Raffaello Masci, La Stampa 7/10/2010, 7 ottobre 2010
CITTÀ SENZA WI-FI, ITALIA DA PREISTORIA
Navigare gratis, scaricarsi un film, leggere un giornale on line, controllare la propria mail, interagire con la propria banca così come salutare i propri cari via Skype, è possibile praticamente in tutto il mondo, comprese l’Africa, il Medio Oriente e l’America Latina. Ma in Italia no.
Se, per esempio, un bar vuole offrire ai propri clienti un collegamento alla rete, affinché possano scrivere, navigare e lavorare mentre sono seduti ai tavoli, è costretto a imporre una procedura scoraggiante: il cliente deve prima di tutto farsi identificare e ottenere una password, dopo di che l’esercente è tenuto, per legge, a conservare in eterno un registro nel quale siano riportati i dati di tutti quelli che si sono connessi, con tanto di archivio dei siti da questi visitati. Conclusione: non c’è bar a Roma o a Milano o a Torino ma anche a Canicattì che abbia voglia di imbarcarsi in una trafila del genere.
Stessa procedura per gli alberghi, ovviamente, con l’aggravante che molti approfittano dell’adempimento burocratico per caricare una tariffa sul cliente (in genere 5-10 euro al giorno).
Stando così le cose, le città wireless vanno a farsi benedire, i parchi con Internet libero, pure. E così via. E l’Italia resta uno dei pochi Paesi al mondo in cui Internet soggiaccia a così tante restrizioni. La colpa di tutto questo è di una norma del 2005, introdotta da Beppe Pisanu quando era ministro dell’Interno, e a suo tempo sacrosanta: eravamo all’indomani dell’attentato dinamitardo che aveva fatto morti e feriti a Londra, e sulla scia di quella emergenza il governo aveva pensato bene di monitorare anche gli accessi liberi alla Rete, onde evitare pericolose connessioni tra terroristi.
Allora la cosa aveva una sua giustificazione, ma oggi il quadro è cambiato, ed è lo stesso Pisanu ad averlo ammesso, meno di un anno fa, rispondendo a un blog dell’Espresso. «Onorevole Pisanu - gli chiedeva il collega Alessandro Gilioli - non pensa che il decreto del 2005 sui punti Internet pubblici e in particolar modo sul Wi-Fi sia da modificare in senso meno restrittivo?». Risposta: «Ritengo di sì, tenendo conto, da un lato, che le esigenze di sicurezza sono nel frattempo mutate e, dall’altro, che l’accesso ad Internet come agli altri benefici dello sviluppo tecnologico deve essere facilitato». Più chiaro di così!
Ora questa istanza è stata raccolta da un pool trasversale di deputati moderni e «smanettoni» (termine che a Roma indica chi è capace di muoversi agevolmente tra le nuove tecnologie - ndr): Linda Lanzillotta (Api), Luca Barbareschi (Fli), Paolo Gentiloni (Pd) e Roberto Rao (Udc). Questi parlamentari hanno presentato ieri alla Camera una proposta di legge costituita da un solo articolo che chiede di abrogare l’articolo 7 del decreto Pisanu, quello, appunto, che metteva la museruola a Internet senza fili. Il ddl è bipartisan, hanno fatto notare i firmatari, e sostenuto in parlamento da un larghissimo consenso di merito che dovrebbe prefigurare una strada in discesa per l’iter di approvazione.
«L’obiettivo - hanno detto i quattro parlamentari - è che la proposta venga discussa direttamente in Commissione e in sede legislativa (senza il passaggio in aula - ndr) in maniera che possa essere approvata entro l’anno. Altrimenti - hanno aggiunto - la norma Pisanu più volte reiterata con il decreto milleproroghe di fine anno, verrebbe prorogata di un altro anno e con lo stesso strumento». E questo sarebbe, effettivamente, un peccato.
Ma allora sono tutti d’accordo? Ovviamente no: i gestori di telefonia che vendono le connessioni Internet e le chiavette perderebbero un bel business. Non a caso lo scorso 5 ottobre l’Ad di Telecom Franco Bernabè è stato molto chiaro: «Non credo che la legge Pisanu vada abolita. In molti altri Paesi si sta andando nella direzione della fine dell’anonimato e dell’identificazione dell’utente: la norma in vigore serve a quello».
BRUNO RUFFILLI
Nel 1994 Stefano Quintarelli è stato uno dei fondatori di I.NET, il primo Internet Service Provider commerciale in Italia per il mercato professionale, oggi è un esperto di telecomunicazioni e blogger assai influente (blog.quintarelli.it). E sul decreto Pisanu per il wi-fi ha una posizione molto personale.
Quintarelli, la diffusione di internet in Italia è stata rallentata da questa normativa?
«Penso che non sarebbe cambiato molto: da noi, ad esempio, i gestori dei bar preferiscono che i clienti arrivino, consumino in fretta e poi vadano via, non capiscono perché dovrebbero offrire una connessione wi-fi per invogliarli a passare ore nel loro locale».
Ma all’estero non è così.
«Certo, perché il bar in molti casi diventa un surrogato dell’ufficio, si sta lì e si lavora. In Italia manca questa cultura, così la scarsità di punti di accesso wi-fi è un vero problema solo per pochi».
Chi, secondo lei?
«Studenti e frequentatori di biblioteche, ad esempio, che nel decreto sono equiparate ai call center. E poi penso ai turisti, a chi si collega occasionalmente a internet e non ha voglia di spendere 7 euro l’ora. Per tutti gli altri c’è la rete cellulare: oggi un abbonamento dati per iPad dura un mese e costa 5 euro».
Quindi lei avvalora la tesi che ad opporsi alla diffusione del wi-fi siano in primo luogo gli operatori mobili?
«Anzi, gli operatori sarebbero felici di ridurre il traffico dati sulle loro reti, perché un video di YouTube costa tanto in termini di traffico, ma rende meno di un sms».
E allora perchè da noi il wi-fi non ha attecchito?
«Perché è più diffuso in Paesi come gli Usa, dove la rete cellulare non è così capillare, e meno in quelli dove le reti mobili sono molto sviluppate, ad esempio il Giappone o appunto l’Italia. Ma è anche una questione tecnica: una rete wi-fi ha una portata di qualche decina di metri, quella cellulare si estende per chilometri. Una copertura ragionevole implicherebbe costi di gestione folli».
E poi c’è il problema di identificare chi accede a internet, che è il nucleo centrale del decreto Pisanu.
«Per questo esistono mille modi, non serve per forza una procedura lunga e farraginosa come oggi. Ma è importante una forma di registrazione, com’è importante che i dati personali non cadano in mano a malintenzionati. Se controllo la mail da un hotspot aperto a tutti, mi espongo potenzialmente al rischio che qualcun altro possa accedervi e rubare informazioni riservate, come i codici della carta di credito».
La normativa attuale è stata varata per garantire la sicurezza sul web. E’ servita, secondo lei?
«Su questo non posso dire nulla».