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 2010  ottobre 06 Mercoledì calendario

THYSSEN, IL GIORNO DELL’ACCUSA E IL PROCESSO DIMENTICATO —

«Siamo quattro gatti». Qualcuno in più, forse. Ma gli operai della Thyssen che respirano l’aria umida di pioggia davanti al tribunale hanno l’aria smunta come i loro striscioni, ormai scoloriti dal tempo. Dalla notte del 6 dicembre 2007 sono passati quasi tre anni e quasi cento udienze, dedicati a capire cause e responsabilità del rogo che bruciò le vite di sette lavoratori.
Dovrebbe essere un giorno importante, invece. Comincia la requisitoria dei pubblici ministeri di Torino, la discesa che porterà all’epilogo di un processo comunque storico, la prima volta che viene contestato l’omicidio con dolo eventuale in un processo che riguarda vittime del lavoro, accusa che viene rivolta a Harald Espenhahn, l’amministratore delegato dell a multinazionale tedesca. «Non è il frutto di una scelta emotiva» dice il procuratore Raffaele Guariniello, ricordando l’impressione destata in tutta Italia da quella tragedia. «Le indagini, condotte con tempestività innaturale per quel che riguarda i reati in materia di sicurezza sul lavoro, ci hanno fatto scoprire che le condizioni di crescente abbandono e insicurezza dello stabilimento di Torino sono state la causa di sette morti annunciate».
La requisitoria è affilata. «La nostra convinzione è fondata sulle prove. L’imputato era consapevole della concreta possibilità di incidenti mortali». Viene ricordato l’incendio del 2000 «che non ha insegnato nulla», vengono citati passi della mail sequestrata nella sede centrale della filiale italiana dove ogni investimento per la sicurezza antincendio veniva rinviato a dopo la chiusura dello stabilimento di Torino. «Non nutriva, non poteva nutrire la certezza che non si sarebbe verificato un incendio. Malgrado questo, l’imputato ha accettato il rischio».
Comunque la si pensi sono parole importanti, per una storia tra le più atroci di questi ultimi anni. Eppure scivolano come acqua sulla roccia. L’aula bunker del tribunale di Torino è mezza vuota. Non c’è pathos, nulla resta di quell’onda emotiva citata da Guariniello. Il processo Thyssen è una specie di corpo estraneo alla città, non ha generato interesse di alcun genere, come fosse sterilizzato.
«Legami d’acciaio», l’associazione che raccoglie lavoratori e famigliari — solo alcuni — della Thyssenkrupp, parla di una solidarietà che è andata ad affievolirsi sempre più. «Fino a lasciarci soli ad affrontare l’iter processuale». L’appello «accorato» a seguire le prossime udienze è rivolto «al sindacato, anche quello dei metalmeccanici, che è il vero assente ingiustificato». Ciro Argentino, ex operaio Thyssen, ex candidato di Rifondazione, usa una metafora di gusto discutibile ma di facile comprensione. «Come avere una Ferrari e non metterci la benzina. Sul piano formale, i sindacati hanno dato il loro patrocinio legale. Poi basta, si sono disinteressati. E così un processo che poteva diventare il simbolo di ogni strage sul lavoro scivola via nell’indifferenza di tutti».
A ogni pausa dell’udienza il corridoio del tribunale si riempie. Nei capannelli dei familiari, quasi tutti indossano magliette che effigiano i volti delle vittime del rogo, più che del contenuto della requisitoria si parla del vuoto . «Pochi, siamo pochi» ammette Laura Rodinò, sorella di Rosario, morto dopo 12 giorni di agonia. «Manca il sindacato, che si è stufato presto di noi». Manca anche un fronte comune tra semplici operai e familiari delle vittime. Isa Pisano, madre di Roberto Scola, ha il coraggio di pronunciare la parola tabù. «Indennizzazione: ci rimproverano di aver preso i soldi».
«Legami d’acciaio» lo mette nero su bianco, addirittura. I risarcimenti ottenuti dalle famiglie delle vittime, 15 milioni di Euro in totale, e la conseguente assenza di genitori o figli tra le parti civili «hanno svuotato il contenuto del processo», come va ripetendo Argentino. Isa Pisano abbassa gli occhi, anche se non ha proprio nulla di cui si debba vergognare. «Se non ci fossero stati i bambini di mezzo, non l’avremmo fatto. Loro, quelli che dicono che abbiamo sbagliato, dovrebbero capirlo».
Angelo Boccuzzi, unico superstite del rogo e oggi parlamentare Pd, siede in uno degli ultimi banchi. Quella valutazione degli indennizzi «così alta da essere un’ammissione di colpa da parte della Thyssen» dice, ha prodotto gli effetti collaterali che si vedono oggi. «Sono deluso anch’io dall’assenza di partecipazione. Il sindacato deve mandare i suoi rappresentanti a riempire l’aula. Altrimenti si continuerà a rivendicare la centralità del lavoro, ma non quella dei lavoratori».
Alle 14.30 la requisitoria viene interrotta, non è possibile andare oltre perché mancano i soldi per pagare gli straordinari ai cancellieri. Familiari delle vittime e ex operai si avviano verso l’uscita. In ordine sparso.
Marco Imarisio