ADRIANO SOFRI, la Repubblica 9/10/2010, 9 ottobre 2010
COINCIDENZE ROMANE
Stavo facendo andare avanti e indietro il film della sfilata del primo ministro cinese Wen Jiabao e del primo ministro italiano Silvio Berlusconi davanti al picchetto d´onore nel cortile di Palazzo Chigi. Avevo la sensazione che guardandoli e riguardandoli avrei penetrato il mistero della storia e della geografia contemporanea. Berlusconi fa gli onori di casa, vuole apparire disinvolto, è tradito da un fisico inquartato e da un doppio petto tuttora inspiegato.
Wen è un po´ più rattenuto, è di statura modesta anche lui ma più smilzo, sta dentro un abito scuro a un petto, comodo, benché non quanto le casacche della sua gioventù invidiate dalla nostra, asseconda con grande docilità la guida dell´ospite. A un certo punto però, mentre tornano indietro sul tappeto rosso e devono fermarsi a metà per offrirsi ai fotografi, ho l´impressione che Wen sia preso da una piccola, quasi impercettibile impazienza, e accorci lui la mezza piroetta conclusa dalla stretta di zampa. Forse l´ho solo immaginato. Li riguardo: un buffo topo di città che illustra il cerimoniale all´agile gatto sornione in visita, che è appena passato dalla Grecia, e l´ha comprata, e sta per passare dalla Turchia, e trattarne l´acquisto. Si presta alle birichinate, Wen, in Francia si è messo il cappello di Napoleone, qui - a ognuno il suo - porge l´altra spalla alle pacche. Le unghie, le ha tirate dentro. Dopotutto l´importante è prendere il topo, e questo qui ti viene in bocca a passo di corsa.
Ma ecco che il diavolo delle coincidenze ci mette un primo zampino. L´inchiostro con cui sono stati firmati affari per 100 miliardi in cinque anni - ehilà, una somma visibile a occhio nudo dalla luna - è ancora fresco, quando una pioggia micidiale (pur sempre una pioggia, tuttavia) inonda un sottopassaggio di Prato e annega tre signore che vanno a lavorare da operaie alle tre e mezza di notte. Di prima mattina, prima ancora di combattere con gli interrogativi sulle idrovore che non hanno funzionato o sul mancato allarme o sui soccorsi assenti - chissà se si sarebbe potuto fare meglio, ma peggio no - il sindaco di Prato, eletto sulla scia dell´esasperazione contro la Chinatown in tempo di crisi, si affretta a proclamare che non ci sarà lutto cittadino. Non è razzismo, si è detto: probabile, e poi il razzismo oggi non si lascia mettere il sale sulla coda, con tanti grossi topi e gatti smilzi in giro. Non è razzismo, è un riflesso condizionato, erano tre signore cinesi. Se fossero state italiane, il problema non si sarebbe posto. O non si sarebbe chiesto il lutto cittadino, o non lo si sarebbe negato. Poi il comune ci ha messo una toppa, bandiera a mezz´asta, minuto di raccoglimento: però il lapsus era scappato. A essere cattivi, si potrebbe ricalcare il Mark Twain dell´incendio sul Mississippi: c´è stato un nubifragio, ma grazie al cielo senza danni alle persone, solo alcune auto distrutte, e tre cinesi morte. Prato non è lontana da Roma, Wen Jiabao deve averne sentito qualcosa, e provato un prurito alle unghie. Intendiamoci, il problema è grosso. Andate a visitare il carcere di Prato, e vedere quanti detenuti cinesi ci sono, e in che rapporti stanno col resto del mondo.
Bene, ma lo zampino del diavolo è molto più ambizioso del piacere di pestare la coda alla festa romana delle pacche sulle spalle. Nella quale Berlusconi ha voluto finalmente elucidare il segreto della politica della Repubblica Popolare cinese, un quinto della popolazione mondiale, e del suo glorioso Partito Comunista, come un paragrafo della strategia del Popolo delle Libertà: «I governanti cinesi, come noi, sono fautori della politica del fare e preferiscono affrontare e risolvere i problemi piuttosto che irrigidirsi su questioni di principio». Poi, si è rallegrato dell´imminente sorpasso della Cina sugli Stati Uniti: l´Occidente è in rosso. Poi si è preparato ad andare a festeggiare il compleanno di Putin, un altro che sa essere elastico sui princìpi. Avrà anche fatto una telefonata d´affezione a Gheddafi. Ormai nella politologia di Berlusconi tutti i conti tornano. A Roma, in teatro, ha interpellato per errore i cinesi così: «Signori membri della delegazione residenziale russa». La lunga marcia di Berlusconi alla volta del Kazakistan interiore è ormai compiuta.
E lo zampino del diavolo? Si è infilato nel Comitato norvegese del Nobel per la pace, l´unico che Alfred Nobel abbia riservato alla sua patria. E´ una delle nicchie ancora renitenti alla strategia berlusconiana. Così il detenuto Liu Xiaobo, uno che si è irrigidito insopportabilmente su questioni di principio, ha avuto il premio. E Berlusconi ha immediatamente convocato a Pechino l´ambasciatore di Oslo per spiegazioni. No, non Berlusconi, il governo cinese. Il quale ha chiesto quanto può venire a costare la Norvegia. O forse l´ha chiesto Berlusconi.