Ga. Ja., Corriere della Sera 06/10/2010, 6 ottobre 2010
MAREA ROSSA DI VELENI INVADE L’UNGHERIA. IN PERICOLO IL DANUBIO —
Quattro morti, tra cui due bimbi di uno e 3 anni: la più piccola è stata trovata nella culla, dentro casa. È lì che l’ondata di melma scarlatta l’ha sorpresa. E non è di conforto pensare che ad ucciderla, prima del fango corrosivo, potrebbero essere stati i fumi da esso emanati. Da lunedì, l’Ungheria è stata messa in ginocchio dalla marea rossa: 600, forse 700mila metri cubi — ma alcune fonti parlano di oltre un milione — di liquami derivati dalla lavorazione dell’allumina, minerale usato per la produzione di allumi nio . Una chiazza che si sta allargando, e potrebbe minacciare il Danubio e altri fiumi della zona.
Lunedì, l’argine di un contenitore per scarti di lavorazione, piazzato all’esterno dello stabilimento di Ajka (160 km a ovest di Budapest), ha ceduto all’improvviso; forse per le piogge e il forte vento, forse — ipotizza il sottosegretario all’Ambiente Zoltan Iles — per un errore umano: la società Mal S.A. potrebbe aver stivato nella cisterna più fango del consentito. Ci sono volute più di 24 ore perché l’attività della fabbrica venisse fermata. Nel mentre, la marea rossa aveva già devastato la contea di Veszprem, dirigendosi verso quelle di Gyor-Moson-Spron e Vas. Un’area di 40 chilometri quadrati, che ora brulicano di vigili del fuoco e squadre di soccorso, in maschere antigas e indumenti a tenuta stagna. Il premier Viktor Orban — che rassicura sull’assenza di «emissioni radioattive» — ha dichiarato lo stato d’emergenza. Oltre alle vittime, ieri sera si contavano 6 dispersi e 120 feriti, di cui 63 negli ospedali di Veszprem, Gyoer e della capitale; 8 sarebbero gravi. I fanghi hanno un elevato potenziale tossico e corrosivo: le vittime presentano ustioni e irritazioni agli occhi. Nel paesino di Kolontar, tra i più colpiti, una scuola ha dovuto essere evacuata; oltre 100 famiglie hanno già abbandonato le proprie case.
Il ministro dell’Interno Pinter è accorso sul posto insieme al capo della Protezione civile Bakondi: l’acqua potabile non è stata contaminata, ha detto, e la speranza è di bloccare il fango prima che si infiltri nel Danubio, nel Marcali e nel Raba. Ma si tratta, comunque, di una «catastrofe ambientale». E non è escluso che il gesso usato per neutralizzare il fango alcalino lasci penetrare i veleni nel sottosuolo, in un’area prevalentemente agricola. Per Greenpeace, inoltre, una volta secco il fango diventerebbe cancerogeno. E il vento potrebbe trasportarlo fino a quindici chilometri di distanza.
Ga. Ja.