Marinella Correggia, il manifesto 5/10/2010, 5 ottobre 2010
AUTOSTRADA PER L’INFERNO
La statunitense Highway 12, ben 2.500 miglia che vanno dallo stato di Washington fino a Detroit, è diventata una linea di approvvigionamento essenziale per l’industria energetica. Con velocità sconcertante imprese petrolifere yankee, costruttori canadesi di oleodotti e investitori di tutto il mondo uniti stanno spendendo grandi somme in questa corsa alla prossima era dello sviluppo degli idrocarburi intrappolati nelle sabbie e scisti bituminosi del Canada, delle Grandi Pianure e della Rocky Mountain West. Una corsa tacitamente approvata dall’amministrazione, là a Washington. Una corsa in cui si spendono 100 miliardi di dollari all’anno negli usa per perpetuare l’era fossile.
Il piatto è ricco. Secondo lo Us Departement of Energy, le riserve stimate di sabbie e scisti bituminosi in Colorado, Utah e Wyoming contengono da 1,2 a 1,8 trilioni di barili di petrolio, la metà dei quali è recuperabile. Lo Utah orientale ha riserve di petrolio da sabbie bituminose stimate fra i 12 e i 19 miliardi di barili. La regione del Nord Alberta in Canada contiene riserve petrolifere recuperabili stimate in 175 miliardi di barili, che potrebbero salire a 400 miliardi di barili con il ricorso a nuove tecnologie. Gli scisti nelle Grandi Pianure, nella Rocky Mountain West, Grandi Laghi, Nordest e Gulf Coast contengono riserve di gas naturale incommensurabili. Se le proiezioni attuali sono accurate, ci sarebbe petrolio e gas di che abbeverare per un altro secolo gli Usa, finora abituati a prelievi manu militari del petrolio altrui.
È un patto con il diavolo. Un patto che ha bisogno di (costruire e transitare su) autostrade e altre grosse opere, come spiega un articolo del sito progressista Common Dreams. Nastroni di asfalto che incrociano giganteschi oleodotti. Migliaia di tir vanno avanti e indietro trasportando le enormi quantità di acqua necessaria. Nella regione settentrionale dell’Idaho e nella regione orientale del Montana, le compagnie petrolifere vogliono utilizzare la Highway 12 per i convogli di tir lunghi come campi da football e così larghi da prendere due corsie, perché contengono macchinari per la raffinazione e la lavorazione e pesano centinaia di tonnellate. Di recente ConocoPhilips aveva ottenuto un permesso di transito nell’Idaho per trasportare quattro grandi unità di trasformazione made in Corea, da Lewiston alla raffineria in via di espansione che la compagnia possiede a Bilings, Montana. Poco dopo un giudice ha revocato il permesso sulla base dei rischi eccessivi di incidenti che esso comportava.
In effetti contro questo arco nero che si sta disegnando nell’America del Nord si stanno mobilitando proteste popolari, battaglie nei tribunali, opposizioni politiche nelle capitali degli stati coinvolti. Infatti il boom squarcia le terre e minaccia le riserve idriche; occorrono da 4 a 6 galloni di acqua per produrre un barile di petrolio da sabbie bituminose, 5 volte di più di quanta acqua occorra per le estrazioni petrolifere convenzionali. Per separare il petrolio e il gas naturale dalle sabbie e scisti occorre letteralmente «spremerli» dai minerali e lo si fa sparando fluidi ad altissima pressione, con elevati rischi di disastri ambientali. Il processo di estrazione è fatto per terrorizzare il clima: studi ufficiali mostrano come lo sfruttamento delle riserve non convenzionali di combustibili fossili provoca da 3 a 5 volte le emissioni relative all’estrazione di petrolio e gas convenzionali. Insomma un patto con il diavolo.