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 2010  ottobre 05 Martedì calendario

Bixio Carlo

• Produttore televisivo (Tutti pazzi per amore, I Cesaroni, Un medico in famiglia). Figlio di Cesare (l’autore di Parlami d’amore Mariù) • «[…] il Nino Bixio che combattè con Garibaldi era il prozio di Cesare, a sua volta padre nobile della canzonetta italiana, che praticò dai primi decenni del Novecento fino agli Anni Cinquanta: Parlami d’amore, Portami tante rose, Noi siam come le lucciole, Mamma. Anche autore della musica del primo film sonoro italiano, La canzone dell’amore. E ancora: la nonna di Carlo era una famosa cantante, il nonno, Graziano Jovinelli il proprietario dell’omonimo teatro, lo zio Pasquale Bixio un celebre impresario. Carlo stesso è stato musicista, impresario teatrale, produttore di eventi (tra 1980 e ’93 Sanremo è cosa sua, in società con i Ravera), concerti e infine di fiction. A questa approda quasi casualmente e per effetto di quello che lui definisce “animo irrequieto e voglia di cose nuove”, che dall’Italia l’ha portato a lavorare in Spagna, dove prima esporta nostri programmi (Numero Uno e Luna Park) e poi incappa nel format originale del Medico, che là era “di” famiglia e da noi diventa “in”: cambio sostanziale, di prospettiva, tono e contenuti. […] “La famiglia permette di raccontare tutte le più importanti tematiche di oggi e di farlo con garbo. Non è una realtà solo italiana. Ed è articolata: evolve nel tempo con il Paese. Vi accade tutto quello che, secondo me, merita di essere raccontato. Insomma, è la nostra vita. Più prosaicamente, dal punto di vista di una fiction, permette di pensare un prodotto che vive nel tempo […] Su Un medico inizialmente abbiamo messo tre miliardi di lire, oltre al budget previsto dalla Rai per fare un prodotto da prima serata e non da day time. Ma ci serviva per fare esperienza. Abbiamo investito, abbiamo studiato, abbiamo imparato. In Spagna la serie è finita, da noi va avant […] E intanto abbiamo fatto Tutti pazzi per amore, la serie che più ci corrisponde […] Gli italiani amano cantare, e attraverso il canto esprimere gioia e dolore. Attraverso le canzoni si può raccontare la storia di un Paese. Ma Tutti pazzi è innanzitutto un prodotto interamente nostro, una nostra scommessa: serializzare la commedia sentimentale […] Mio padre aveva iniziato a lavorare a 14 anni, a Napoli: componeva, ma nessuno voleva cantare le sue canzoni, che erano diverse da quelle in voga. Si mise a cantarle lui. Smise solo quando ebbe successo e potè tornare a fare solo quel che preferiva, comporre. Erano tre amici che fin da ragazzini si confidavano sogni e speranze: lui, Totò, Eduardo. Per casa giravano Walter Chiari e Renato Rascel, che corteggiava la sorella di mio padre. Ricordo Tognazzi con il figlio per mano. Vittorio De Sica? Me lo vedo ancora a Cinecittà, tutto vestito di bianco, che mi incontra, si toglie il cappello e, sull’attenti, si mette a cantare Parlami d’amore, Mariù e poi mi dice: ‘Papà, papà, che uomo!’. Non è che un frammento di quel passato. Forse un giorno mi deciderò a farne una fiction. C’era uno spirito che è difficile trovare oggi, che esisteva solo nelle grandi, vecchie famiglie patriarcali”. Che sono poi quelle delle sue serie: famiglione allargate, ramificate ad amici e parenti. “Allargate ma non patriarcali. I padri sono surrogati dalle donne. Che sono più forti, più intelligenti. Gestiscono famiglia e lavoro. Spero che un giorno sia una donna a prendere in mano questa nostra società […] Ho due figli, maschio e femmina: lavorano con me. Ho trasmesso loro la lezione di mio padre: non avanzi se non c’è merito. A me è servita […] Ho capito presto che come autore ero scarso. Mentre fin da piccolo ho dimostrato la capacità di saper aggregare le persone. Nella nostra casa di campagna avevamo un teatrino dove ci esibivamo noi ragazzi. Io presentavo. Non ho mai fatto il presentatore, ma ho imparato a condurre e organizzare. Una certa propensione per la ribalta ricordo di averla dimostrata anche nel piacere con cui facevo il chierichetto: mi divertivo a stare sull’altare, servire messa. Nessuna vocazione. Ma mio padre non capiva: minacciò persino diseredarmi”» (Adriana Marmiroli, “La Stampa” 23/1/2009).