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 2010  ottobre 14 Giovedì calendario

GIU’ LE MANI DAGLI SGOMBRI


Relazioni turbolente agitano le acque dell’Atlantico nord-orientale abitate da quello sgombro oggetto della contesa fra Scozia e Islanda che ha portato a dissotterrare asce di guerra sepolte da trent’anni, mettendo in difficoltà il percorso di avvicinamento di Reykjavik all’Unione europea.
A scatenare la querelle è stata la decisione unilaterale dell’Islanda di aumentare la sua quota di pescato fino a 130 mila tonnellate, rispetto alle abituali 2 mila, seguita dalle isole Faroe che l’hanno triplicata arrivando a 85 mila tonnellate. Una mossa che ha suscitato le accese proteste dei pescatori scozzesi preoccupati - come i colleghi norvegesi e irlandesi - per l’impatto sugli stock di sgombro, finora gestiti fra i paesi dell’area con un sistema virtuoso di quote in un’ottica di sostenibilità delle riserve. "Abbiamo dato avvio a una serie di misure conservative per assicurare la salute dello stock e tutto questo duro lavoro potrebbe andare perso se un accordo non venisse trovato", si è lamentato Bertie Armstrong, direttore generale della Scottish Fishermen’s Federation (FSS).
La risposta del settore ittico - che l’anno scorso ha incassato 135 milioni di sterline dalla pesca dello sgombro - non si è fatta attendere: i pescatori di Peterhead hanno impedito allo Jupiter, un imbarcazione delle isole Faroe, di sbarcare a terra il pescato, un bottino da oltre 400 mila sterline. Il blocco è tuttora in vigore e si ventila la possibilità di un boicottaggio di tutte le navi e i prodotti ittici islandesi e faroesi: una manovra che metterebbe duramente alla prova le rispettive economie ma che non spaventa il parlamentare scozzese Struan Stevenson, fiero avversario dei "discendenti dei Vichinghi che saccheggiano gli stock". Il portabandiera della protesta presso l’Unione europea è convinto che "Islanda e Faroe hanno molto di più da perdere dal momento che le loro economie sono dipendenti dalla pesca". Parole bellicose, respinte con altrettanta determinazione dai diretti interessati che al contrario accusano i paesi europei e la Norvegia di averli tenuti fuori dai negoziati sulle quote di pescato, costringendoli a decisioni unilaterali. A favore di Reykjavik e Torshavn gioca l’aumento della temperatura dei mari che ultimamente spinge gli sgombri sempre più a nord, portandoli sulle loro coste all’interno delle acque territoriali. Il diritto alla pesca è stato ribadito anche dal ministro islandese Jon Bjarnason, che ha ricordato come "in base alle leggi internazionali, essendo un Paese costiero, possiamo pescare all’interno della nostra giurisdizione, perciò è ridicolo che l’Unione Europea o i suoi membri facciano certe minacce".
Per anni lo sgombro è rimasto praticamente sconosciuto ai consumatori così come agli addetti al settore islandesi, ma un recente calo delle aringhe ha spinto i pescatori a riposizionarsi sul mercato, gettandosi sullo sgombro. La querelle ricorda la "guerra del merluzzo" degli anni Settanta, quando i pescatori inglesi e islandesi si scontrarono duramente - con l’intervento anche di navi militari - per l’accesso ai ricchi banchi di pesce. In ballo stavolta c’è anche l’ingresso dell’Islanda nel consesso europeo, un iter funestato dalla crisi finanziaria con il fallimento della Banca Icesave e le conseguenti tensioni con Gran Bretagna e Olanda. Da Bruxelles, il commissario Maria Damanaki ha fatto sapere che la disputa "rischia di avere un impatto negativo sui successivi negoziati di adesione tra Ue e Islanda", aggiungendo che "non c’è giustificazione per gli accresciuti livelli di pesca da parte degli islandesi".
Gli incontri indetti finora per trovare un compromesso non hanno portato i risultati sperati, come ha dimostrato il summit sullo sgombro che si è tenuto a Torshavn al quale è stata invitata anche la Ue, insieme a esperti e addetti del settore. Un nuovo appuntamento per tutti i protagonisti della vicenda è stato fissato per la metà di ottobre a Londra.