FRANCO LA CECLA, la Repubblica 7/10/2010, 7 ottobre 2010
QUANDO SERVE LA PUBBLICITÀ PER SALVARE LA CULTURA - È
interessante che gli architetti intervengano sulla questione "sponsor" e monumenti storici delle città italiane. Significa che pensano di avere un ruolo, una missione di protezione della bellezza costruita delle nostre città. Sarebbe più interessante se si ponessero lo stesso problema quando intervengono con le loro architetture in un contesto urbano, visto che spesso questi interventi rispondono ad una estetica "glamour" che molto ha a che fare con una trasformazione in puro logo, firma, fashion del fare architettura. E Foster è uno delle prime archistar in questo. In merito, però, alla sua protesta occorre fare dei distinguo.
Gli sponsor sono una risorsa importante, indispensabile, per potere sostenere la permanenza dei beni storici monumentali e insieme ad essa il complesso culturale rappresentato da una città storica. Ci stiamo sottraendo lentamente ad una logica "assistenzialista" della manutenzione del patrimonio e questo è un bene. Pensare che le forze responsabili del futuro di una città siano solo quelle legate al dominio pubblico implica un errore di prospettiva che nel caso italiano ci fa pagare un fortissimo ritardo.
Quando lavoravo per "Barcelona Regional", l´organo inventato dal Comune di Barcellona per sostenere il rilancio della città, la parola d´ordine era "Consorcio". I consorzi tra Comune, Privati, Banche e Immobilari sono stati la molla che ha trasformato una città grigia e provinciale che usciva dal franchismo in una capitale europea capace di attirare ogni anno dai trenta a quaranta milioni di turisti. Operazioni come il restauro del "Casc Antiq", del centro storico malandatissimo sono state possibili solo con una concertazione pubblico-privato di vaste proporzioni. Da noi si sarebbe urlato allo scandalo, alla "cartolarizzazione" di beni pubblici, alla speculazione immobiliare. Lì invece si è fatto un calcolo ben preciso, quello di costituire soggetti misti che vedessero un affare nel rilancio della città. E si possono avere dubbi sulla direzione che poi Barcellona ha preso negli ultimi anni, ma il senso generale dell´operazione è quello di generare davvero un nuovo soggetto civile.
Ed è il senso che manca ancora in Italia. Gli sponsor vengono accettati come qualcosa di cui un po´ doversi vergognare, come una risorsa indispensabile in mancanza di meglio. Ma l´idea che i beni culturali siano solo un problema di conservazione e siano una faccenda in mano ai ministeri dei Beni culturali ne limita molto il significato. Il vero problema è che le amministrazioni e i ministeri hanno un compito di volano e di indirizzo a cui non devono venir meno, e devono essere i promotori dei "consorzi". Siamo ancora molto vittime di una concezione "veneziana" dei monumenti e dei beni culturali. La conservazione significa accettare il turismo come una piaga simile all´invasione dei barbari e Venezia testimonia un´idea di turismo come male minore. Invece il turismo può essere la chiave per un futuro produttivo e intelligente, basta solamente inventarsi un uso del patrimonio monumentale che sia secondo la concezione delle "industrie creative" di cui oggi si parla moltissimo nel Nord Europa.
Sappiamo bene che l´Europa ha una vocazione precipua nei confronti del resto del mondo, quella di offrire se stessa come enorme bacino culturale, come concentrazione di un patrimonio unico al mondo di spazi, tempi, costruito e convivere civile. Sono proprio le città storiche ad essere l´eccezione straordinaria dell´Europa e a poterla liberare dall´industria inquinante e da un terziario immobilista. Turismo, turismo culturale, musei, biblioteche, parchi, parchi archeologici, paesaggio sono beni da tutelare per una fruizione intelligente che capisca che c´è qualcosa da pagare se si vuole davvero che questo patrimonio sia disponibile alle generazioni future.
Gli sponsor devono avere a che fare con questa impresa, nel senso più radicale, sono agenti, al pari della mano pubblica, di un rilancio dell´industria culturale. Se si guarda al caso di Parigi si capisce come una città riesca a non snaturarsi pur offrendosi soprattutto come impresa culturale. Da noi invece c´è ancora un divario tra conservazione e industria culturale e questo consente uno scollamento tra iniziativa pubblica e privata che porta a sconcezze private e abbandono pubblico. In fin dei conti quello che ci vuole è un nuovo patto sociale, in cui entrano come soggetti tutti coloro a cui sta a cuore la sopravvivenza dei centri storici e dal valore aggiunto che essi rappresentano. A Barcellona erano e sono banche, imprese immobiliari, ma per esempio anche consorzi di immigrati, senza i quali i servizi al turismo nel centro storico sarebbero impensabili. E lo vediamo anche da noi, come la vita nei centri storici sia assicurata dagli empori e dagli esercizi dell´"arabo"e del "bangla" di turno. Ovviamente ci vuole un codice di intesa, le pubblicità offerte dagli sponsor devono avere un livello che sia consono all´impresa culturale di cui fanno parte.
I monumenti non possono essere solo "superfici" su cui attaccare manifesti, ma la sponsorizzazione può davvero entrare nel merito del valore dei monumenti, spiegarli, raccontarli al pubblico mentre sono in restauro. Insomma abbiamo bisogno di una concezione meno schizofrenica della società e meno spaventata del futuro.