Adriana Bazzi, Corriere della Sera 06/10/2010, 6 ottobre 2010
PIONIERI O ERETICI. I SIGNORI ITALIANI DELLA PROVETTA — I
nostri «signori della provetta», pionieri della fecondazione in vitro in Italia, si chiamano Vincenzo Abate ed Ettore Cittadini. Due gentlemen della ginecologia che, senza dirlo apertamente, si contendono il primato della prima bambina italiana concepita in laboratorio.
Cronologicamente parlando, Abate fa nascere, a Napoli, Alessandra Abbisogno nel gennaio del 1983, ma con la collaborazione di un’équipe australiana; la prima bambina «tutta italiana», come la definiscono i giornali dell’epoca, viene al mondo a Palermo, nel maggio dell’anno successivo, alla clinica universitaria diretta da Cittadini. Si chiama Eleonora Zaccheddu.
Abate, origine italiana, ma con passaporto americano, comincia a occuparsi di procreazione assistita con il neo-premio Nobel Robert Edwards, in California; Cittadini incontra a Parigi Patrick Steptoe, il ginecologo, mancato nel 1988, che ha collaborato per anni con Edwards.
Ricorda Abate: «Lavoravo a Beverly Hills con Edward Tyler, il fondatore della prima banca dello sperma al mondo, poi mi sono trasferito in Australia, all’Università di Melbourne, dove la ricerca in questo campo era molto avanzata. Ho pensato allora di far nascere la prima bambina europea "continentale" concepita in provetta e ho portato a Napoli un team di esperti australiani che mi hanno aiutato».
Se Edwards ha il primato mondiale con Louise Brown, nata nel 1978 (ed è proprio per lo sviluppo delle tecniche di fertilizzazione in vitro che il ricercatore inglese è stato insignito del Nobel), Abate è l’autore della seconda nascita europea. Poi tocca a Palermo.
«Conobbi Steptoe a Parigi — precisa Cittadini — dove stava studiando la laparoscopia (la tecnica che, allora, si utilizzava per prelevare gli ovuli direttamente dalle ovaie delle donne, oggi sostituita con l’aspirazione vaginale, ndr), poi andai da lui in Inghilterra e infine a Melbourne. Da lì cominciai a ordinare le attrezzature per applicare queste tecniche riproduttive anche in Italia. Una volta rientrato a Pal e r mo, cominciai subito».
Da allora Cittadini ha fatto nascere all’incirca 3.000 bambini e ha continuato le ricerche soprattutto nel campo della diagnosi pre-impianto. «Nella nostra regione — continua il ginecologo palermitano — è diffusa la talassemia (un’anemia trasmessa geneticamente, ndr) per questo studiavamo un test sull’embrione capace di identificare il difetto genetico prima dell’impianto. Poi abbiamo interrotto la ricerca: la legge 40 vieta queste indagini».
Primati e ricerche di avanguardia anche all’Università di Bologna, il «terzo polo» delle nascite da record. Carlo Flamigni è il nome storico e ha inaugurato la sua casistica di bambini, venuti dalla provetta, nel 1984. Da allora si è occupato di ricerche sul congelamento di embrioni e di ovuli, di gravidanze in donne in menopausa, di problemi etici legati a queste tecniche, optando per un approccio laico al problema, anche come membro del Comitato nazionale di bioetica.
«Bologna è sempre stata un punto di riferimento per la riproduzione», ricorda Luca Gianaroli, che negli anni Ottanta lavora con Flamigni, poi «emigra» in Australia e rientra a Bologna per distaccarsi dall’Università e fondare il Sismer, la Società italiana di studi per la riproduzione.
«Le nostre ricerche? — risponde Gianaroli, oggi presidente dell’Eshre, la Società europea di riproduzione umana — Ci siamo occupati di vetrificazione degli ovuli, una tecnica studiata per rispondere all’esigenza di un gruppo di pazienti cattoliche che non volevano il congelamento di embrioni. Poi di test su ovuli e spermatozoi con l’obiettivo di scegliere i migliori per la fecondazione».
Il gotha italiano degli eredi di Edwards annovera anche un eretico, Severino Antinori, che vanta ottime percentuali di successo nella sua casistica, ma che è anche molto discusso per certe sue proposte estreme, per esempio l’idea della clonazione come tecnica riproduttiva. Derive che tanto temono tutti coloro che hanno criticato la scelta di Edwards come vincitore del Nobel 2010.
Adriana Bazzi