Varie, 5 ottobre 2010
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Becher Hilla
• (Wobeser) Potsdam (Germania) 2 settembre 1934. Artista. Fotografa. Nota per il lavoro in coppia col marito Bernd (vedi BECHER Bernd) • «[…] I coniugi Becher, maestri e capostipiti della celebre Scuola di Düsseldorf, hanno intrapreso alla fine degli anni 50 una meticolosa e amplissima opera di documentazione fotografica di edifici industriali, classificandoli per tipologie. Dalle zone industriali di Siegen e della Ruhr a quelle di Francia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Gran Bretagna, Usa, i Becher hanno catalogato sistematicamente i “soggetti” dell’architettura funzionalista e le loro innumerevoli varianti. Ogni loro opera non è autosufficiente: ha significato solo se inserita in un gruppo omogeneo. Le torri di raffreddamento, le scavatrici, i gasometri, gli altiforni, le abitazioni degli operai, i serbatori dell’acqua, e così via... Sembrano tutti uguali. […] Bernd e Hilla Becher non sono semplici fotografi. Metodo e tecnica, uniti a una assoluta teorizzazione della scomparsa del fotografo, hanno fatto in modo che ogni loro scatto diventasse un ritratto. Ammirando le loro serie di “edifici” si ha l’impressione di guardare dei volti (e il rimando al lavoro di Christian Boltanski è immediato). Bernd e Hilla hanno sempre camminato e fotografato insieme, insieme hanno avuto l’onore di ricevere il Leone d’Oro per la scultura alla Biennale di Venezia e il prestigioso Hasselblad Award, che li ha riconosciuti come artisti concettuali. Insieme sempre. Fino alla morte di Bernd, avvenuta nel 2007. La loro è stata una storia d’amore e di passione per il lavoro. E pensare che li ha fatti incontrare la pubblicità, come […] racconta Hilla […]: “Io lavoravo in un’agenzia di pubblicità, facevo la fotografa. Bernd, che faceva il pittore ed era sempre senza un soldo, d’estate lavorava per la stessa agenzia. Il nostro incontro ha unito due passioni e due competenze. Bernd, che era nato nella Ruhr e aveva avuto un nonno minatore, dipingeva quelle fabbriche per conservarne memoria, ma si era reso conto che la pittura era troppo lenta per poter stare al passo con i cambiamenti dell’industria. Capì che il mezzo migliore per poter realizzare il suo progetto era la fotografia. Io gli ho suggerito qual era lo sguardo giusto per farlo. All’inizio usavamo quelle grandi macchine di legno con il soffietto... […] Lavoravamo, e nel frattempo le cose cambiavano”, racconta. Rievoca le esplorazioni e i sopralluoghi nelle zone industriali, che erano parte integrante del loro lavoro. “In Francia avevamo trovato una torre molto bella, ma non c’era una buona luce quel giorno e io mi sentivo stanca, avevamo camminato molto. Decidemmo di tornare il giorno successivo. Ma l’indomani la torre non c’era più, al suo posto solo polvere. È successo molte volte che il giorno prima ci fosse un edificio e il giorno dopo no...”. […] I Becher non facevano archeologia industriale. […] “Abbiamo scelto sempre edifici e macchinari funzionanti. Ora li chiamate fantasmi, ma erano vivi quando li abbiamo fotografati”. Inoltre, dice Hilla, “l’archeologia” va riservata alle pietre, che restano; i materiali delle nostre fabbriche scompaiono senza lasciare traccia. […]» (Stefania Scateni, “l’Unità” 28/1/2009).