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 2010  ottobre 07 Giovedì calendario

ROBERT REDFORD «QUEL PRIMO AMORE A CANNES»

Bello Robert Redford lo è oggi, forse in modo più consapevole di ieri. Quel filo di pancetta, il passo che sembra incerto a tratti, il volto naturalmente rugoso. Ma gli occhi sono sempre fantastici, il sorriso aperto, impareggiabile. Traspare l’uomo che è, intelligente, sensibile.
Redford, felice di essere qui al Mipcom di Cannes?
«Posso parlare del jet lag prima? Stanchezza a parte, sono molto emozionato per una serie di motivi, di lavoro e personali. Sono orgoglioso di presentare proprio qui Mad Men e nello stesso tempo di celebrare in Francia il primo compleanno del mio Sundance Channel Europe, che ha acquisito i diritti dell’acclamata serie vincitrice di premi. (Non è escluso che presto il canale arrivi sul satellite anche in Italia, ndr). Quanto al fatto personale, risale agli Anni Sessanta».
Una grande storia d’amore a Cannes?
«Una grande storia d’amore diversa da come si può immaginare. Avevo 18 anni ero senza un soldo alla ricerca di fortuna. Avevo studiato a Parigi, ero stato a Firenze. Quando arrivai a Cannes era notte fonda e faceva un freddo terribile. Aprii la mia sacca e tirai fuori tutto quello che di più caldo avevo, pronto a dormire qualche ora in spiaggia. Mi misi lì steso e alzai gli occhi. Alle mie spalle c’era questo magnifico albergo, il Carlton. Allora pensai, “chissà che gente ricca viene qui, quanti soldi hanno, sicuramente berranno champagne e staranno caldi”. Sei anni dopo ero proprio in questo albergo per presentare un film. Mangiavo caviale e bevevo champagne oltre a dormire al caldo. Mi affacciai dal terrazzino e guardai sotto. Vidi me, in spiaggia, diciottenne e senza una lira. Sorrisi a quel ragazzo e gli dissi “ti è andata proprio bene”».
Poi è tornato ancora, sempre da ricco.
«Varie volte, lo considero il miglior festival e io me ne intendo».
E il Sundance Festival?
«Partiamo dal mio successo. Erano gli Anni Ottanta, c’erano soldi e io lavoravo moltissimo nel mercato indipendente che tirava niente male. A un certo punto mi sono fermato, giusto quando cominciavo con il mio primo film da regista e mi sono detto “perché non provo a dare agli altri quello che ho ricevuto io?” È stato lì che ho pensato a creare un festival con le persone a me più care. Ritengo sia fantastico lavorare con un gruppo che ti piace, con il quale hai feeling e che ti corrisponde in tutto. Alla televisione via cavo abbiamo pensato quando abbiamo ragionato su Hollywood e su come certe cose non te le possa garantire, invece un tuo canale che si occupi anche della distribuzione fa la differenza».
Ma adesso siete più che una televisione tra amici.
«Certo, siamo cresciuti, piano piano da che eravamo “poca gente e pochi soldi”. Volevamo anche concentrarci sui documentari per i quali ci sono sempre risorse risicatissime e volevamo trovare per questi prodotti un pubblico più ampio».
Ora non siete più soli.
«Crescendo capisci che hai bisogno di unirti ad altri per non soccombere. Il partner è indispensabile e te lo devi trovare quando ancora lo puoi scegliere. Rainbow garantisce la nostra indipendenza, senza spingerci ad ingrandirci. Siamo in Asia, Canada, Europa, festeggiamo il felice ingresso francese, in Belgio ci siamo dall’anno scorso. Ma questo non ci deve far pensare che oramai sia tutto tranquillo. Essere autonomi è molto difficile, richiede intelligenza e diplomazia. Così noi ci siamo riservati il meglio, la parte creativa senza dover pensare ai soldi. Mai visto niente di più perfetto. Perché bisogna essere chiari: più grande non è meglio e il mio paese lo sta dimostrando. Da fondatore, la mia visione del Sundance Channel è guidata dal desiderio che continui a intrattenere, che continui a provocare attraverso la natura e la libera espressione artistica. È estremamente gratificante vedere che tale visione sia condivisa e si allarghi sempre più e diventi un concetto perfettamente esportabile nel mondo».
Nuove tecnologie e nuove piattaforme: lei che le sta esplorando, pensa che dal web possano nascere delle star?
«Non sono un fissato di internet e vedo poco YouTube. Ovvio che possano nascere star del web, ma sono destinate a rimanere in quel circuito. Molti mi domandano del 3D: io lo ritengo in espansione nel cinema mentre non lo vedo bene per il prodotto televisivo».
Ma lei ora si sente un uomo di business, un regista o in fondo pur sempre un attore?
«Sono attore nel più profondo del mio cuore. Recitare è una magia. Ti permette, senza doverti preoccupare d’altro, di esprimere i tuoi sentimenti più profondi».