GABRIELE ROMAGNOLI, la Repubblica 5/10/2010, 5 ottobre 2010
GLI UNDICI METRI DI SIRIGU IL RAGAZZO FINITO IN PORTA PER UN ATTACCO D’ASMA
Non ne aveva mai parato uno. Non in serie A e pochi pure nei campi dove aveva vagato tra Nuoro, Ancona e Cremona. Il primo in cui era sceso si chiamava "La Solitudine", l’ultimo "La Favorita": un segno inequivocabile che le cose erano cambiate, la fortuna girata. Ma adesso, sul 2 a 1 per il suo Palermo, aveva a undici metri Ljajic, che contro la Lazio, da lì, l’aveva messa dentro senza esitare. Stava per diventare tutto inutile: il missile di Ilicic, il concerto solista di Pastore, il suo salvataggio di piede, più voluto che disperato, su Cerci. Salvatore Sirigu, solo e sfavorito, contro un tiro che si può parare con più fortuna che bravura. E a un certo punto della vita lui ha cominciato ad averle entrambe.
Il posto dove è nato si chiam a La Caletta, in una Sardegna vera: il mare è vicino, i "billionari" lontani. Come dice lui: «Da lì è difficile andare lontano, quelli delle grandi squadre non prendono il traghetto per venire a vederti, c’è solo il Cagliari».
E a undici anni, dopo un provino, dal Cagliari fu scartato. «Sono cose che possono capitare». Non bisogna mai aspettarsi dichiarazioni clamorose da Sirigu. È uno che dice cose come: «La fortuna aiuta gli audaci» o «Non si smette mai di imparare». L’intervistatore annuisce, ma soffre. Se il portiere deve essere, per necessità, scriteriato, Sirigu è fuori ruolo.
Infatti voleva fare l’attaccante, ma è stato "retrocesso" per un problema di asma.
L’allenatore dei "Puri e forti" risolse un doppio problema: tra i pali non voleva giocare nessuno e questo aveva le mani grosse. Non fu un’intuizione da sottovalutare. Gli misero come soprannome Walterino, per via di Zenga. Ora la leggenda vuole che ne avesse il poster in camera. Più probabile che al muro ci fosse Valentino Rossi, di cui porta sulla maglia il numero 46. Zenga arrivò dopo, quando la finestra delle opportunità si stava chiudendo. A Palermo non l’avevano mai notato.
Guidolin lo aveva fatto esordire in coppa Italia a Marassi contro la Sampdoria. Emozione? «Dopo, a rivedere le immagini registrate che mi hanno regalato. Un onore: io, in mezzo a grandi campioni del calibro di Bazzani». Per dire.
In Europa il battesimo era stato di quelli che annegano: tre gol incassati a Istanbul, contro il Fenerbahçe, davanti a 55mila spettatori ululanti. Cose che uno torna a Nuoro e si gode la vita. Invece arrivò Zenga, che da allenatore ha mantenuto lo stile del portiere scriteriato. Ai tempi di Catania passai con lui una piacevolissima serata. Mangiammo e, mentre la moglie rumena leggeva un romanzo pachistano, guardammo alla tv Barcellona-Chelsea. Il risultato era inchiodato, l’eliminazione degli spagnoli vicina. Gli chiesi: «Fossi Guardiola, che faresti?». Rispose: «Cambierei qualcuno». A Palermo cambiò il portiere. Dicono fu la cosa migliore che fece, sicuramente l’unica rimasta.
A Zamparini ha ripagato l’ingaggio con gli interessi. Sirigu si era perso nella coda per la porta.
Davanti a lui erano stati non soltanto Fontana e Amelia, ma anche Ujkani e Santoni. A quel punto restava Rubinho. Per intuito o per forza Zenga buttò dentro il ragazzo uscito dalla Solitudine.
Che avessei numeri si capì alla seconda partita, in casa contro la Juventus. Servito all’indietro da un compagno, dribblò serenamente Amauri, pallone sul destro, finta e rientro, come fosse un’ala senz’asma. In un anno passò dall’anticamera dell’oblio alla Nazionale. Lippi lo volle al Grande Fratello, edizione del Sestriere, quando a turno eliminava qualcuno dalla comitiva per il Sudafrica. Sirigu non si amareggiò, benché avesse dovuto disdire le vacanze in Messico per partecipare. Disse, inevitabilmente: «Un onore: io, in mezzo a grandi campioni». Del calibro di quelli presi a pallate dalla Slovacchia.
Signorile, la fortuna decise di saldare il conto. Il titolare Buffon s’infortunò. Il vice Marchetti rimase devoto alla Vergine ma inviso a Cellino per un’intervista e finì fuori squadra. Prandelli si affidò a Sirigu. Per segnalare ch’era diventato uomo si lasciò crescere un’idea di barba. Buona la prima, toppò la seconda. Viviano gli prese il posto a Firenze.
Ed era proprio lì che si trovava, a undici metri da Ljajic per provare a fare qualcosa che non gli era mai riuscito prima. Aveva già infranto un altro tabù: contestato da qualche tifoso dopo una partita infelice aveva reagito.
Con foga e vocabolario che in lui apparivano impropri quanto la barba, aveva detto: «Non mi fermano quattro scemi». Non l’hanno fermato. Zamparini gli ha triplicato lo stipendio, evitando che il portiere della nazionale fosse il meno pagato della serie A. Gli restava da fermare quel tiro. Non si mosse mentre il serbo prendeva la rincorsa. Doveva indovinare il lato e sperare non fosse un tiro troppo forte o angolato. Quando sentì la palla sulle manone capì di avercela fatta. Aveva salvato il Palermo, riaperto la sfida con Viviano proprio mentre, a Bologna, Prandelli se lo stava coccolando.
E adesso, Sirigu? «L’insidia è dietro l’angolo».