LUCIO VILLARI, la Repubblica 2/10/2010, 2 ottobre 2010
Su Vittorio Emanuele II
Forse tra i presagi del piccolo principe Vittorio Emanuele, oltre il destino di diventare re, c’ era quello di trovarsi in mezzo alle rivoluzioni, alle confusioni, alle guerre, ai gesti eroici, agli amori ardenti, come in un grande libro di avventure. Stava per compiere un anno - era nato il 14 marzo 1820 - quando il 9-10 marzo 1821(quella data darà il titolo ad una delle più belle liriche di Manzoni), Torino insorse in nome della libertà e della Costituzione. Gli studenti dell’ università, insieme ai militari di Alessandria e di Genova inauguravano così il Risorgimento italiano, mentre il re Vittorio Emanuele I fuggiva lasciando il trono al fratello Carlo Felice che non era a Torino. La reggenza passò al ventitreenne nipote Carlo Alberto che di fronte all’ incalzante rivoluzione concesse la Costituzione proprio nel giorno del compleanno del figlio Vittorio Emanuele, il 14 marzo 1821. Il 29 marzo Carlo Felice sconfessò il reggente ordinandogli, con un biglietto, " de vous rendre incessement à Novara avec la princesse et votre fils ". Fu il primo avventuroso viaggio del futuro re d’ Italia. Da grande saprà che mentre in carrozza si avviava a Novara, tra le braccia della balia, molti patrioti venivano arrestati, condannati alla fucilazione e agli ergastoli. Ventotto anni dopo, per singolare simmetria storica di date, di eventi e di luoghi fu a Novara che Carlo Alberto, sconfitto da Radetzky il 23 marzo 1849, decise di lasciare il trono al giovane Vittorio Emanuele. Il principe diventava quel giorno re di Sardegna mentre finiva ingloriosamente la prima guerra di indipendenza, scoppiata nel marzo dell’ anno prima. Da quel momento il suo destino di re soldato, di re rivoluzionario, di re che governa e non solo regna, fu segnato per sempre. Pochi mesi dopo doveva infatti reprimere l’ insurrezione liberale di Genova e nello stesso tempo fronteggiare il fascino insidioso dei rivoluzionari repubblicani e la profonda emozione anche dei sudditi per l’ eroica resistenza della Repubblica romana di Mazzini e della Repubblica di Venezia di Daniele Manin. Resistette a tutto per scelta personale, politica, ideologica, caratteriale. E uscì vincitore dalla lotta senza quartiere, durata fino alla sua proclamazione a re d’ Italia, il 17 marzo 1861, contro i conservatori e i reazionari del suo regno che volevano annullare lo Statuto concesso dal padre il 4 marzo 1848, e che volevano impedire al Piemonte di accogliere decine di migliaia di esuli politici e di perseguitati provenienti dal regno delle Due Sicilie, dallo Stato pontificio, dai ducati dell’ Italia centrale. Dovette lottare contro chi osteggiava la politica del conte di Cavour, da lui chiamato alla presidenza del Consiglio nel 1852, e contro le maledizioni dei clericali scagliate da don Giovanni Bosco a lui e alla sua famiglia nel 1855, per aver firmato le leggi che sopprimevano gli ordini religiosi e ne confiscavano i beni. Le morti improvvise di alcuni suoi familiari, accompagnate dalla scomunica fulminata da Pio IX, lo fecero barcollare spingendolo a licenziare Cavour. Ma fu un attimo. Una bellissima lettera di Massimo d’ Azeglio, in difesa dei valori laici e liberali, toccò il suo animo di "rivoluzionario". Cavour ritornò alla presidenza e da quel momento le sorti del Risorgimento italiano furono nelle mani del re e in quelle abilissime del suo primo ministro. Vittorio Emanuele svolse allora una politica "parallela" mantenendo l’ alleanza con la Francia fino al sacrificio della terra d’ origine (la Savoia e Nizza furono cedute da Cavour alla Francia e questo permise al Piemonte di annettersi dopo la guerra del 1859 la Lombardia e gli stati dell’ Italia centrale), e l’ amicizia e il rispetto della liberale Inghilterra e della regina Vittoria. Quest’ ultima lo accoglierà a Buckingam Palace, da re d’ Italia, ammirata e un po’ sgomenta per il calore poco british dei suoi modi. Politica parallela fu anche quando, alle spalle di Cavour, incoraggiò la spedizione dei Mille e quando, il 20 settembre 1870, sfidando altre scomuniche, volle che l’ esercito italiano liberasse Roma e l’ Italia dal potere temporale della Chiesa. Non fu molto contento di abitare il Quirinale, così lontano dalle Alpi dove amava cacciare cervi e caprioli, ma a Roma fu consolato dall’ amante di sempre, e poi sposa morganatica, Rosa Vercellana, contessa di Mirafiori, nella villa sulla via Nomentana, ancora esistente. Qui mangiava bene e dormiva altrettanto bene. Un re un pò "scandaloso" ma così prezioso per la nascita dell’ Italia unita e libera che lo accogliamo volentieri tra i nostri padri della patria. -