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 2010  ottobre 07 Giovedì calendario

LA DOPPIA OCCUPAZIONE AFGHANA

Un’altra elezione con brogli; una crisi bancaria che coinvolge la famiglia del presidente; una corruzione dilagante; una guerra problematica; disordini e difficoltà dell’Occidente in quella guerra. Tranne un cieco, chiunque è in grado di vedere che le cose per gli Usa e la Nato non si mettono bene in Afghanistan.

Il summit della Nato a novembre e l’analisi della politica dell’amministrazione Obama prevista a dicembre dovranno prendere atto della realtà. Grazie al libro di Bob Woodward Obama’s Wars sappiamo che il presidente americano non aveva intenzione di procedere a un invio di rinforzi a dicembre. Barack Obama voleva solo andarsene dall’Afghanistan quanto prima, ma l’esercito degli Usa ha prevalso.

Ciò potrebbe ripetersi mentre i generali americani stanno prospettando con due mesi d’anticipo rispetto all’analisi politica nuovi punti fermi e chiedono un prolungamento di altri 12-18 mesi. Ciò potrebbe rivelarsi insostenibile per il Congresso e per molti dei 47 paesi presenti in Afghanistan. L’anno scorso gli incidenti sono aumentati del 50% e i taliban hanno occupato il nord e l’ovest del paese. Gli scontri per assumere il controllo del territorio pashtun, dominato dai taliban, a sud e a est sono sempre più sanguinari.

La formula della strategia anti-insurrezione del generale David Petraeus prevedeva di «fare piazza pulita, resistere, costruire e trasferire». L’ultima fase è quella più importante: prevede che poco alla volta i soldati statunitensi passino territorio, responsabilità e governance agli afghani. Questo trasferimento sarà mai attuabile nella cintura del Pashtun, da dove proviene l’80% dei taliban?

La crisi per l’Occidente è data dal fatto che l’esercito afghano è impreparato ad assumere il controllo l’anno prossimo, quando gli occidentali inizieranno a ritirarsi. La Nato aumenterà il numero dei soldati afghani: entro la fine di quest’anno ci saranno 150mila soldati e 100mila poliziotti.

Sebbene l’80% delle unità dell’esercito afghano siano affiancate ad altrettante unità di soldati Nato, nessuno potrebbe affermare che una sola di esse saprebbe assumersi il controllo sul terreno. Le forze afghane hanno in pugno la situazione a Kabul, ma ciò dipende dalla presenza di una considerevole forza occidentale in loco. Se la governance afghana è così carente, che cosa possono ottenere le forze afghane? Se poi pensiamo ai civili, la loro formazione è ancora più indietro, e tra dipendenti e funzionari pubblici vi è corruzione endemica.

La più grave lacuna dell’esercito afghano è la mancanza di un corpo centrale e di alto livello di ufficiali e soldati pashtun reclutati dalle province meridionali. Qui, la storia ha il suo peso. Ne sono stato testimone oculare negli anni Ottanta, quando l’esercito afghano di 100mila uomini si sciolse per due volte e fu ricostituito tre. La prima volta che si sciolse accadde dopo l’invasione sovietica del 1979-’80, quando i soldati disertarono o si unirono ai mujaheddin. La seconda nel 1992, quando il regime comunista afghano si disintegrò e l’esercito si sciolse.

L’esercito afghano basato sull’arruolamento obbligatorio e la precettazione è stato ricostituito tre volte: la prima dai sovietici nel 1981-’82 con uno sforzo di capitali, attrezzature e addestramento; una seconda volta, ma parzialmente, nel 1987-’89 quando l’esercito subì gravi perdite; la terza volta con la magistrale ristrutturazione del presidente Mohammed Najibullah, dopo la partenza dei sovietici nel 1989, quando furono inseriti nell’esercito i signori della guerra e le milizie tribali, che gli permisero di restare aggrappato.

In ogni ricostituzione, è rimasta immutata la presenza di un nucleo centrale di ufficiali pashtun provenienti dalle tribù di Ghilai Pashtun nell’Afghanistan orientale, in particolare dalla regione della Grande Paktia.

Spesso questo nucleo di pashtun era stato addestrato dai sovietici, anche se si trattava di combattenti devoti, afghani convinti, pashtun nazionalisti che avevano servito i re afgani sin dal XIX secolo. Furono loro a salvare il fragile regime comunista afgano, esortando i soldati a combattere contro «l’invasione appoggiata dagli stranieri», i mujaheddin residenti in Pakistan.

Oggi una simile classe di ufficiali pashtun non è più nei ranghi dell’esercito afghano; nella stragrande maggioranza tra gli ufficiali di grado più elevato compaiono solo individui non-pashtun che combatterono i taliban negli anni Novanta. Per molti pashtun, l’invio nelle aree pashtun di truppe dell’esercito afghano nelle cui fila militano hazara e tagichi, fianco a fianco con gli americani, significa prendere atto di una duplice occupazione: quella degli stranieri e quella dei loro rivali etnici di sempre.

La Grande Paktia è controllata da Jalaluddin Haqqani, un taliban alleato di al-Qaeda la cui rete terrorizza i pashtun dell’Afghanistan orientale. Finché Haqqani non avrà alcun problema, nessun corpo di ufficiali potrà essere creato nella Grande Paktia.

Gli Stati Uniti e la Nato hanno fatto fiasco nel reclutare soldati delle tribù Durrani Pashtun, che dominano le zone taliban del sud, nelle province di Helmand, Kandahar, Uruzgan e Zabul. Ciò non deve sorprendere, specialmente se si tiene conto che dal 2001 al 2005 gli Usa hanno trascurato l’Afghanistan meridionale, e consentito ai taliban di riprendere il controllo della regione.

Oggi la Nato è intenzionata a cercare un equilibrio migliore, in termini etnici e geografici, nelle modalità di reclutamento dei soldati dell’esercito afghano. Si arruolano pashtun, provenienti da province marginali, da tribù sbagliate, da posti errati.

Queste di per sé sono ottime ragioni perché l’Occidente - a meno di non essere pronto a restare altri cinque o dieci anni in Afghanistan - si decida ad avviare negoziati con i taliban. La prima cosa che Obama dovrà fare è mettere da parte i grandi sapientoni dell’esercito e prendere le proprie decisioni in base alla realtà oggettiva, piuttosto che alle speranze e agli obiettivi gonfiati.

(Traduzione di Anna Bissanti)