Paolo Grillo, Corriere della Sera 09/10/2010, 9 ottobre 2010
QUANDO PONTIDA ERA UN LUOGO MITICO DELL’UNITA’
Un secolo e mezzo prima di essere riscoperta da Umberto Bossi, Pontida era già stata un luogo mitico per altri patrioti: i protagonisti del Risorgimento. Ogni uomo di cultura italiano, all’ epoca, conosceva alla perfezione l’ epopea della lotta dei comuni riuniti nella Lega Lombarda contro Federico Barbarossa e riteneva che essa prefigurasse la lotta per l’ indipendenza da intraprendere contro gli austriaci. La resa di Milano e la sua distruzione, nel 1162, adombravano gli esiti disastrosi del Congresso di Vienna. Alla sconfitta e all’ umiliazione erano però seguiti il momento della concordia e del riscatto alla creazione della Lega Lombarda a Pontida nel 1167, la vittoria militare a Legnano nel 1176 e il successo diplomatico della Pace di Costanza nel 1183, che segnò il ritiro della presenza imperiale dalla penisola. Rievocare tali eventi, nella storia e nella letteratura, implicava indicare un modello a chi si opponeva alla presenza di un altro impero, quello asburgico, e augurarsi un uguale esito della contesa. Così, l’ esule Giovanni Berchet, fuggito a Londra dopo i moti del 1821, scriveva che gli anni della Lega Lombarda furono «l’ epoca più bella, più gloriosa della storia italiana». Giuseppe Mazzini, anch’ egli rifugiato nella capitale inglese, affermava che «i sedici anni che corsero dalla prima congrega (della Lega) alla pace segnata in Costanza valgono due secoli interi di Roma». Il politico, scrittore e pittore torinese Massimo D’ Azeglio si dedicava alla stesura di un romanzo dedicato alla lotta fra i Comuni e il Barbarossa, dato che fu «l’ epoca la più bella e luminosa della nostra storia». Alla radice di questa riscoperta stava la Storia delle repubbliche italiane nel Medioevo, dello studioso ginevrino Jean Charles Sismondi, che presentava l’ età comunale come il momento più alto della storia italiana, e forse europea, lodando il valore dimostrato dalle città della Lega Lombarda nel difendere la propria libertà dall’ oppressione principesca simboleggiata dal Barbarossa. Con quest’ opera, terminata in francese nel 1818 e subito tradotta nel 1819, Sismondi fornì agli italiani un passato di cui essere fieri. Gli austriaci tentarono di ostacolare la diffusione dei suoi scritti, che però furono pubblicati nel Canton Ticino e riuscirono ugualmente a circolare. Da questi, poeti, letterati, pittori e librettisti trassero ispirazione per opere che assicurarono il radicamento e la diffusione popolare dell’ immaginario legato alle guerre federiciane. Fu proprio il Berchet, in particolare, a celebrare in un suo poemetto del 1829 il giuramento di Pontida quale elemento iniziale di un trittico che includeva anche la battaglia di Legnano e la Pace di Costanza. Gli orecchiabili versi del Berchet divennero in breve noti ovunque: «L’ han giurato. Gli ho visti in Pontida / convenuti dal monte dal piano / l’ han giurato e si strinser la mano / cittadini di venti città». Se Legnano per i patrioti aveva tutto il fascino della vittoria militare sui tedeschi, evento raro nella storia italiana, Pontida presentava un altro elemento fondamentale della mistica risorgimentale: il giuramento. Non a caso questo rito, che costituiva il momento centrale dell’ affiliazione alla Carboneria o alla Giovine Italia, ritornava in molte opere dell’ epoca. Il verso di Berchet, «L’ han giurato. Gli ho visti in Pontida» rimandava immediatamente all’ ode patriottica manzoniana Marzo 1821: «Han giurato: non fia che quest’ onda / scorra più tra due rive straniere (...) L’ han giurato, altri forti a quel giuro / rispondean da fraterne contrade». Si cantava così la spontanea iniziativa degli italiani, affratellati e resi concordi dal rito. Anche l’ opera verdiana La battaglia di Legnano si apriva con l’ annuncio che «Viva Italia! Un sacro patto / tutti stringe i figli suoi: / esso alfin di tanti ha fatto / un sol popolo d’ eroi!». L’ apogeo dell’ identificazione fra lotte comunali e aspirazioni indipendentiste si verificò durante la prima guerra di indipendenza. Le analogie erano suggestive. Ancora una volta erano le città a sollevarsi e a scacciare gli stranieri, ancora una volta il papa, Pio IX, sembrava intenzionato ad ispirarne e appoggiarne il moto. Carlo Cattaneo racconta che già nel 1847 la municipalità di Milano, per eccitare i cittadini contro gli austriaci, aveva «parato a festa le vie con le insegne della Lega di Pontida». Nella primavera del 1848, Giuseppe Garibaldi arrivando a Bergamo esortò i cittadini dicendo che «Bergamo sarà il Pontida della generazione presente e Dio vi condurrà a Legnano». Contemporaneamente, il comandante del corpo di spedizione pontificio contro gli austriaci, il generale Durando, ricordava ai suoi uomini che la Lombardia «fu già glorioso teatro di guerra d’ indipendenza, quando Alessandro III benediceva i giuramenti di Pontida» e il suo vice, Massimo d’ Azeglio, proclamava loro che «gli spiriti gloriosi di coloro che combatterono a Legnano vi sorridono dal cielo». L’ ’ Italia intera parve in quei giorni identificarsi nel mito della Lega Lombarda, anche quelle regioni che, storicamente, non ne fecero parte. A Torino agli inizi del 1848, per festeggiare la concessione dello Statuto, fu fatto sfilare un carroccio con campana e stendardo. L’ abate di Montecassino, Luigi Tosti, pubblicò proprio quell’ anno una Storia della Lega Lombarda. Molti intellettuali napoletani si misero a comporre romanzi e poemi dedicati al medesimo tema; fra loro, il librettista Salvatore Cammarano scrisse il testo della Battaglia di Legnano, di Giuseppe Verdi, che sarebbe stata rappresentata per la prima volta a Roma, nel gennaio del 1849, alla vigilia della proclamazione della Repubblica. Le sconfitte di Custoza e di Novara, la repressione austriaca della Repubblica veneta e quella francese della Repubblica romana travolsero non solo le speranze dei patrioti, ma anche l’ immaginario storico che sosteneva le loro ambizioni. Alla nascita del Regno d’ Italia, il mito di Pontida e di Legnano era ormai agonizzante. Nel 1866, proprio alle soglie del settimo centenario del giuramento, l’edizione scientifica dei più antichi trattati della Lega, realizzata da Cesare Vignati, mostrò che nessuna di queste carte riportava come luogo di redazione Pontida. Il primo a menzionare la località fu, a oltre tre secoli dai fatti, lo storico milanese Bernardino Corio, che scrisse una Storia di Milano, pubblicata agli inizi del Cinquecento. Nel 1867, mestamente, la celebrazione dell’ anniversario fu annullata a causa di un’ epidemia di colera. Il governo non appoggiò neppure le manifestazioni per il centenario della battaglia di Legnano, nel 1876, con la motivazione che avrebbero potuto offendere i nuovi alleati prussiani. I Savoia, in realtà, avevano poco interesse ad alimentare la memoria delle guerre federiciane. Il modello comunale e federativo era in netta contraddizione con lo stretto centralismo del nuovo Stato. La «questione romana» rendeva imbarazzante rievocare il ruolo di papa Alessandro III quale protettore delle città. D’ altro canto, come la stampa cattolica non mancava perfidamente di rimarcare, all’ epoca Umberto III di Savoia era schierato con il Barbarossa e non certo con la Lega. Soprattutto, però, era venuto meno il senso profondo dell’ identificazione fra l’ Italia risorgimentale e quella dei comuni. Con la parziale eccezione della spedizione dei Mille, il processo unitario dal 1859 in poi riguardò l’ esercito e la diplomazia sabaudi, non la popolazione delle città. La via tracciata era quella dell’ adesione plebiscitaria a una monarchia, non più quella dei giuramenti fra uomini liberi. La memoria della Lega venne utilizzata solo da chi cercava ancora una via popolare e partecipativa all’ unità nazionale. «Quante volte - ricordava Garibaldi - pronunciai il nome di Pontida rievocando la sua con altre glorie d’ Italia per infiammare gli animi de’ miei compatrioti e de’ miei volontari». Ma ormai gli episodi della lotta contro il Barbarossa erano destinati a essere emarginati dalla memoria ufficiale del Regno d’ Italia. Essi sono così rimasti relegati in una dimensione celebrativa locale, lombardo-veneta, e hanno finito per essere riutilizzati, a oltre un secolo di distanza, proprio da chi del localismo e del regionalismo ha fatto la propria bandiera.
Paolo Grillo