà, le incarcerazioni, le torture, i campi di concentramento, lo sterminio quello sì scientifico sarebbero venuti solo dopo, quando la situazione dell’Unione Sovietica è sfuggita di mano a chi la doveva reggere. Gli storici vicini al Pci, per anni, hanno indicato in Stalin il ricettacolo di tutti i mali, il mostro georgiano capace di pervertire una materia di partenza di buona qualità. Fortunatamente, fior di studiosi e saggisti (Richard Pipes tra gli altri) non ideologizzati hanno mostrato che le cose stanno diversamente. Il germe della violenza e della soppressione dei diritti individuali è connaturato all’idea comunista e la creazione di quello che Aleksandr Solzhenitsyn chiamò “Arcipelago Gulag” risale non tanto ai tempi di Stalin, ma ai primi anni di vita dell’Unione Sovietica (i campi sono attivi già nel 1919, senza dimenticare le terribili carestie del ’19-’20 progettate dai bolscevichi).
Martedì prossimo arriva per la prima volta nelle librerie italiane un testo che dimostra chiaramente la veridicità di questa tesi. Un capolavoro della storiografia, che tutti gli studiosi seri i quali si sono occupati del periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione d’ottobre hanno preso come punto di riferimento. Si tratta di Il terrore rosso in Russia. 1918-1923 di Sergej P. Mel’gunov, stampato ora dalla coraggiosa Jaca Book (pp. 336, euro 29) e curato da Sergio Rapetti e Paolo Sensini. Assieme all’opera più nota di Solzhenitsyn, ai Racconti di Kolyma di Salamov e al Libro nero del comunismo, il testo di Mel’gunov è fra quelli indispensabili per capire che cosa sia stato davvero il moloch rosso. Il breve estratto che pubblichiamo qui a fianco (dal primo capitolo “L’istituto degli ostaggi”) rende l’idea della forza sconvolgente di queste pagine.
Bisogna però raccontare la storia editoriale del Terrore rosso. Come spiega il curatore Paolo Sensini, «il Terrore è uscito alla fine del 1923 in lingua russa, ma a Berlino. Verso la fine degli anni Venti è sta-
to stampato anche in francese, inglese e spagnolo e nel tempo è diventato un testo fondamentale per tutti coloro che studiano l’Unione Sovietica e in particolare i primi quattro anni, che ne costituirono la spina dorsale e posero le basi per tutto ciò che venne in seguito».
Eppure, a casa nostra, per quanto l’abbiano letto e citato da edizioni straniere, gli studiosi non ne hanno mai avuto a disposizione una traduzione. C’è voluto un piccolo editore come Jaca Book per ripescarlo con novant’anni di ritardo. I motivi di questa censura sono abbastanza ovvi, come racconta ancora Sensini. «Il libro racconta come sono andate realmente le cose dal momento della presa del potere dei bolscevichi. Il terrore è una politica inagurata il 5 settembre del 1918, ma di fatto era già partita prima, nel 1917. L’idea cardine di Lenin era quella di ripulire il suolo russo dai nemici di classe, identificati con gli insetti, gli scarafaggi».
Che cosa dimostra di così disturbante per l’intellighenzia progressista l’opera di Mel’gunov? Intanto, sfata il luogo comune secondo cui le malefatte del comunismo sarebbero iniziate con Stalin. «La violenza non è un elemento che subentra con il dittatore georgiano, è incistata nella politica dei bolscevichi», dice Sensini. «Mel’gunov era un socia-
lista, dunque non un nemico a priori dei bolscevichi. Prese parte all’esperienza del governo Kerenskij come archivista, dunque non era per principio sfavorevole a un’evoluzione del socialismo».
Un testimone tutto sommato imparziale, dunque, che si trova però a fare i conti con l’amara realtà. Col fatto cioè che immediatamente i bolscevichi rivelano la loro vera natura. «I bolscevichi presero il potere con l’idea di creare un’assemblea costituente. Ma nel momento in cui si andò verso le elezioni e si scoprirono in minoranza, decidono di chiudere la costituente, dando di fatto ini-
zio alla guerra civile, che si chiuderà con un bilancio di circa 15 milioni di morti». Poco dopo, quando Lenin prende il potere, viene introdotto il Dekret o Krasnon terrore, ovvero la politica del terrore rosso. Il pretesto, come si vede nel brano del libro riportato qui a fianco, furono gli attentati al presidente della Ceka di Pietrogrado Moisej Urickij e allo stesso Lenin da parte del socialista Leonid Kannegiser e della rivoluzionaria Fanny Kaplan.
La reazione fu terribile e immediata: in pochi giorni, centinaia di morti. Poi, la decisione di sterminare i nemici di classe. Mel’gunov
vide e inorridì. Per questo subì varie persecuzioni, fu incarcerato anche se era un intellettuale stimato e un personaggio di alto profilo, che poteva parlare con i capi della nascente polizia segreta. Questi rapporti privilegiati gli consentirono di evitare la morte e di essere semplicemente espulso dall’Urss. «Si stabilì a Berlino», spiega Sensini, «e cominciò a lavorare al libro, che è documentatissimo. Mel’gunov in parte conosceva direttamente i fatti, in parte ha potuto attingere ai bollettini e ai documenti della Ceka e della Gpu. Il suo lavoro è attentissimo a livello filologico».
Il Terrore è divenuto un punto di riferimento, dicevamo, per lo scrittore simbolo della lotta al comunismo, Solzhenitsyn, il quale cita ampiamente Mel’gunov in Due secoli insieme (testo anch’esso trascurato, edito in Italia dalla piccola Controcorrente): «Lo storico Mel’gunov che conobbe le prigioni e le minacce della Ceka, ha descritto in modo indimenticabile l’epopea del terrore rosso nel suo famoso libro (...) Mel’gunov avanza cifre di vittime (all’epoca le cifre esatte non erano praticamente disponibili) quelle di “un’ondata di assassini senza precedenti”». Per il premio Nobel dissidente, Mel’gunov era una fonte primaria, un ispiratore. L’Italia ha aspettato quasi 90 anni prima di pubblicarlo.