Domenico Quirico, La Stampa 6/10/2010, 6 ottobre 2010
LA SENTENZA
CORRISPONDENTE DA PARIGI
Jérôme Kerviel che in due anni ha visto passare per le mani circa cinquanta miliardi di euro, che ha assaggiato fino alla feccia gli splendori e poi le miserie dell’idolo d’oro, la Borsa, oggi, dopo la disgrazia, lavora come tecnico informatico: duemila e trecento euro il mese. Per ripagare le perdite inflitte alla Société Générale dove svolgeva il ruolo di trader, fraudolentemente ha stabilito il tribunale, ovvero 4 miliardi e 900 milioni di euro, questo trentenne dovrebbe sottomettersi a una totale schiavitù per 177.536 anni. Pena (i 5 anni aggiuntivi di prigione al confronto sembrano niente) così severa da essere inapplicabile: «stravagante» l’ha definita con qualche proprietà il perplesso leader centrista François Bayrou.
Colpevole dunque : totalmente, profondamente e soprattutto in modo solitario sanziona la sentenza di uno scandalo finanziario che ha rischiato di trascinare nel fondo un colosso del sistema bancario francese, e ha fatto da sinistro antefatto alla Grande Crisi che azzoppa tuttora l’Occidente. Questo «ragazzo gentile», come lo ha dipinto il suo avvocato, è secondo i giudici di Parigi un manipolatore, uno scroccone, un falsificatore spregiudicato e arrogante che ha ingannato la sua banca, mosso da un folle desiderio di trasformare pezzi di carta e speculazioni azzardose in oro. «Oltrepassando il quadro del suo mandato e prendendo posizioni speculative all’insaputa della Societé Générale e in proporzioni gigantesche» striglia la sentenza, sempre scortato dagli sciacalli del «sangue freddo e del cinismo» con cui «ha portato una minaccia all’ordine economico mondiale». Addirittura.
La condanna di Kerviel automaticamente assolve il sistema bancario. Che trova un colpevole cosmico dunque. La scelta era chiara. Una punizione mite ne avrebbe fatto la vittima del Sistema speculativo, una pedina che la banca ha sollecitato, coperto, aiutato fino al momento in cui guadagnava per poi ripudiarlo quando il miracolo si è rivelato falso, di cartapesta. Come ha sostenuto ostinatamente lui nel processo, ribaltando l’accusa; nessun pentimento, nessuna ritrattazione ma semmai una chiamata di correo. La mancanza di rimorso ha evidentemente avvelenato il giudice. Kerviel era difeso dal principe del foro francese, Olivier Metzner. Salvo miracoli in appello, assai improbabili, la catastrofe di ieri ne ridimensiona ampiamente la fama di invincibilità.
La Francia ha osservato, incredula, uno dei suoi «eroi» senza voce, imbambolato, ascoltare immobile la sentenza. Sì, perché la maggioranza dei francesi lo ha eletto a cavaliere senza macchia dell’antipatia diffusa verso le banche, eterni nemici che ti graffiano con le scadenze di un mutuo, la avidità delle spese di un conto corrente anche il più modesto, la avarizia degli interessi. Stretto alla gola dalla peggiore crisi di questi anni che ne mette in dubbio la solidità e gli immancabili destini economici, mobilitato dalle invettive di un presidente populista che indica nel capitalismo Borsaiolo l’affamatore della Francia operosa e risparmiatrice, il francese medio ha sostenuto Kerviel sul web, nei blog, lo ha ringraziato di aver «assottigliato» i forzieri troppo colmi di questi banchieri arroganti e che hanno sempre ragione. Cinque miliardi evaporati, «ben fatto Jérôme!». Dimenticando generosamente che quei soldi erano i loro.
Ma fin dall’inizio è stato chiaro che questo figlio di un fabbro, senza grandi scuole nel curriculum, senza master di qua e di là, ma che lavorava 24 ore su 24, non si è messo in tasca neppure un centesimo. Miliardi sono passati nei suoi conti, prima nella voce attivi poi sciaguratamente trasmigrati in quella delle passività, senza che restasse impigliato nelle dita nulla: niente amanti in gran pompa, nessuna auto di lusso, niente vacanze ai Caraibi. Un travet della speculazione, con i soliti fine settimana a Pont -l’Abbé in Bretagna, ottomila abitanti, a smaltire l’uggia guardando il mare e a sentire le chiacchiere delle clienti della madre, pettinatrice, che facevano gli occhi languidi a questo beau garçon che si stava facendo strada a Parigi.
E allora avanti con le magliette con la scritta merci Kerviel che continuano a fare il pienone su internet, i gruppi di sostegno che stragiurano sulla sua innocenza e gridano adesso, scandalizzati, al complotto dei «grossi», dei ricchi dei «Lor Signori».
Kerviel, nonostante una sentenza così assoluta e senza dubbi, resta un enigma. Perché bisogna arrampicarsi tra le vette e i precipizi di una odissea un po’ tragica e un po’ patetica, una storia del nostro tempo, di un provinciale che arriva a Parigi come tanti, con la valigia gonfia di sogni e si immerge nella giungla delle torri della Défense, il più grande quartiere d’affari d’Europa, la Manhattan parigina. E’ il mondo che fa sbigottire dell’alta finanza dove con un clic del computer, se hai le chiavi di accesso, puoi ramingare tra i miliardi, da un capo all’altro del pianeta, tentare l’impossibile.
Poi un giorno la Gerarchia della Societé Générale, quello che veglia su tutto dall’undicesimo piano, paternalista e implacabile, che apprezza la sua fedeltà all’ambizione, la sua ubbidienza, dichiara che anche per lui la caccia al Graal è aperta: prova anche tu, tenta, guadagna, moltiplica, fatti prendere da questa ossessione che come uno spino, come un chiodo ti lavora dentro. Anche se non hai il diploma delle Grandi scuole e sei un travet di provincia. In fondo il denaro è una democrazia che si può addomesticare. «Mi sono sentito scivolare - ha scritto Kerviel in un precoce, forse troppo precoce libro di memorie - volevo riuscire a tutti i costi».
Voglia di rivincita sociale spinta alla follia? Il bisogno di una mente infantile che ha continuamente necessità di riconoscenza? O semplicemente il meccanismo, la Macchina che lo ha sfruttato cinicamente spingendolo ai limiti e anche oltre? Nessuno si è mai accorto che ormai Kerviel lievitava in un mondo totalmente virtuale, una bolla d’aria e di zeri in cui le cifre non avevano alcun significato reale? Non bisogna dimenticare che in quel periodo, secondo la Banca dei regolamenti internazionali, si scambiavano 370 mila miliardi di dollari sul mercato a trattativa. Che cosa erano in fondo i quasi 50 miliardi di euro che sono passati tra le mani di Kerviel? Briciole.
Nonostante la condanna il protagonista della «truffa del secolo» (ma quante volte si è usata questa definizione ?) non è stato condotto in carcere. Resta libero in attesa dell’appello. Intanto il suo salario sarà confiscato, salvo il necessario per la casa e il cibo. Poi sarà la Société Générale che dovrà decidere se essere clemente.