Giordano Tedoldi, Libero 6/10/2010, 6 ottobre 2010
NON SCEGLIETE L’AUTORE DI “THE ROAD”: NON SE LO MERITEREBBE, È TROPPO BRAVO
Cominciamo da una facile previsione sociologica. Anche questa volta, dopo l’annuncio del premio Nobel per la Letteratura, gli scrittori italiani si divideranno in due fazioni: quelli che si congratulano con il vincitore, praticamente come se l’avessero vinto loro il Nobel, che erano anni che ne consigliavano i libri a tutti, fratelli, mariti, amanti (e infatti molte amanti di scrittori italiani leggevano Jean-Marie Gustave Le Clezio ben prima del Nobel del 2008); e quelli che s’indignano perché «anche quest’anno quei parrucconi svedesi hanno snobbato Philip Roth, il più grande scrittore del mondo», o perché «anche quest’anno quegli imbecilli svedesi hanno snobbato Cormac McCarthy, il più straordinario romanziere dell’universo».
Noi, da bravi snobboni, invece ricadremo nella minuscola, compiaciutamente aristocratica terza posizione, quella di chi chiama gli amici scrittori e domanda: «Ma Elfriede Jelinek Nobel 2004 tu l’hai mai letta?». Oppure: «Devo scrivere un articolo su questa Hertha Müller Nobel 2009 mi riassumi velocemente tutta la sua poetica e mi spieghi perché si mette il rossetto viola come Nancy Spungeon?». E siamo sicuri che anche stavolta del premiato non sapremo niente, non perché si tinge i capelli, non perché la maledetta dittatura contro cui ha lottato per tutta la vita non gli ha impedito di scrivere romanzi di straziante introspezione psicologica, non perché a sessant’anni indossa il chiodo con le borchie.
Però vorremmo esporre alcune pacate considerazioni al cospetto della comunità letteraria italiana, indirizzate non tanto alla prima fazione, gli esaltati evviva-ha-vinto-il-turco-erano-anni-che-meritava-il-turco, quanto alla seconda, i lutto-e-melanconia-perché-McCarthy-anche-quest’anno-non-havinto. La prima è che questa faccenda del Nobel per la letteratura è davvero, sul serio, ridicola. Ma non da quando non premiano McCarthy, da sempre. È solo una questione di successo e soldi, e naturalmente di sbriciolare i colleghi invidiosi, cioè la materia di cui son fatti tutti i premi letterari e il Nobel in particolare. I premi letterari non servono a niente, se non a far diventare gradualmente più tromboni i vincitori, invidiosi i secondi classificati, ricchi i proletari dell’ex Patto di Varsavia, sempre più poveri e schiavi gli eccentrici, i fuori moda, i non impegnati, i pazzi. Se mai Philip Roth vincesse il premio, avete idea di quanti giovani, talentuosi e eccentrici scrittori americani potrebbero soffrirne? Anche loro potrebbero essere tentati di gettare nel cesso i loro romanzi sperimentali e avanguardistici e scrivere le avventure semiserie del loro pene, vi rendete conto del danno?
E se vincesse quell’altro, John Wayne, cioè, volevo dire Cormac McCarthy, immaginate quanti scrittori americani da Santa Fe a El Paso ad Amarillo, Texas, cominceranno a scrivere dei loro stivali in pelle di serpente articolando frasi del genere: «Il sole sorge. Il mondo è violento. Dure verità per un bambino»? Capite, amici scrittori, è bene che il premio Nobel lo vincano quei bidoni di Le Clezio, Jelinek, e la bidoncina che è Hertha Müller, perché così non può seguirne alcun danno. Chi vuoi che si metta a imitarli? La corruzione delle lettere, l’omologazione, facendo piovere successo e soldi su scrittori così insignificanti, è scongiurata. Alla peggio vedremo giovani scrittrici di Potenza mettersi il chiodo e il rossetto viola come la Müller o giovani scrittori di Pordenone cotonarsi come Le Clezio. Poco danno. A 40 anni stanno tutti a insegnare alla Holden di Baricco.