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 2010  ottobre 14 Giovedì calendario

NOI, CACCIATORI DI MAFIOSI


Il poliziotto palermitano in jeans e scarpe da ginnastica non si atteggia a supersbirro televisivo. Scandisce la sua amarezza a testa bassa: "Non riusciamo ancora ad arrestare Matteo Messina Denaro, l’attuale capo di Cosa nostra, colui che dalla provincia di Trapani condiziona tutto e tutti". Inutile lanciare falsi proclami, impegnarsi in promesse a breve, spiega. "Vorremmo scovarlo, ma ci mancano i mezzi, i soldi, la presenza capillare sul territorio...". Non basta, teme, la squadra di investigatori creata ad hoc tra Palermo, Roma e Trapani. Non basta nemmeno che lui, e gli altri cacciatori di latitanti, facciano i salti mortali anticipando le spese per spostarsi dentro e fuori dall’isola. "La verità, e lo sa bene Messina Denaro, è che il suo strapotere lo rende invisibile, imbattibile senza uno straordinario impiego di risorse...".
Dopodiché scende il silenzio, sul divano dov’è seduto il poliziotto. E pensare che settembre è stato un mese incoraggiante, per la lotta alla mafia: in carcere, giorni fa, è finito il latitante pugliese Franco Li Bergolis, tra i 30 fuggitivi più pericolosi d’Italia. Stessa fine per Roberto Cima, legato alla cosca Piromalli di Gioia Tauro. Mentre la Dia, Direzione investigativa antimafia, ha sequestrato 1,5 miliardi di euro a Vito Nicastro, "il signore del vento": un realizzatore di parchi eolici che per gli inquirenti sarebbe legato proprio a Messina Denaro. "Vanno colpiti i capitali, i piccioli, l’unica passione dei mafiosi...", annuisce il poliziotto: "Ma gli ostacoli rimangono enormi, per chi indaga sul campo". E se lo dice lui, è il caso di credergli: perché non è un agente qualunque, quello che racconta a "L’espresso" la sua storia e i retroscena della guerra a Cosa nostra. Fa parte, invece, della celebre Catturandi di Palermo, oggi guidata da Gianfranco Minissale: il manipolo di agenti senza volti e nomi che ha ammanettato i più grandi nomi della mafia. Da Giovanni Brusca "u scannacristiani" (arrestato il 20 maggio 1996) a Bernardo Provenzano (11 aprile 2006), da Salvatore e Sandro Lo Piccolo (5 novembre 2007) a quel Domenico Raccuglia che ha sciolto nell’acido l’adolescente Giuseppe Di Matteo (15 novembre 2009). Fino a Gianni Nicchi, 28 anni, astro nascente della malavita arrestato il 5 dicembre scorso. "Successi che la gente ricorda per le foto sui giornali, quelle dove esultiamo con il mephisto in testa. Ma c’è molto altro che non si è visto e detto, della caccia ai latitanti. C’è la nostra rete organizzativa, fatta di volontà e sudore. Ci sono le nostre vite, in bilico tra l’ansia delle catture e i sacrifici familiari. C’è, soprattutto, un gruppo che ogni giorno combatte i suoi nemici peggiori: la stanchezza, il timore di commettere errori irreparabili, la consapevolezza della propria vulnerabilità".
Non ha usato giri di parole, il dirigente che nel 1994 ha proposto al nostro poliziotto di aggregarsi alla Catturandi: "Sei pronto a lavorare giorno e notte? A partire senza preavviso? A non svelare, per nessuna ragione al mondo, la tua missione? A rischiare la vita in nome della legalità?". E lui, che aveva 25 anni e un diploma in tasca, ha annuito: "Capivo che era il mio destino, ma non potevo immaginare cosa comportasse fino in fondo". Non pensava, ad esempio, che presto avrebbe trascorso "27 notti di fila su un Fiorino per sorvegliare movimenti sospetti". O che avrebbe assistito, nella campagna agrigentina, a una scena furibonda: "Un mio collega che, convinto di inseguire Provenzano, rincorre invece il latitante Benedetto Spera; e quando questi scivola nel fango, e il collega si accorge che non è lo Zu Binnu, lo rimolla nel pantano mandandolo a quel paese...".
Episodi incredibili, per chi non è del ramo, ma frequenti nel curriculum di investigatori che si fanno chiamare Pinta, Bracco, Panda, Lupo, Gimondi, Martello, T9, Cimice... "All’inizio eravamo una trentina e c’erano due donne", ricorda il poliziotto: "Oggi siamo circa 50, dei quali tre signore". Età media: quarant’anni. Tanti diplomati, alcuni laureati, qualcuno plurilaureato. Un plotone fantasma che tallona Cosa Nostra e ne stronca le latitanze. "È grazie alla Catturandi di Palermo", riconoscono al ministero dell’Interno, "se il governo Berlusconi vanta la cattura di 384 latitanti, dei quali 26 tra i 30 più pericolosi". E non sono figli del caso, simili risultati, "ma di un’organizzazione semplice e formidabile". Un primo settore, specifica il nostro agente, "cura gli accertamenti anagrafici dei latitanti, censendo poi i loro patrimoni: dai beni immobili alle classiche fuoriserie". Quindi si attiva un altro settore "per analizzare i tabulati telefonici". Finché partono le intercettazioni e le indagini che precedono la cattura: "Un appuntamento al quale partecipiamo tutti, ci mancherebbe altro...".
È in quest’ottovolante di attivismo e attese, speranze e delusioni, che si destreggiamo gli uomini della Catturandi. E non soltanto loro: "Fondamentale è il ruolo dello Sco, la Sezione criminalità organizzata, che studia e incastra le famiglie mafiose". Un altro centinaio di poliziotti che possono testimoniare cosa significhi infastidire Cosa nostra: "Di recente, ci siamo appostati nel quartiere palermitano Guadagna. Siamo entrati in una scuola abbandonata per spiare un paio di mafiosi, e quando siamo tornati all’auto c’era un mazzo di crisantemi sul cofano".
Il pericolo esiste, è continuo. Lo sanno tutti, gli agenti di Catturandi e Sco. Indicano la lapide all’ingresso della questura di Palermo, e recitano con emozione i nomi dei colleghi uccisi da Cosa nostra: da Giuseppe Montana a Antonino Cassarà, da Roberto Antiochia a Natale Mondo... Per non parlare di quant’è successo quest’estate, quando la stampa ha ipotizzato che la mafia spiasse agenti della Catturandi. "Insidie frequenti", confermano in questura. "Notti fa, alcuni di noi sono entrati in un magazzino per piazzare cimici. Doveva essere un’attività tranquilla, quasi di routine. Invece abbiamo sfiorato la sparatoria, perché il titolare dormiva su un soppalco di fronte a noi". Peggio ancora è andata, nella zona di Brancaccio, "al collega pestato a sangue mentre controllava un’auto parcheggiata". E avanti così, episodio dopo episodio, in una quotidianità che parte dalla "Beretta di un collega che cade mentre facciamo un’irruzione, e lascia partire un colpo che mi risparmia per miracolo", fino all’eccessiva mitizzazione della Catturandi, poco gradita dai vertici della polizia ("Più tranquilla rimane, la squadra, meglio è...") e dagli agenti stessi che ne fanno parte, per i quali "il clamore è da evitare quanto l’arroganza".
I protagonismi esasperati, ribadiscono alla Catturandi, "non devono invadere la decina di stanze che occupiamo in questura". Detto questo, per continuare a mantenere la serenità del gruppo, oltre alla dedizione totale che lo contraddistingue, "ci vuole un maggiore supporto della politica e delle istituzioni". Una questione, dicono gli agenti, che hanno sottoposto direttamente al ministro dell’Interno Roberto Maroni, quando il 20 novembre 2009 li ha incontrati a Palermo. "È stato disponibile", ricordano: "Era interessato alle indagini, si è fermato a chiacchierare con molti di noi. Ma quando abbiamo parlato delle nostre carenze, e degli eventuali rimedi, ha allargato le braccia: "Volete che vi dica la verità da uomo, o le menzogne da politico?"".
Il giorno dopo, i quotidiani hanno titolato: "Maroni alla Catturandi, più soldi per la caccia ai padrini e ai loro beni". Rinforzi che, a sentire gli agenti, non sono ancora arrivati, e comunque dovranno tamponare un disagio cronico: "Il nostro stipendio è 1.400 euro per un agente semplice, e 1.700 salendo di grado", dicono alla Catturandi. "Quanto agli straordinari, il tema è scomodo: "Certi mesi lavoriamo anche 80, 90 ore oltre l’attività ordinaria, e ce ne pagano massimo 40". Il che è grave in generale, ma lo diventa di più per una squadra d’eccellenza. Ciò premesso, Catturandi e Sco non s’indignano per questo. A farli imbestialire, piuttosto, sono i tagli alle indagini imposti dal governo: "Nel 2008 la questura di Palermo riceveva per le missioni 2 milioni 200 mila euro, girati nell’80 per cento dei casi alla squadra mobile (che include Catturandi e Sco, ndr.)", documenta Vittorio Costantini, segretario siciliano del Siulp (Sindacato italiano unitario lavoratori di polizia). "Nel 2009, invece, i 2 milioni sono scesi a 400 mila euro, e la squadra mobile ne ha stanziati per il primo trimestre 33 mila: una miseria, un controsenso che si sta ripetendo nel 2010".
Il risultato di questo progressivo impoverimento, spiega il nostro poliziotto, è una frustrazione diffusa. L’opposto dell’adrenalina che impregna i racconti di I.D.M., un membro della Catturandi che parla della sua esperienza con abbondanza di particolari: anche grotteschi, a volte. Come quando, durante un blitz, ha scavalcato il muro di un residence ed è precipitato "con la gamba in un bidone di calce fresca, restando bloccato". O quando, in perfetto stile B-movie, il latitante Domenico Raccuglia ha gettato dalla finestra un sacco pieno di armi, pizzini e 135 mila euro in contanti. "Per sdrammatizzare scherziamo su tutto", spiegano alla Catturandi. Anche perché a casa, con i parenti stretti, la situazione è grama: "Parecchi di noi sono divorziati, quelli che ancora resistono vanno spesso in crisi con le mogli, e i figli patiscono le continue assenze".
Non per niente, nella pausa pranzo del lunedì, qualche cacciatore di latitanti partecipa al gruppo Mater Ecclesiae, "dove incrociamo il Vangelo con le nostre esperienze". Gli stessi, nelle briciole di tempo, servono i pasti alla mensa Caritas: e lo fanno "per aiutare chi ha bisogno, certo, ma anche per rimuovere il chiodo fisso della caccia ai boss". Un pensiero che condiziona ogni giorno, ogni minuto della Catturandi. È sufficiente che il cellulare squilli, infatti, che arrivi da chissà dove una dritta, e il poliziotto sul divano torna ad essere il fantasma di sempre: "Devo andare", si alza. Ma prima, aggiunge, vuole rimarcare un concetto: "Sia chiaro che la mafia continua a comandare, in Sicilia", dice, "potente a Palermo, e strapotente in cittadine come Bagheria, Carini o Villabate...".
La guerra a Cosa Nostra, insomma, è ancora lunga e in salita. "E chi dice il contrario, chi nega le connivenze illustri, è un nostro nemico".