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 2010  ottobre 01 Venerdì calendario

L’EUROPA SCEGLIE LA STRADA STRETTA

Solo qualche mese fa pareva che i problemi fiscali di molti paesi europei avrebbero trascinato il mondo in una seconda crisi finanziaria. Oggi la situazione è migliorata: gli attacchi dei mercati sono serviti a svegliare qualche governo. È troppo presto per cantare vittoria, e l’andamento degli spread dimostra che i mercati sono ancora preoccupati di qualche paese. Ma secondo me qualche segnale positivo c’e. Tra i paesi più esposti tre sono piccoli: Grecia, Portogallo e Irlanda. L’Irlanda, che aggiusta solo dal lato delle spese, dovrebbe farcela, ha già dimostrato nel recente passato di sapersi rimboccare le maniche. Rimane l’incognita del suo sistema bancario, ma io sarei moderatamente ottimista. La Grecia non può ridurre solo le spese, ma deve anche alzare parecchie aliquote e probabilmente dovrà fare ricorso al fondo europeo di aiuto ai paesi in difficoltà dato l’ammontare del suo debito.

Ma qualche mese fa in pochi avrebbero scommesso su questo paese; oggi qualche speranza in più che diventi un’economia più simile a quella del resto d’Europa c’è. Infatti, oltre al rigore fiscale, la Grecia ha anche iniziato un programma di liberalizzazioni e di smantellamento di caste professionali privilegiate. Ce la farà senza ristrutturare il debito? Troppo presto per dirlo, ma una ristrutturazione fatta con un bilancio più solido potrebbe essere meno problematica di una fatta con un deficit del 15% del Pil. Il Portogallo invece sta facendo troppo poco e rimane un paese a rischio, di cui probabilmente il fondo europeo dovrà occuparsi e i mercati sono giustamente preoccupati. Poi ci sono due paesi grandi che erano a rischio, Spagna e Gran Bretagna, i quali non potrebbero essere salvati dal fondo europeo appunto perché troppo grandi: entrambi hanno iniziato aggiustamenti fiscali rigorosi, più dal lato delle spese che delle imposte, forse ancor più decisi di quanto ci si potesse aspettare da un timido Zapatero e da un governo di coalizione in Gran Bretagna.
Il governo di quest’ultimo paese in particolare ha annunciato un piano veramente draconiano: se riuscirà a portarlo a termine rimane da vedere, ma i primi segnali che arrivano sembrano incoraggianti. Insomma, la maggior parte della riduzione prevista dei deficit in questi paesi dovrebbe venire dal lato della spesa, il che è positivo. Non solo, ma per la prima volta si parla seriamente di arrestare la crescita del peso fiscale dell’impiego pubblico e delle pensioni, non di tagli di spesa temporanei e palliativi vari. Sono sul tappeto riforme fiscali serie.
E gli altri? La Germania sta uscendo dal deficit con una crescita sostenuta dalle esportazioni. La Francia sta facendo ben poco nel breve periodo per il suo deficit, ma almeno ha iniziato una riforma delle pensioni da troppo tempo rinviata. E l’Italia? Il nostro paese ha fatto il minimo indispensabile e, dato il suo debito pubblico, rimane un paese a rischio. Una crisi di governo prolungata, una nuovo ministro dell’Economia che non sappia resistere alle pressioni di spesa dei suoi colleghi potrebbero essere come un cerino in un pagliaio. E se i mercati dovessero cominciare a preoccuparsi del debito italiano, allora sarebbero davvero guai.
Tutti a posto dunque nel Vecchio continente? No, rimangono molto incognite. Prima di tutto il rigore fiscale non è sostenibile a lungo senza crescita. Tagli di spesa (invece che aumenti d’imposte) non sono necessariamente recessivi soprattutto se accompagnati da riforme strutturali (mercato del lavoro, regole, competizione, lacci e lacciuoli, per intenderci) che liberino energie dal lato dell’offerta. Ci sarà il coraggio politico di farlo? Ma più fondamentalmente queste riforme le vogliono gli europei (e gli italiani) o preferiscono ritornare ai tassi di crescita medi-corti del pre-crisi e continuare a vivere il declino relativo dell’Europa? Senza crescita, anche il risanamento fiscale rischia di fallire con pericolosi circoli viziosi.
La seconda incognita è politica: sopravviveranno i governi che hanno iniziato questi programmi di rigore oppure ci sarà una reazione elettorale negativa che frenerà il rientro dai deficit? Difficile prevederlo, ma su questo sono relativamente ottimista. L’esperienza storica dimostra (al contrario di quanto molti credono) che gli elettori capiscono quando il rigore è necessario. Programmi fiscali ben fatti, non sperequati ma anche "duri" sono capiti dagli elettori. L’importante è resistere alle pressioni specifiche di certi gruppi d’interesse minoritari ma con grande influenza politica.
Insomma, il Vecchio continente sta facendo passi nella direzione giusta. La crisi potrebbe essere uno stimolo a quel colpo di reni di cui l’Europa ha bisogno per uscire dal suo torpore. Altrimenti, rimessi a posto faticosamente i bilanci pubblici, l’Europa tornerà a crescere poco e diventerà sempre più marginale nel quadro politico mondiale.