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 2010  ottobre 08 Venerdì calendario

SCHEDONE SU LIU XIAOBO E SUI LAOGAI


Il comitato per il Nobel per la Pace ha assegnato il premio del 2010 al dissidente cinese Liu Xiaobo, simbolo della battaglia per i diritti umani e civili in Cina, «per la lunga e non violenta battaglia per i diritti umani» nel suo Paese. Prima dell’annuncio ufficiale il presidente del comitato, Thorbjoern Jagland, aveva detto che, come l’anno scorso quando il premio andò a Barack Obama, sarebbe stata una «scelta da difendere. Nei giorni scorsi Pechino aveva chiesto di non assegnare il premio né a Liu né ad altri dissidenti o sostenitori dell’ingresso della democrazia in Cina. Tra i 237 candidati Xiaobo era apparso sin da subito tra i favoriti.

«Durante gli ultimi decenni - si legge nelle motivazioni del Comitato per il Nobel - la Cina ha fatto enormi progressi economici, forse unici al mondo, e molte persone sono state sollevate dalla povertà. Il Paese ha raggiunto un nuovo status che implica maggiore responsabilità nella scena internazionale, che riguarda anche i diritti politici. L’articolo 35 della Costituzione cinese stabilisce che i cittadini godono delle libertà di associazione, di assemblea, di manifestazione e di discorso, ma queste libertà in realtà non vengono messe in pratica». «Per oltre due decenni - prosegue il Comitato del Nobel - Liu è stato un grande difensore dell’applicazione di questi diritti, ha preso parte alla protesta di Tienanmen nell’89, è stato tra i firmatari e i creatori del Manifesto 08 della democrazia in Cina. Liu ha costantemente sottolineato questi diritti violati dalla Cina. La campagna per il rispetto e l’applicazione dei diritti umani fondamentali è stata portata avanti da tanti cinesi e Liu è diventato il simbolo principale di questa lotta».

La prima reazione cinese è stata il messaggio pubblicato sul sito del suo ministero degli Esteri: l’assegnazione del premio a Xiaobo, si legge, è «un’oscenità» che «viola completamente i principi» dello stesso premio Nobel perché Xiaobo è «un criminale» condannato «dalla giustizia». La decisione, prosegue la nota, è destinata a «nuocere alle relazioni tra la Cina e la Norvegia». Nel pomeriggio il governo ha convocato l’ambasciatore norvegese a Pechino.

Accusato di essere tra i promotori di “CartaO8”, appello per le riforme politiche in Cina, Liu Xiaobo è stato arrestato l’8 dicembre 2008 e rinchiuso nel carcere di Jinzhou, a 500 chilometri da Pechino. Il 25 dicembre 2009 è stato condannato a 11 anni «per incitamento a sovvertire il potere dello stato». La pena è stata confermata in appello l’11 febbraio scorso. I suoi avvocati, dice Amnesty International, hanno avuto soltanto venti minuti per presentare la loro arringa. In totale il processo è durato meno di tre ore. Probabilmente la condanna è stata inflitta nel giorno di Natale per ridurre la copertura dei mezzi d’informazione.

Nato il 28 dicembre 1955 a Changchun, città industriale nel nordest della Cina ed educato alla religione cristiana, Liu Xiaobo è sposato con Liu Xia, anche lei insegnante. I due non hanno figli. Nel 1982 si laureò in Letteratura all’università di Jilin e nel 1986, dopo la laurea magistrale a Pechino, ottenne il dottorato all’università Normale di Pechino. Negli anni ha lavorato alla Columbia University, all’Università di Oslo, all’Università delle Hawaii ecc. Quando nel 1989 scoppiò il movimento studentesco, insegnava Letteratura all’università. Quando i carri armati del governo cinese marciarono su Piazza Tienanmen, era tra i manifestanti. Pochi giorni dopo, accusato d’aver manovrato gli studenti per farli scendere in piazza, fu arrestato e trascorse 18 mesi in prigione, condannato come «controrivoluzionario». Nel 1995 fu condannato a tre anni in un campo di «rieducazione attraverso il lavoro» per aver scritto articoli critici verso il governo. Scontata la pena, gli fu vietato di insegnare. Negli anni precedenti al suo arresto era diventato uno dei principali punti di riferimento per i dissidenti cinesi e gli attivisti del gruppo internazionale del i diritti umani. Nel 2004 Reporters sans frontières gli ha assegnato il premio Fondation de France per il suo impegno nella difesa della libertà di stampa.

Dalla fine del 2008 Xiaobo è in carcere per essere stato tra i firmatari e i promotori di “Charta08” con l’accusa di «incitamento alla sovversione del potere dello Stato e a rovesciare il sistema socialista». “Charta08”, che si rifà a Carta 77, dichiarazione dei dissidenti cecoslovacchi contro il regime sovietico, è stato scritto nell’arco di diversi mesi da decine di intellettuali ed è stato reso pubblico nel dicembre del 2008 in occasione del 60esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. In calce riporta la firma di 303 tra scrittori, avvocati, giornalisti, accademici, semplici cittadini, poi tutti interrogati dalla polizia. Nelle poche ore in cui è rimasto disponibile su Internet, il documento ha raccolto duemila firme.

Qualche giorno fa in un’intervista all’agenzia di stampa tedesca Dpa, Liu Xia aveva detto: «Prima fumavo un pacchetto di sigarette al giorno, ora sono tre. Quando la gente mi dice di smettere, io rispondo che rispetto al partito comunista le sigarette sono una buona cosa per me». Da maggio a oggi la signora è andata in carcere a trovare suo marito quattro volte: «Fin dalla prima volta – ha raccontato - ci hanno detto che potevamo parlare solo di affari di famiglia. Se avessimo parlato di altro l’incontro sarebbe stato interrotto immediatamente».

Attraverso la sua pagina Twitter il comitato del Nobel ha fatto sapere che Xiaobo non sa d’essere stato premiato. Quando la notizia dell’assegnazione si è diffusa, una folla si è radunata davanti alla casa dove vive sua moglie. La polizia avrebbe impedito a Liu Xa di parlare con i giornalisti. La donna però è stata raggiunta telefonicamente dall’Agence France Press: «Sono felicissima, non so che dire - ha detto la donna - Voglio ringraziare tutti coloro che sostengono Liu Xiaobo». Nella telefonata la signora Liu ha raccontato che la polizia ha detto che intende accompagnarla nella provincia di Liaoning, dove il marito è in carcere, per dargli la notizia del premio.

In tutta Pechino gli operatori telefonici bloccano l’invio di sms che contengono le parole “Liu Xiaobo”. La diretta dell’annuncio del premio da parte della Bbc è stata interrotta per due volte. Scrivendo su Baidu, il più famoso motore di ricerca cinese, la chiave di ricerca “Liu Xiaobo”, “premio Nobel”, “8 ottobre 2010” compare il messaggio: «I risultati della ricerca potrebbero non essere conformi alla legge, al regolamento e alle politiche e non verranno visualizzati». Bloccato anche l’accesso al sito ufficiale del Nobel, niente Facebook e Twitter, niente video da Vimeo, Ustream e Youtube o siti da Google, niente notizie via Rss (Feedburner) e immagini da Flickr. E naturalmente, nessun accesso alla Wikipedia internazionale.

A Pechino una ventina di attivisti per i diritti umani che stavano festeggiando l’assegnazione del premio a Xiaobao sono stati arrestati. Uno di loro ha raccontato che al momento del fermo si trovava con gli altri in un ristorante vicino al parco Ditan quando una decina di veicoli con circa cinquanti agenti si sono avvicinati e «hanno chiesto di cooperare». Gli attivisti sarebbero poi stati portati in commissariato. Secondo quanto riferito dall’avvocato a tutela dei diritti umani, Teng Biao, gli arresti sono avvenuti dopo le cinque del pomeriggio, quando in Cina si è venuta a sapere la decisione di Oslo.

Tra le prime reazioni internazionali alla notizia c’è quella della Francia: il ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, ha chiesto l’immediata liberazione del dissidente. Anche Berlino si «augura» che Liu Xiaobo sia rimesso in libertà e possa ricevere il premio Nobel per la pace assegnato. L’Unione europea si felicita per l’assegnazione del Nobel, ma non chiede esplicitamente la sua liberazione. Per il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, il riconoscimento a Liu Xiaobo è un premio a quanti nel mondo «lottano per la libertà e i diritti della persona». Significativa anche la dichiarazione del Dalai Lama: «Premiare con il Nobel per la pace Liu Xiaobo è il riconoscimento della comunità internazionale all’innalzamento della voce tra il popolo cinese per premere la Cina attraverso riforme politiche, legali e costituzionali».


CHE COSA SONO I LAOGAI -
Laogai, parola che deriva da “LAODONG GAIZAO DUI”, significa “riforma attraverso il lavoro” e indica le diverse forme di lavoro forzato previste dal sistema giuridico cinese o, più in generale, i campi di lavoro voluti e creati da Mao Ze-Dong. La «riforma attraverso il lavoro» prevede il laojiao («rieducazione attraverso il lavoro») e il jiuye (letteralmente «personale addetto al lavoro forzato», in pratica una forma indiretta di reclusione). Il numero dei campi di lavoro è coperto dal segreto di Stato: a settembre 2006 erano 1045, nel 2008, secondo il Laogai Handbook, rapporto della Laogai Research Foundation, erano 1422. Il governo ha fatto sapere che c’è una proposta di legge per riformare il sistema dei campi di lavoro forzato. Secondo Amnesty International, però, la questione è nell’agenda legislativa da oltre due anni.
Il laojiao, un sistema di “detenzione amministrativa” per cui si può essere imprigionati dalla polizia senza nessuna sentenza fino a tre anni, è usato per le persecuzioni contro i dissidenti e contro i religiosi. È lo strumento principale con cui sono perseguitati i seguaci del Falun Gong, una pratica religiosa con elementi di confucianesimo, buddismo, taoismo ed esercizi fisici.
Il sistema dei jiuye riguarda invece lo svolgimento di un lavoro in carcere. Sebbene non implichi formalmente l’incarcerazione dell’individuo, che rimane libero e percepisce uno stipendio, la condizione del personale jiuye viene spesso descritta come “semi-carceraria”. I lavoratori possono vivere insieme alle loro famiglie all’interno o nei pressi del carcere e spesso sono ex-detenuti provenienti dal laogai. Un detto dice: «Laogai e laojiao hanno una fine; jiuye è per sempre».

Nei laogai i detenuti sono sottoposti a un vero e proprio lavaggio del cervello attraverso l’indottrinamento politico sulle verità infallibili del comunismo e l’autocritica. L’indottrinamento avviene con le sessioni di studio successive ad almeno 16 ore di lavori forzati. L’autocritica, invece, si svolge davanti ai sorveglianti e agli altri detenuti ed è finalizzata a riformare la personalità di chi si auto-accusa. Per prima cosa si devono elencare e analizzare le proprie colpe, poi ci si deve accusare pubblicamente di averle commesse, procedendo alla riforma della propria personalità, per diventare una “nuova persona socialista”. È necessario infine mostrare - con i fatti - la propria lealtà al Partito, spesso denunciando i propri amici e parenti, i quali a loro volta sono costretti ad accusare e condannare il detenuto.
Lu Decheng, uno dei tre giovani che lanciarono gusci d’uova pieni di vernice sul ritratto di Mao Zedong in Piazza Tian An Men il 23 maggio del 1989, rimasto in un laogai per nove anni, in un’intervista ad Asianews ha raccontato: «Ho passato nove anni in un laogai. Era in realtà una fabbrica che produceva autoveicoli. Eravamo costretti al lavoro forzato per 15-16 ore al giorno. Dopo il lavoro dovevamo seguire le “sessioni di studio”, di indottrinamento forzato, che dovevano trasformarci in persone fiduciose nel socialismo».
Uno degli scopi principali del laogai è fornire un’enorme forza lavoro a costo zero. Mentre all’inizio la produzione riguardava articoli e prodotti destinati al mercato interno, oggi nei laogai si producono giocattoli, scarpe, mobili, computer, componenti elettronici, autobus ecc. La produzione non si rivolge soltanto al solo mercato interno, in molti casi è destinata all’esportazione. Ogni laogai ha due nomi: uno come prigione, l’altro come impresa commerciale. Di solito sulla facciata dell’edificio appare il nome dell’impresa. Due recenti rapporti della Laogai Research Foundation confermano che almeno 415 laogai sono molto attivi nell’export.
L’orario di lavoro nei laogai, a seconda del tipo di attività praticata (industria, campi o miniere) arriva a 16 ore al giorno. Sicurezza ed igiene non esistono, i carcerati dormono per terra e hanno pochissimo cibo: chi lavora nei campi si ritiene fortunato perché può mangiare i serpenti, le rane o i chicchi di soia o di grano per sfamarsi. I pestaggi e le torture sono all’ordine del giorno. Frequenti le scariche elettriche e la sospensione per le braccia. Manfred Nowak, inviato delle Nazioni Unite che ispezionò nel dicembre 2005 alcune prigioni in Cina, ha denunciato il continuo abuso della tortura e chiesto al governo di Pechino di eliminare le esecuzioni capitali per crimini non violenti o per ragioni economiche. Nel suo rapporto del 10 marzo 2006 ha denunciato anche le confessioni estorte con la tortura. Le punizioni nei laogai includono pure l’isolamento forzato per numerosi giorni, quasi sempre senza cibo, in cellette di circa due-tre metri senza bagno. Per non diminuire la forza lavoro qualsiasi detenuto, anche se ha già scontato la sua pena, può essere trattenuto ai lavori forzati (senza diritto d’appello, né di udienza, né altro) qualora i funzionari lo giudichino “non completamente riabilitato”. Molti detenuti si suicidano.

PERSECUZIONE DEI CATTOLICI:
La persecuzione dei cattolici in Cina è inizia dal 1949. Nel 2008, durante le Olimpiadi, il governo ha messo agli arresti domiciliari vescovi e sacerdoti, altri erano stati costretti a “prendersi delle vacanze”, altri ancora avevano ricevuto l’ordine di non incontrarsi per motivi di sicurezza. Al villaggio olimpico, invece, era stata allestita una zona dedicata alla spiritualità con diverse sale di preghiera. Oggi i sacerdoti stranieri possono celebrare messa solo nelle ambasciate. All’ingresso poliziotti controllano i passaporti dei fedeli.

PENA DI MORTE:
La condanna a morte per fucilazione è spesso eseguita davanti a un pubblico appositamente convocato che comprende studenti universitari, scolaresche delle scuole medie e parenti dei condannati, cui spetta l’onere di pagare il costo delle pallottole usate contro i loro congiunti. Continua dai tempi di Mao Zedong l’uso di trasportare i condannati al luogo dell’esecuzione su autocarri scoperti. Tutti quelli che assistono devono meditare sulle conseguenze cui conduce trasgredire la legge. Nel Rapporto 2008 Amnesty International denuncia le migliaia di esecuzioni, l’aumento d’iniezioni letali per uccidere i prigionieri e facilitare l’espianto di organi freschi, nonché gli alti profitti derivanti dalla loro vendita. Il numero delle esecuzioni capitali è coperto dal segreto di Stato. In un’intervista all’Agenzia Reuters nel febbraio 2006 Liu Renwen, membro dell’Accademia cinese delle scienze sociali, ha detto che il numero delle uccisioni è tra 8.000 e 10.000. Nel 1989 i reati puniti con la pena di morte, previsti dal codice penale, erano venti, ora sono sessantotto. Tra questi: frode fiscale, contrabbando, traffico d’arte, violazione di quarantena se ammalati, reati per danni economici, appartenenza anche indiretta a “organizzazioni illegali” ecc.

TRAFFICO DEGLI ORGANI:
Se incutere paura al popolo è il primo scopo delle esecuzioni, il secondo è l’espianto di organi freschi a scopo di vendita, spesso senza il consenso delle vittime o dei parenti. Migliaia di fegati, reni e cornee cinesi sono immessi nel mercato internazionale del traffico di organi anche su internet. Secondo le organizzazioni umanitarie internazionali, il 95% viene dai corpi dei condannati a morte. Il governo cinese ha sempre negato queste accuse. Solo nel novembre del 2006 Huang Jefu, funzionario del ministero per la Salute, ha riconosciuto, durante una conferenza di chirurghi a Guangzhou, che «a parte un piccolo numero di vittime di incidenti di traffico, la gran parte di organi espiantati viene da prigionieri uccisi». Gli organi vengono espiantati subito dopo l’esecuzione e trasportati in apposite ambulanze. Oggi ci sono almeno 600 ospedali specializzati in questo traffico ed i relativi profitti sono altissimi: gli organi sono spesso venduti a decine di migliaia di dollari. Recentemente il governo ha approvato alcune leggi per regolarizzare il mercato degli organi umani. Secondo queste normative, la precedenza nella distribuzione degli organi andrebbe ai cittadini cinesi, i chirurghi cinesi non potrebbero viaggiare all’estero per effettuare espianti e, soprattutto, il consenso del prigioniero per la donazione dei propri organi dopo la morte dovrebbe essere obbligatorio.
Notizie tratte da: “Laogai Research Foundation U.S.A.”, organizzazione che si occupa della diffusione di notizie sui Laogai e sulle altre violazioni dei diritti umani in Cina.

INTERNET (fonte: GIAMPAOLO VISETTI, la Repubblica 24/3/2010).
Il governo Cinese è in grado di interrompere le comunicazioni telefoniche selettivamente, regione per regione, come avviene in Tibet, o nello Xinijang. Oscura i social network, come YouTube, Facebook, Twitter e le più diffuse piattaforme blog. Cancella parole e temi sensibili, tra cui le dichiarazioni d’amore, anche dagli sms degli adolescenti. Una lista nera di domini e indirizzi IP, il blocco di termini chiave negli URL e nelle pagine web di Ong e attivisti per i diritti umani, ha trasformato l’Internet nazionale nel più grande Intranet del mondo. Aggirare il Muro resta però semplice. Per accedere ai server bloccati basta utilizzare utilizzare proxi straniere, o ricorrere a una Rete privata virtuale. Già 400 mila cinesi, pagando tra i 25 e i 40 dollari all’anno, sfruttano i servizi commerciali "VPN", mentre copie pirata ed edizioni clandestine introducono nelle case ogni genere di film, videogiochi e pubblicazioni vietate. Anche le televisioni straniere, a partire da Cnn e Bbc, sono teoricamente riservate ai satelliti che coprono quartieri diplomatici e governativi, o le residenze dei nuovi milionari. Ogni chiosco di spiedini e ogni villaggio segue però misteriosamente i network internazionali e milioni di cinesi passano le notti davanti alla Premier League. La ragione è semplice: la nuova censura cinese, strumento della propaganda, non deve «vietare», ma «condannare», opponendo il nazionalismo dell’Oriente al neoimperialismo dell’Occidente. Il problema della fuga delle multinazionali straniere non c’è: sono 660 mila, aumentano ogni mese, nel 2009 gli investimenti esteri sono calati solo del 2,6%, minimo planetario. Prima di Google solo la Levi Strauss, dopo l’89, aveva lasciato la Cina per denunciare la censura.