Stefano Carrer, Il Sole 24 Ore 7/10/2010, 7 ottobre 2010
A TOKYO L’ODIO CORRE SU YOUTUBE
L’aquila imperiale romana svetta in cima a una colonna di Pompei sulla collina di Iimori - sacra al nazionalismo estremista giapponese - che domina la cittadina di Aizu-Wakamatsu, 250 chilometri a nord di Tokyo. Alla base, un’iscrizione nel granito, sotto l’SPQR, «nel segno del littorio» tributa «onore imperituro» ai guerrieri del Byakkotai, il corpo delle Tigri bianche che invece di arrendersi commisero un suicidio di massa al tempo della Restaurazione Meiji. Dono dell’Italia fascista nel 1928, la colonna è oggi guardata con stupore dai turisti, che non riescono a capire cosa c’entri l’Italia con la guerra civile del 1869. Un cartello, politicamente corretto, finge di spiegare che si tratta di un omaggio della città di Roma all’amicizia tra i popoli. Lì vicino, un piccolo memoriale donato dalla Germania nazista si associa alla celebrazione di un suicidio per fedeltà ai valori guerrieri, del tipo di quelli esaltati da Yukio Mishima, prima di fare egli stesso seppuku nel 1970 a perenne monito contro un Giappone sempre più sganciato dalle sue ataviche tradizioni.
Issuikai, il movimento largamente ispirato alle idee del più famoso scrittore giapponese - fondato dopo la sua morte in contrapposizione all’ala filoamericana di certa destra tradizionale - ha assunto recente notorietà per aver organizzato, il 15 agosto, una riunione al controverso tempio Yasukuni di Tokyo, dove sono deificate le anime dei milioni di caduti nelle guerre imperialiste. Se n’è parlato come il vertice di una «internazionale nazionalista», che ha richiamato rappresentanti di 8 partiti dell’estrema destra europea, tra cui il francese Jean-Marie Le Pen, prodigo di sorrisi nell’onorare chi è morto in difesa della patria. L’inedito evento ha rilanciato l’attenzione internazionale per gli uyoku giapponesi, che da sempre fanno parte del panorama urbano di Tokyo. Con i loro camioncini sormontati da altoparlanti che urlano slogan a volume terrificante, girano per la città prendendo di mira, in particolare, alcune ambasciate straniere: quella russa (specie il 7 febbraio, giorno della rivendicazione delle Kurili meridionali), quella cinese e quella sudcoreana. Sono gli eredi dei fanatici che fecero dell’assassinio politico strumento dell’ascesa del militarismo negli anni 30.
Nel dopoguerra sono stati rilevanti nell’intimidazione non solo delle sinistre, ma di chiunque toccasse temi tabù (come ogni minima messa in discussione dell’imperatore). Notorio il loro finanziamento da parte di settori contigui ai liberaldemocratici; nel tempo hanno accentuato il carattere anti-americano, rivendicando una revisione della costituzione pacifista. Lo scorso weekend hanno invaso il centro di Tokyo e di altre città per protestare contro l’arrendevolezza del governo alle pressioni di Pechino per il rilascio del capitano del peschereccio cinese sequestrato nelle acque delle contestate isole Senkaku.
La vera novità degli ultimi anni, però, sta nell’ascesa di nuove formazioni agevolate dal ruolo di aggregatore socio-culturale di internet: i giornali giapponesi le hanno chiamate «estrema destra Net», in quanto si organizzano attraverso il tam-tam dei social network e si materializzano per manifestazioni che poi documentano sui loro siti web. Mentre i gruppi tradizionali appaiono in declino (sarebbero scesi intorno a 12mila membri contro i 120mila degli anni 60), nuovi gruppi crescono in fretta. Il maggiore è nato meno di 4 anni fa e oggi conterebbe circa 10mila membri. Il suo nome, abbreviato in Zaitokukai, è tutto un programma: «Cittadini che non perdonano i privilegi speciali ai coreani in Giappone». «È il più pericoloso degli hate group di oggi in Giappone», afferma l’esperta americana Alexis Dudden. «Come evidenziano i loro video su YouTube, non esitano a minacciare coloro che ritengono un impedimento alla loro visione del Giappone».
Il suo fondatore e capo ha 38 anni e si fa chiamare Makoto Sakurai. Appare come un normale impiegato sovrappeso, non certo un samurai moderno o una testa rasata. Ha rifiutato l’etichetta di neonazista e ha dichiarato di ispirarsi piuttosto ai Tea Party, movimento di cui condivide le idiosincrasie (ad eccezione del tema delle tasse, non rilevante): il Giappone dovrebbe cambiare rotta liberandosi dalle scorie dei giornali liberal e dei politici di sinistra, e rinunciare ai complessi che lo rendono rinunciatario in politica estera. L’obiettivo è un paese più aggressivo all’estero nel difendere i suoi presunti diritti contro Cina e Corea e più autonomo dagli Usa, mentre il nemico interno è l’immigrazione asiatica.
Tra i picchettaggi intimidatori, spiccano quelli (nel 2009) davanti a una scuola elementare per coreani di Kyoto (accusata di essere un «allevamento di spie per Pyongyang) e davanti alla casa di una 14enne filippina i cui genitori erano stati espulsi per visto scaduto (chiedevano a gran voce la deportazione immediata anche della minorenne). In precedenza, il gruppo aveva preso di mira il quotidiano Mainichi, accusato di sinistrismo e anti-patriottismo per via di una decennale rubrica in inglese (soppressa), che riprendeva articoli della più becera stampa popolare finendo per divulgare all’estero un’immagine perversa del Giappone. Le iniziative che hanno avuto più risonanza all’estero sono state quelle recenti di boicottaggio del film americano "The Cove", sulla mattanza annuale di migliaia di delfini nel villaggio di Taiji: la caccia a delfini e balene sarebbe un affare nazionale. Su cui gli stranieri non devono osare intromettersi.