Giulia De Luca, Il Riformista 9/10/2010, 9 ottobre 2010
CINESI D’ITALIA TRA IMBARAZZO E CONTRARIETA’
La notizia dell’assegnazione del premio Nobel per la pace a un dissidente cinese coglie l’Italia in un momento delicato. Solo due giorni fa il premier Wen Jiabao ha fatto tappa a Roma, dove si inaugurato l’anno della cultura cinese in Italia. E i rispettivi governi hanno fissato un obiettivo importante dal punto di vista commerciale: raggiungere entro il 2015 un interscambio economico da 80 miliardi di dollari. Un motivo sufficiente per evitare di andare, proprio ora, contro le volontà di Pechino.
Una tiepida approvazione è arrivata dal ministro degli Esteri Franco Frattini il quale, a differenza dei colleghi stranieri che hanno chiesto a gran voce la liberazione del dissidente, ha rilasciato una dichiarazione piuttosto misurata: «L’assegnazione, in maniera, come noto, del tutto indipendente, del Premio Nobel al dissidente cinese Liu Xiaobo incarna il riconoscimento internazionale per tutti coloro che, a prescindere dalla nazionalità di appartenenza, lottano per la libertà ed i diritti della persona».
Dal mondo delle relazioni bilaterali italo-cinesi, particolarmente celebrato negli ultimi giorni con il conferimento di varie onorificenze ad alcune personalità italiane per il loro impegno nel rafforzare i rapporti tra i due Paesi, non sono arrivati commenti. Giuliano Urbani, coordinatore italiano dell’anno culturale cinese, precisa al telefono con “Il Riformista” che «non è che non voglio commentare, ma non posso. Non conosco la storia, la situazione, il personaggio e parlare di cose che non si conoscono è altamente irresponsabile».
Anche la Fondazione Italia-Cina guidata da Cesare romiti (altro premiato) preferisce non commentare la notizia. Mentre Federico Masini, preside della facoltà di studi orientali della Sapienza e direttore dell’istituto Confucio di Roma, si considera una voce fuori dal coro. Contattato dal “Riformista”, ha definito il premio «inopportuno», perché «interventi così forti dall’esterno sicuramente non aiutano il processo di trasformazione pacifica avviato dalla Repubblica Popolare».
«La storia ha dimostrato – continua il professor Masini – che quando la Cina subisce pressioni internazionali esterne c’è poi un irrigidimento non solo del governo ma anche del popolo stesso». E sulla reazione dell’Italia non ha dubbi: «In questo momento non posso che apprezzare una posizione tiepida da parte del governo italiano. Sostenere un irrigidimento verso Pechino non giova alle relazioni bilaterali tra i due Paesi e nemmeno alla società interna cinese».
Proprio la paura che il direttore di “Asia News”, Padre Bernardo Cervellera, sostiene accomuni tutti coloro che con la Cina hanno una relazione commerciale. «Questo premio mi ha stupito – dichiara - perché c’è un andazzo internazionale per cui la Cina non si può assolutamente toccare. La Cina è quella che assorbe tantissimi investimenti internazionali, è la fabbrica del mondo e ha la maggiore riserva in assoluto di valuta estera. Tutti vogliono che la Cina continui a produrre a basso costo, in modo che da noi l’inflazione rimanga più bassa. Osare toccare un gigante commerciale di questo tipo significa dire che invece è un nano dal punto di vista dei diritti umani. Hanno paura che questo vada a scuotere sia la società che il governo provocandone il crollo». Secondo Padre Bernardo però, lavorare sul rispetto dei diritti umani servirebbe proprio a creare un nuovo sistema di sviluppo che metta insieme i diritti umani con il potere delle banche. « Quelli che in Italia commerciano con la Cina adesso dovrebbero capire la lezione di Liu Xiaobo: bisogna far maturare i diritti umani se non si vuole che il disastro della Cina diventi il disastro del mondo».
E sull’opinione espressa dal nostro Paese riguardo all’assegnazione del premio Nobel spende poche, ma decise, parole: « La posizione tiepida è tipicamente italiana. Ma non solo ora che c’è Silvio Berlusconi, quando c’era Prodi anche e ai tempi di Craxi era ancora peggio. Noi pensiamo di conquistarci la Cina diventando servili, invece la Cina ha bisogno di partner alla pari che siano in grado sia di commerciare ma anche di sottolineare quello che non va».