Matteo Persivale, Corriere della Sera 07/10/2010, 7 ottobre 2010
«NEW YORK E’ FINITA, IO SCELGO L.A.»
Evocare i fantasmi del passato a volte serve per scrivere un libro — nel caso di Bret Easton Ellis, Lunar Park, uscito nel 2005, in cui riporta in vita suo padre e sbircia tra i personaggi del suo primo libro, Meno di Zero del 1985. Ma quei fantasmi, una volta evocati, sono difficili da rimandare indietro, e continuano a infestare lo studio degli scrittori. Se Lunar Park ha fatto — e messo in regola — i conti con papà Ellis, che finalmente riposa in pace nella memoria di Bret, però ha anche riportato in vita Clay, il protagonista di Meno di zero. Il pensiero ricorrente di quel che poteva essere successo, venticinque anni dopo, a quella matricola universitaria che nel libro tornava a Los Angeles per le vacanze di Natale, non ha più abbandonato Ellis. Che, dopo aver terminato il lavoro su Lunar Park, ha traslocato da New York a Los Angeles. E ha deciso che il suo alter ego di tanto tempo fa doveva aver fatto lo stesso percorso: Los Angeles, New York, e ancora la California ( Non puoi tornare a casa è il titolo del romanzo più spietato di Thomas Wolfe, e Ellis sembra intenzionato a sperimentare la cosa su di sé).
Così ha scritto Imperial Bedrooms, uscito a giugno negli Usa da Knopf e adesso in Italia da Einaudi, (Supercoralli, traduzione di Giuseppe Culicchia, pp. 148, 18) e che ci presenta Clay
e arrivato a una poco tranquilla mezza età, alle prese con gli amici di sempre, quelli di Meno di zero, dimostrando — come ha scritto Donna Tartt, amica e ex compagna di scuola di Ellis — che il tempo è circolare, «come l’inferno di Dante».
Ma la co-protagonista di Imperial Bedrooms (citazione d’una canzone di Elvis Costello, come del resto Less Than Zero, Meno di zero) è Los Angeles. Una Los Angeles che non c’entra con le piscine di Meno di zero che parevano uscite da un quadro di Hockney. Una Los Angeles notturna, illuminata dai fari delle Bmw e dalla luce azzurrina degli iPhone — una città di pedinamenti nel traffico e paranoia che sarebbe piaciuta a Raymond Chandler, santo letterario protettore del romanzo di Ellis che rappresenta una forma atipica ma inequivocabile di «LA noir», noir di Los Angeles.
New York, ha detto Ellis alla rivista Interview, «is over», è finita. Ma la nozione comune — New York giungla d’asfalto che schiaccia e Los Angeles città del cinema dove tutto è di celluloide — secondo Ellis è da rovesciare. La verità — la realtà — èa ovest, nella giungla di celluloide. «Los Angeles non ci permette di reinventare noi stessi: a causa della geografia, degli spazi, dell’isolamento, ci costringe a diventare le persone che siamo veramente. Per questo si incontrano tante persone assolutamente pessime, quaggiù. Ma sono davvero così. Magari a New York, Parigi, Londra, puoi reinventarti. Qui non è possibile». Il periodo di New York «è stato bello» ma adesso «è finita la festa», sostiene lo scrittore, che in questi mesi sta lavorando non a un romanzo ma a una sceneggiatura: la storia di Jeremy Blake e Theresa Duncan, coppia di artisti belli e dannati, suicidi proprio dopo un letale soggiorno a Los Angeles che pare uscito da un libro di Ellis.
E per uno scrittore nato a Los Angeles (il 7 marzo 1964), la fase newyorchese è stata davvero lunga. A est ha studiato: a Bennington, Vermont, con Donna Tartt e Jonathan Lethem (che sta per traslocare nei dintorni di Los Angeles dove prenderà la cattedra di scrittura creativa all’università di Pomona lasciata vuota dopo la morte di David Foster Wallace). A est ha vissuto (a New York), a est ha stretto le amicizie letterarie (Jay McInerney da Ellis immortalato in Lunar Park con bonus di soprannome affettuoso ma non troppo, «The Jayster», Donna Tartt così diversa da lui ma alla quale lo lega una stima inossidabile, Tama Janowitz poi praticamente sparita). A est ha conosciuto l’uomo più importante della sua vita, l’artista Michael Wade Kaplan morto improvvisamente per una crisi cardiaca, a soli trent’anni, nel 2004. A parte Meno di zero scritto a Los Angeles nella sua cameretta e poi profondamente revisionato a Bennington prima dell’uscita nel 1985 (edito in Italia da Pironti, poi da Einaudi), a est Ellis ha scritto Le regole dell’attrazione uscito nel 1987 (Pironti, poi Einaudi), la sua lettera d’amore avvelenata alla New York degli yuppies, American Psycho (1991, uscito in Italia prima da Bompiani nella traduzione-cult di Pier Francesco Paolini e poi da Einaudi, ritradotto da Giuseppe Culicchia), Glamorama (Einaudi) che nel 1999 diceva già tutto sull’ossessione per le celebrities braccate dai paparazzi e nel quale i modelli e le modelle erano in realtà terroristi sanguinari pre-Al Qaeda. E poi l’atto finale del periodo newyorchese di New York: Lunar Park (2005, Einaudi) dedicato a Kaplan, molto amato da molti «ellisiani» (per McInerney è il suo romanzo più commovente), che archivia il fantasma del padre — nei libri di Ellis i genitori sono inutili, quando ci sono, come gli invisibili adulti dei Peanuts di Charles Schulz.
Dopo Lunar Park, con quel finale in cui Ellis mette da parte l’ironia generazionale e l’occhio freddamente clinico (eredità di Joan Didion, da lui molto amata) di tutta la sua opera, Ellis fa le valigie e torna a casa. Un soggiorno provvisorio che diventa definitivo, un appartamento lussuoso e freddo come quello che Ellis regalerà a Clay, il suo protagonista, in Imperial Bedrooms, dove sono stregati anche gli ascensori. Sul pronti-via Ellis ricatta i suoi coetanei con i Duran Duran uditi in lontananza già nelle prime pagine, annuncia la morte di Julian, tormentato co-protagonista di Meno di zero che sarà al centro della vicenda noir di Imperial Bedrooms.
Come succede con Chandler — e, volendo, anche con Dickens — il colpevole non conta, il noir non è un whodunit che insegue chi è stato ma un pretesto per raccontare la storia di un ex giovane uomo — ora di mezza età — che non può tornare a casa, né andarsene, perché la sua casa è un inferno circolare.
Matteo Persivale