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 2010  ottobre 06 Mercoledì calendario

INCREDIBILE MA VERO. IN ITALIA NON È PROIBITO MANGIARE GATTI

Premetto: spero di sbagliarmi e invito i lettori a scrivere. Accetto anche insulti sta­volta.
Poche sere fa ero invitato a cena, con alcuni amici di vecchia data, a casa di un compa­gno di liceo. La classica rimpatriata di chi ha condiviso, per anni, giorni di felicità e di angoscia tra i banchi dove si aggiravano se­veri i prof di lettere antiche alla ricerca di un «pizzino» che viaggiava segretissimo il­luminando il compagno dispe­r­ato su quella maledetta frase in­traducibile di Platone. Il padro­ne di casa aveva promesso una cena vegetariana, suscitando le proteste di chi, senza prosciutto e salame, si sente orfano di pa­dre e madre. Quando dalla gri­glia, invece delle solite costine e salsicce, sono uscite melanzane e zucchine delicatamente co­sparse di aceto balsamico, si è fatto un religioso silenzio e il ru­more delle ganasce ha zittito qualunque velleità di risenti­mento.
Dopo un paio d’ore di rimem­branze dei vecchi trascorsi sui banchi, la discussione è finita nelle solite banalità, «le donne, il tempo ed il governo» avrebbe detto il grande Fabrizio. Giunti verso la fine della serata è parti­ta, proprio dal padrone di casa, la provocazione che ha riacceso gli animi.
L’avvocato alza la voce e guardandomi ostentatamente mi dice «Bene Oscar, visto che il clima sarà dolce ancora per pochi giorni vi invito per un’ultima grigliata saba­to sera. Vi prometto una cena non meno gustosa. Se non avete preclusioni mentali, voi seguaci di Socrate ed Epicuro, sarò feli­ce di cucinare Chow Chow e Siamesi alla griglia».
Risate di commiserazione per la banalità della barzelletta. Io rido più degli altri. «C’è poco da ridere -afferma serio l’amico avvo­cato-, tu potrai maledirmi e augurarmi ogni pena dell’inferno, ma non potrai impe­dirmi questa trimalcionesca serata».
Continuo a ridere, ma lui è serio. Tutti sorri­dono e mi guardano, quando alzano la ma­no per garantire la loro presenza. «Vedo che continui a ridere, caro il mio dottore. A questo punto mi userai la cortesia di dirmi perché non possiamo mangiarci un cane e un gatto in santa pace». «Ma perché è vieta­to », mi viene spontaneo. «Ah, sì -ribatte il leguleio.- E in base a quale legge, di gra­zia… ». «Ma la legge che vieta di mangiare cani, gatti…». «E quale?», ribat­te lui sentendo di avermi messo in off- side.
Ora tutti si godono la tenzone. L’avvocato contro il veterinario, per di più giornalista e animali­sta. Penso velocemente. Maledi­zione, ci sarà pure una legge… La trovo. «Caro avvocato dei miei stivali, Art. 544 - bis, legge 180: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la mor­te di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi”.ora meglio che torni a for­nirti di quelle squisite melanza­ne prima che mi debba incomo­dare a portarti agrumi nelle pa­trie galere». «Ma io non cagiono la morte per crudeltà o senza ne­­cessità: io ho fame e la cagiono per questo», risponde il princi­pe del foro senza fare una piega. Rifletto velocemente e sento lo scacco matto avanzare. Se la contadina cagiona la morte di un pollo o un coniglio per il pranzo domeni­cale lo fa con crudeltà? No. Lo fa senza ne­cessità? Beh, sì e no. Potrebbe mangiare po­lenta e funghi o spaghetti alla carbonara, è vero, ma chi le impedisce di mettere in pa­della il pollo allevato accuratamente per mesi all’aria aperta a mais, crusca ed erba medica? E allora perché il coniglio sì e il gat­to no?
«Proprio quello cui stai pensando-ha chiu­so l’avvocato- ti aspetto sabato sera con le manette o con la fame e la curiosità di un vero seguace d’Epicuro».
Qualcuno mi scriva dove sbaglio. Grazie.