Jacopo Iacoboni, La Stampa 5/10/2010; Mario Baudino, La Stampa 5/10/2010, 5 ottobre 2010
CHI BEN COMINCIA È A META’ DEL ROMANZO
Forse un buon inizio è quello che potrebbe benissimo essere la fine. Come quando Michel Houellebecq comincia così Estensione del dominio della lotta: «Venerdì sera sono andato a una festicciola a casa di un collega di lavoro. Eravamo una trentina e passa, tutti quadri di medio livello, tra i venticinque e i quarant’anni. A un certo punto una scema ha cominciato a spogliarsi. Si è sfilata la maglietta, poi il reggiseno, poi la gonna - il tutto facendo delle smorfie incredibili. È rimasta così qualche secondo, ad ancheggiare in mutandine; poi, non sapendo più che fare, si è rivestita. Peraltro è una che non la dà a nessuno; il che sottolinea l’assurdità del suo contegno». Non devi per forza esser breve; l’icasticità non si misura a metraggio.
Non sempre però nell’incipit c’è tutto; a volte per funzionare un incipit deve fare esattamente l’opposto, non dire cioè assolutamente nulla. O folgorare. O magari scolpire una pura e semplice presentazione del personaggio principale. Un nome. «Chiamatemi Ismaele» è l’incipit di Moby Dick DI Melville che ha vinto la selezione dell’American Book Review (Abr). Il bimestrale letterario americano ha appena compilato una lista dei «Cento migliori incipit di romanzo» della storia della letteratura, ed è un gioco non solo scoprire chi c’è e chi non c’è - o constatare l’ovvio carattere anglocentrico della lista - ma anche compilare la propria, o semplicemente leggerla, la lista (americanbookreview.org/100BestLines.asp).
Abr mette sul podio anche l’attacco di Orgoglio e pregiudizio della Austen (1813) e quello di L’Arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon (1973), «Un grido s’avvicina, attraversando il cielo». Subito dopo c’è l’incipit di Cent’anni di solitudine di García Márquez (1967) coi ricordi del colonnello Aureliano Buendia. Certo tutto il Sud America avrebbe meritato altra attenzione, e invece latitano Borges, Cortázar, Sábato, Mutis, o il brasiliano Guimarães Rosa. È naturale citare l’attacco di Anna Karenina («Tutte le famiglie felici sono felici allo stesso modo; ma ogni famiglia infelice è infelice a modo suo»), ma quello stesso attacco fa venire in mente, per dire, certi classici della contemporaneità, per esempio le Correzioni di Franzen. Anche qui, niente.
È banale non farsi mancare la citazione di Finnegan’s Wake di Joyce, che fa sempre cool: «fluidofiume, passato Eva ed Adamo, da spiaggia sinuosa a baia biancheggiante, ci conduce con un più commodus vicus di ricircolo di nuovo a Howth Castle Edintorni» (traduzione di Luigi Schenoni). Ma lo sarebbe stato meno scegliere qualche autore vivente, eppure a suo modo già classico. Mettere Mark Twain, con Le avventure di Huckleberry Finn, e Kafka (Il processo) fuori dei dieci è come, in un’antologia delle più grandi squadre di calcio di sempre, non citare l’Olanda di Cruyff.
L’unico italiano in questa lista è Calvino («Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero»). E meno male che c’è, ad altre letterature - vedi l’Est europeo - è andata peggio. Per fortuna Abr non abbocca al mito di Holden (16°). È opinabile Hemingway (Il vecchio e il mare) 48°, e Gatsby 68° è una vera ingiustizia. Niente di De Lillo, niente di Roth, niente di Doctorow, incredibile.
È un gioco, si diceva: una lista. E ognuno starà decretando il suo vincitore. Un suggerimento è «Sono stato cordialmente invitato a far parte del realismo viscerale. Naturalmente, ho accettato. Non c’è stata cerimonia di iniziazione. Meglio così» (Bolaño, I detective selvaggi). Ma ammetterete che anche il reportage di Gay Talese su Sinatra - «Dean Martin aveva un’erezione» - non è male; gli inizi decidono tutto anche nel new journalism.
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MA FRUTTERO NON HA DUBBI: «QUEL RAMO DEL LAGO DI COMO» -
«Marley era morto, tanto per cominciare». Anzi era lì, ben acquattato nel canone occidentale, a disposizione soprattutto di lettori di lingua inglese, che a pane e Dickens dovrebbero essere cresciuti. Invece quelli dell’American Book Review hanno completamente trascurato l’incipit di Canto di Natale (1843), che già sembra racchiudere in poche parole tutto quello che verrà dopo, la storia perfidamente zuccherosa dell’avaro Scrooge visitato nella santa notte da tre spettri. Ma con gli incipit, è noto, si sa dove si comincia e non quando si finisce, né dove soprattutto dove si andrà a parare. Fruttero e Lucentini ne misero insieme 757 in un libro a mosaico del ’93, Incipit per l’appunto, definito nel sottotitolo Un libro di quiz di lettura, che non sembra assolutamente bisognoso di aggiornamenti.
E dal suo rifugio maremmano Carlo Fruttero, invitato a scegliere fra i tanti il preferito, torna senza esitazione a «Quel ramo del lago di Como», altro illustre assente dalla lista americana. L’inizio dei Promessi sposi è da manuale, spiega: ha tutte le caratteristiche più salienti della prima frase, là dove nasce il romanzo. «Ti fa capire tutto. È lungo, certo: ma c’è un motivo. Come poi scoprì un erudito, questo attacco minuzioso ma anche ironico ricalca la descrizione della Cocincina data dal gesuita secentesco Daniello Bartoli. Uno stratagemma che ha consentito al Manzoni di farne insieme la parodia e l’elogio, e mettere in piedi il paesaggio». Un lago lombardo in odore di Celeste Impero, difficile da cogliere. «Be’, diciamo che Manzoni è uno scrittore per adulti. Dovrebbe essere tolto dai programmi scolastici, va letto dopo i quarant’anni».
Gli incipit invece, secondo la dottrina F&L, possono essere letti sempre, e tutti, perché se sono buoni, veramente buoni, dovrebbero contenere in sé l’universo del libro. Sono la pulsantiera di un condominio di grandi ombre pronte a destarsi con una scampanellata. E come tutto ciò che riguarda la letteratura, sono anche una malattia. Nel loro libro, F&L scoprirono per esempio un grave male: la «sindrome di Kramer», e cioè la coazione a sparare incipit a mitraglia del direttore d’una rivista, avvicinato da un detective in un certo romanzo poliziesco abbastanza noto, di cui ovviamente sulle prime non viene fatto il nome.
Davanti a domande pratiche e persino banali, esordisce con Via col vento, poi spara a tradimento l’Ulisse di Joyce e approfittando infine dello sconcerto del detecive non si ferma più, finché l’interlocutore non batte in ritirata. È un fatto indiscutibile: un buon incipit non può far che bene, come forse direbbe Obelix, ma attenti alla bulimia. E all’ambizione di celebrare nuove scoperte. Nella top ten della lista americana, pur recentissima, ci sono ben sette citazioni che troviamo agevolmente nel libro di diciassette anni fa: al quale mancano solo L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon, la Finnegan’s Wake di Joyce - F&L preferiscono l’Ulisse e il Ritratto dell’artista da giovane - e il Dickens del Racconto di due città. Quanto alla sindrome di Kramer - chi sarà il noto romanziere? - la palla non può che passare al campo dei lettori.