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 2010  ottobre 08 Venerdì calendario

VUOI RISPARMIARE SULLE TASSE? DIVORZIA - È

nota la situazione di quelle vedove che, per mante­nere il diritto alla pensione di reversibilità legata al marito defunto, decidono di sposar­si soltanto in chiesa: unendo­si in matrimonio davanti a Dio, ma continuando una vi­ta da single di fronte allo Sta­to, al fine di non perdere il vi­talizio. Ora però ci si trova a fare i conti con un caso nuo­vo, dato che - come spiegava ieri «Il Sole 24 Ore» - a una cop­pia è stato consigliato di di­vorziare per migliorare il pro­prio bilancio.
La vicenda è la seguente. Una signora milanese di 64 anni che ha lavorato soltanto 15 anni e quindi ha diritto a una pensione minima, in real­tà non riceve i 500 euro che le spetterebbe, ma solo 192 eu­ro, dato che il marito ha un reddito superiore ai 17 mila euro annui. Per giunta, non è neppure considerata intera­mente a carico del coniuge dato che supera di un centina­io di euro la soglia minima dei 2.840 euro annui. Per tale ragione la coppia subisce uno svantaggio all’incirca di 800 euro in più di imposta, senza poter beneficiare della gratuità dei farmaci e neppu­re dell’opportunità di detrar­re tali costi dalla dichiarazio­ne.
Il quadro generale ha tutti gli elementi di una trappola, poiché abbiamo persone che stanno peggio di quanto sa­r­ebbero state se avessero avu­to entrate inferiori. Se i coniu­gi avessero guadagnato un po’ meno, avrebbe ottenuto una serie di vantaggi che, a conti fatti, ne avrebbero mi­gliorato la situazione. Sem­bra un’assurdità, eppure è l’esito prevedibile di quel pro­cesso di sovraproduzione le­gislativa destinato per sua na­tura a causare, presto o tardi, conseguenze non volute: e quasi sempre si tratta di con­seguenze spiacevoli.
Stando alle cronache, la donna non lascerà il marito, anche se le costerà caro. Ma certo la vicenda deve aprire gli occhi su come la produzio­ne continua di leggi finisca per avvitarsi su di sé.
Si pensi alla condizione di chi ottiene un minimo au­mento di reddito che lo por­ta, però, a perdere il benefi­cio di taluni servizi sanitari gratuiti, a pagare una retta più alta per l’asilo del figlio, e via dicendo. Chi ha predispo­sto le singol­e regole ha opera­to con la convinzione di aiuta­re i più deboli, introducendo tariffe differenziate, ma non si è reso conto come tutto que­sto inneschi meccanismi per­versi.
In questo welfare caotico che mescola norme di diver­sissima provenienza può ac­cadere - come nel caso ricor­dato - che sia conveniente guadagnare meno. E lo san­no assai bene quegli artigiani che quando tracciano a ini­zio dicembre un bilancio di massima della loro attività si rendono conto come sia op­portuno smettere di produr­re: proprio per evitare pena­lizzazioni.
Dinanzi a ciò è giusto indi­gnarsi, ma non ci può stupi­re, dato che il legislatore è un «pianificatore» determinato a organizzare la società se­condo un proprio disegno, ma che dispone di una limita­­ta conoscenza della realtà: né potrebbe essere diversamen­te. Per giunta ogni norma vie­ne ad aggiungersi a un siste­ma normativo già esistente e di grande complessità, così che è difficile per chi lavora in Parlamento avere sotto con­trollo tutte le implicazioni delle scelte che vengono as­sunte. Alla fine ogni norma nuova interviene in un qua­dro farraginoso ed è approva­ta da soggetti inconsapevoli di come essa s’innesterà sull’ ordine giuridico complessi­vo.
C’è solo una via di uscita: chiedere al Parlamento e ai mille altri attori della ragnate­la di norme in cui viviamo di limitarsi. Se le catene del no­stro tempo sono costruite con la carta di burocrati e legi­­slatori, è bene chiedere loro di astenersi quanto più sia possibile.
Per giunta è opportuno che il sistema di welfare si sempli­fichi. Se proprio si vuole tene­re in vita un sistema redistri­butivo, si usi una leva e solo quella. Si dia più soldi a chi non ha, ma poi non si introdu­cano altri vantaggi quando si deve fare un abbonamento al tram, acquistare un farmaco e via dicendo.
Se non si farà così, ci si tro­verà di continuo a sorpren­dersi di fronte a coppie spinte a separarsi non perché sia fi­nito un amore, ma perché l’ordine giuridico è impazzi­to. E ci fa impazzire sempre di più.