Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera 05/10/2010; Federico De Rosa, ibid., 5 ottobre 2010
2 articoli - E L’OLIGARCA AZIONISTA SOGNA LA VODAFONE DELL’EST - La sua idea è quella di creare la Vodafone dell’Est, una società di telefonia mobile che copra l’intera area dell’ex Urss e anche qualche cosa di più
2 articoli - E L’OLIGARCA AZIONISTA SOGNA LA VODAFONE DELL’EST - La sua idea è quella di creare la Vodafone dell’Est, una società di telefonia mobile che copra l’intera area dell’ex Urss e anche qualche cosa di più. E in genere Mikhail Fridman (foto), 46 anni, il principale azionista di Vimpelcom, le previsioni le azzecca. Dopo aver iniziato con una piccola cooperativa di pulitori di finestre, nell’89 azzardò che entro breve sarebbe diventato miliardario (in dollari, non in rubli). Presto fondò una banca e oggi è uno dei due oligarchi rimasti tra quelli della «prima ora». «Forbes» gli attribuisce un patrimonio di 12,7 miliardi di dollari, al terzo posto in Russia e al 45°nel mondo. Banche, petrolio e qualche incidente di percorso. Come una villa alla periferia di Mosca che avrebbe acquistato in maniera non del tutto ortodossa (nel 2006 una corte ha stabilito che la casa dovesse tornare allo Stato, il proprietario originale). Quello che ha sempre detto di non voler mollare a nessun costo è il settore telefonico. Controlla anche un’importante fetta di un’altra compagnia, oltre a Vimpelcom: MegaFon. Insieme, hanno il 48% del mercato russo. Vimpelcom si era già fusa con Kyivstar, uno dei principali operatori ucraini. Un mercato di 190 milioni di utenti, un quarto dell’Europa. Orascom serve a Fridman per entrare nel cuore del Vecchio Continente e ancor di più per continuare l’espansione a Est, in Pakistan e Bangladesh. A differenza di altri, come il patron del Chelsea Roman Abramovich, Fridman passa la maggior parte del tempo in Russia. Con Putin ha buoni rapporti: il premier gli fa fare i suoi affari e lui non si immischia nelle cose del Paese. Il canale tv storicamente legato a Fridman trasmette soprattutto «soap opera» d’importazione. Mai dibattiti politici. Fabrizio Dragosei DALL’ENEL DI TATO’ AGLI SPOT DI PANARIELLO, L’EREDITA’ DIFFICILE DELLA PRIVATIZZAZIONE — Tre passaggi di proprietà in tredici anni e una storia scandita da periodici rimescolamenti nella compagine azionaria, iniziati praticamente subito dopo il debutto di Wind nel mondo delle telecomunicazioni. Franco Tatò, all’epoca amministratore delegato dell’Enel, certamente non lo immaginava. Sapeva però, quando nel 1997 aveva chiamato France Telecom e Deutsche Telekom a partecipare alla società che stava mettendo in piedi partendo da un pezzo di rete dell’Enel e da quella delle Fs, che con quei soci dalle spalle larghe avrebbe dato filo da torcere a Telecom e Omnitel. Ma seduto alla guida di un colosso come l’Enel, forse Tatò più che al nascente mercato delle tlc e alla terza licenza per la telefonia mobile guardava al valore che quel piede nelle telecomunicazioni avrebbe potuto aggiungere al gruppo elettrico in vista della privatizzazione. Oggi del sogno di Tatò è rimasto poco. Nel senso che l’ambizione di fare concorrenza a Tim e Omnitel nella telefonia mobile sembra davvero riduttiva guardando a come sono andate poi le cose. Dai tempi in cui Massimo Wertmuller maneggiava un’arancia (il puntino arancione del logo Wind) in tv per far conoscere la nuova compagnia mobile, alle gag di Aldo, Giovanni e Giacomo e di Giorgio Panariello, di cose Wind ne ha fatte. Sfruttando, con un po’ di fortuna, tutte le occasioni: dal fallimento di Blu, di cui prese i clienti e un pezzo di rete, a Infostrada, diventata non più strategica per Mannesmann (poi diventata Vodafone) dopo l’acquisizione di Omnitel. Un’operazione fondamentale per la svolta del gruppo telefonico dell’Enel, che in un colpo solo passò da 10 a 19,5 milioni di clienti. Ma fece anche molto discutere, soprattutto per gli 11,5 miliardi di euro sborsati dall’allora amministratore delegato Tommaso Pompei, che nel frattempo aveva liquidato France Telecom e Deutsche Telekom riportando Wind, attraverso l’Enel, sotto il cappello del Tesoro. Dove è rimasta fino all’arrivo di Naguib Sawiris, il «Faraone» egiziano, sconosciuto in Italia, che con un’offerta monstre da 12,5 miliardi di euro nel 2005 prese il controllo di Wind con l’obiettivo di creare un anello mediterraneo, unendo la compagnia italiana al suo impero fatto di piccole e medie società telefoniche in Africa e Medio Oriente. Anche in questo caso l’acquisizione fece discutere, ma per le ricche mediazioni pagate agli advisor. Più d’uno, inclusa la Procura di Roma, sospettò potessero nascondere tangenti pagate per favorire Sawiris rispetto all’altro contendente, il fondo Blackstone. Nel frattempo però Wind non aveva macinato solo clienti e fatturato. Anche i debiti erano aumentati arrivando al momento della cessione a 7,4 miliardi. La gestione Sawiris è stata un po’ una rincorsa a sostenere il debito, salito anche oltre gli 8 miliardi, e le scadenze dei bond emessi per l’acquisizione, con un’occhio naturalmente al business. A gestire la cassa era arrivato da Torino, Luigi Gubitosi, già direttore finanziario della Fiat voluto dalla banche per tenere sotto controllo l’indebitamento, e Paolo Dal Pino, ex numero uno di Seat Pg e presidente di Telecom Italia in Sud America al posto di Pompei a gestire il business. Con lui la crescita è continuata e così il consolidamento della leadership tra i competitor di Telecom su Internet e nella telefonia fissa. Ma la cassa resta «il problema», come dimostra la decisione improvvisa di passare a Gubitosi anche i poteri da amministratore delegato. Risorse per la crescita non mancano. Il bilancio continua a generare un buon cash flow, ma scarseggiano i capitali per fare un nuovo salto. E nel frattem-po sorgono problemi anche in casa Sawiris, con Orascom che in alcuni Paesi ha difficoltà a crescere. Pare che la decisione di aprire il negoziato con Mikhail Fridman, terzo uomo più ricco di Russia e patron del gruppo Alfa a cui fa capo Vimpelcom, sia nata proprio dalla necessità, condivisa delle banche, di mettere una volta per tutte in sicurezza Wind, Orascom e il loro futuro. E Sawiris ne ha ricavato un buon tornaconto visto che cedendo il 51% di Orascom e il 100% di Wind diventa il terzo socio di un gruppo telefonico internazionale partecipato da un colosso come Alfa Group, con risorse sulla carta illimitate. E con la capacità di aiutare lo stesso Faraone a mettere un po’ d’ordine là dove il suo impero comincia a scricchiolare. Come in Algeria, dove dopo una serie di problemi con in governo Orascom a fine settembre si è vista chiedere altri 230 milioni di dollari di tasse. Sawiris ha promesso battaglia. Prima. Ora, invece, ha fatto sapere che una delegazione di Vimpelcom partirà per Algeri. Domani, con il presidente russo Dmitry Medvedev. Federico De Rosa