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 2010  ottobre 05 Martedì calendario

DOCUMENTARI I FALSI DELLA NATURA SELVAGGIA CONTROFIGURE ANCHE PER GLI ANIMALI

Lo spettatore tv rabbrividisce al pensiero dei rischi corsi dal cameraman per filmare il leone a due passi, in realtà il documentarista, se qualche brivido lo ha avuto, è stato per il freddo, poiché gli è toccato aspettare il tramonto per avere la luce migliore per riprendere la belva nel recinto.

Gran parte di quel che ci fa sognare l’avventura e ammirare l’ardimento di personaggi come Bear Grylls in "Uomo vs Natura" è frutto di un lavoro di costruzione di scene, sfondi e incontri ravvicinati al riparo di un recinto con animali addomesticati. La denuncia, aperta e impietosa, arriva da un libro scritto da Chris Palmer, produttore di documentari e docente all’American University, che ha gettato un sasso nello stagno della crescente industria dei film su animali e natura. Shooting in the Wild (uscito a maggio negli Usa per Sierra Club Books e non ancora tradotto in Italia) ha messo nero su bianco un dibattito che tra i documentaristi va avanti da qualche tempo.

Palmer mette a nudo i difetti di un’industria nella quale il sensazionalismo ha preso il sopravvento sulla narrazione scientifica e il tempo della natura è stato assoggettato alle scadenze sempre più pressanti e ai finanziamenti sempre più miseri. Negli ultimi dieci anni la produzione di documentari con tema naturalistico è triplicata, la diffusione dei canali tv via satellite ha fatto salire la domanda per serie tv in cui gli animali sono protagonisti. L’ora di riprese sulla migrazione degli gnu che un tempo veniva realizzata da una troupe in pianta stabile in Africa per tre anni, ora si gira in un mese. In più ci sono i rischi.

«È molto difficile e pericoloso avvicinarsi agli animali selvaggi, specialmente se si tratta di orsi e lupi», ci racconta Palmer, che ha realizzato oltre 300 ore di documentari per vari canali tv.

«Di solito si riprende con gli zoom, ma in quel caso si perdono i suoni reali, perciò, come minimo, si riproduce il sonoro in studio». Lo ha fatto Palmer per primo, in gioventù, con le riprese di un grizzly che pescava in un fiume. Il rumore delle zampe dell’animale nell’acqua era in realtà quello di un suo assistente che batteva il palmo in una bacinella. «È quasi obbligatorio usare animali in cattività per filmare alcune scene, ma in quel caso bisogna dirlo agli spettatori, in modo da non prenderli in giro». Palmer ha preso la guida di un folto gruppo di produttori che chiede maggiore etica, più attenzione per il modo in cui vengono trattati gli animali e una distinzione netta tra i documentari naturalistici, fedeli alle regole dell’osservazione etologica e le serie miranti alla sensazione, più preoccupate di stupire lo spettatore che di informarlo.

«C’è bisogno di regole e standard», conferma Arne Naevra, fotografo e cameraman norvegese, autore di immagini di orsi polari: è sua la foto dell’orso alla deriva sul blocco di ghiaccio, usata da Al Gore per la sua campagna sul cambiamento climatico. «L’associazione internazionale dei documentaristi di cui faccio parte sta pensando a un bollino, un sigillo di qualità da apporre in apertura dei documentari, per avvisare lo spettatore che quelle che stanno per vedere sono immagini non artefatte». Non tutti hanno accolto con entusiasmo le rivelazioni di Palmer. C’è chi lo ha accusato di non sapere cosa significhi davvero stare per ore ad attendere una scena sensazionale che non arriverà e c’è chi, soprattutto tra i responsabili delle tv, obietta che un documentario aperto con un’avvertenza del tipo "i lupi nelle immagini sono addomesticati" non piacerebbe a nessuno.

Palmer ha una proposta: «C’è del vero in questa obiezione - ammette - ma a mio parere ciò dovrebbe aiutare la produzione di film con meno falsificazioni. Se proprio non se ne può fare a meno, perché non sfruttare la passione degli spettatori per il "dietro le quinte"? Mostrare come vengono realizzate alcune scene a rischio diventerebbe quasi più interessante della scena stessa e assicurerebbe un buon trattamento agli animali».